Questo è un altro scritto che emerge dal passato e che ripropongo qui.
E' una storia che contiene delle verità, come si vedrà leggendolo.
Appartiene ad un periodo in cui scrivevo volentieri delle storie per mio figlio, spinto dal desiderio di trasmettergli qualcosa in modo duraturo, visto che - essendo separati io e sua madre - io potevo vederlo per così poco tempo.
Scrivevo delle storie e poi gliele leggevo, oppure gliele mandavo per posta in modo tale che lui potesse conservare queste missive e ritrovarsele un giorno tra le sue cose.
Rimasi duramente colpito quando sua madre decise di eliminare una serie di cose inutili dalla sua stanza, di cose per cui "era passato il tempo"...
Una cosa abnorme per me che, invece, grazie a mia madre che tendeva a "conservare" mi ritrovo ad avere ancora oggi molte delle cose della mia infanzia, salvo quelle che io stesso distrussi in occasione di periodici potlach.
Mi disse che - se volevo - potevo fare una verifica in modo tale da conservare le cose che volessi, visto che io, a casa da me, avevo più spazio.
Tra le cose che sua madre aveva deciso di eliminare c'erano tutte le lettere e le cartoline che, nel corso del tempo, avevo inviato a mio figlio, alcune ancora nelle buste che non erano mai state aperte.
Mio padre quando partiva mandava a me e a mio fratello un'infinità di cartoline, quasi al ritmo di una al giorno e, così, ricordando quanto piacere mi facesse ricevere quelle cartoline di posti che non conoscevo con quei francobolli strani ed insolito, avevo preso a fare con mio figlio, quando viaggiavo senza di lui. Pensavo che fossero una traccia del legame che ci univa ben più significativo delle telefonate giornaliere scambiate al cellulare.
Ma ora, purtroppo, sia le lettere, sia le cartoline erano state declassate a cose "per cui era passato il tempo" e da eliminare.
Io ho conservato tutto, comprese quelle lettere e le cartoline in un grande raccoglitore in cui tengo una serie di cose che riguardano mio figlio. Un giorno forse ritroverà tutte queste cose e ci darà un'occhiata.
Ma ecco il mio racconto, con una premessa e con una sorta di postfazione.
Un giorno di primavera, pensando che fosse una giornata più tiepida, ho indossato per la prima volta dopo molti mesi, un gilet di pile dal colore blu, che dalla primavera precedente se ne stava riposto nel cassetto.
Ma, dopo averlo messo mi sono accorto che, sul tessuto di colore scuro, risaltavano numerosi “antichi” peli di Fred.
Per chi non lo sapesse Fred è il mio cane, un pastore tedesco di grande taglia a pelo semi-lungo..
Dovrei dire “…è stato”… ma perdonatemi se continuo a riferirmi a lui al presente, come se fosse ancora qui, tra noi.
Il suo vero nome è in realtà Fre(u)d, cioè Freud con la “u” tra parentesi, ma per un problema di decenza e per evitare inutili offese tra i più fondamentalisti degli psicoanalisti, la “u” ho sempre preferito ometterla…
Questo nome lo avevo pensato per il mio cane, sin dal momento in cui la madre me lo aveva scodellato caldo caldo letteralmente sui piedi ancora tutto infagottato nella sua camicia traslucida, come una sorta di umile omaggio al grande Freud , uno dei miei inevitabili padri fondatori.
Mi pareva anche un nome di buon auspicio dal momento che la parola “Freud” in Tedesco, altro non significa che “gioia”.
Fre(u)d è morto poco tempo fa, dopo una malattia che è andata avanti silenziosa, e insidiosa, senza che nessuno si accorgesse di niente.
Chi ha tenuto dei cani in casa, soprattutto quelli a pelo lungo, sa bene che per quanto ci si possa stare attento i peli, che si staccano dal mantello del proprio cane, sono onnipresenti e assolutamente pervasivi (e anche invasivi) e, contro di essi, occorre ingaggiare una giornaliera battaglia.
Ma si tratta soltanto di un piccolo obolo – in termini di sacrificio personale – rispetto all’incommensurabile piacere di avere per casa un compagno fedele e paziente.
Anche quando non è in corso la muta (che ricorre una-due volte all’anno), si verifica un costante stillicidio di peli morti che vengono via con la manutenzione continua al proprio mantello da parte dello stesso cane.
E questo accade anche quando ci si premura di provvedere a periodici lavaggi e ad accurate spazzolature…
Questi peli sul gilet, piccola innocente traccia della lunga convivenza con un cane, mi hanno fatto ovviamente pensare al povero Fre(u)d e al fatto che adesso non c’è più.
Mentre facevo questi pensieri, viaggiavamo in macchina alla volta della scuola di Francesco… io, invece, dopo questa prima tappa al lavoro …
Travolto da questo flusso di associazioni, non ho mancato di attirare l’attenzione di Francesco sui peli erratici che adornavano il mio gilet e gliene ho enunciato l’origine.
Gli ho detto “Quando c’è un cane in casa i peli volano dovunque, per quanto si cerchi di tenere sempre tutto pulito…”
Mentre pronunciavo queste parole, ho pensato di raccontargli una storia.
“Una volta, a proposito di peli di cane, è successo questo fatto straordinario…” ho cominciato a narrare.
Mentre la raccontavo succintamente, ho anche detto a Francesco che questa storia – appena tornato a casa – l’avrei anche scritta per intero, visto che non avrei fatto in tempo a dirla tutta per benino, nei pochi minuti che ci restavano prima di arrivare a scuola.
Siccome voglio essere sempre fedele alle promesse, ecco dunque la storia completa.
Una postfazione
Devo questa storia ad un piccolo fatterello di cui mi sono ricordato proprio mentre constatavo la presenza dei peli di cane sul gilet di pyle.
Tanti anni fa – saranno forse vent’anni addietro ( ma come passa veloce il tempo!) seguivo con una certa assiduità una bella rivista patinata dedicata agli animali domestici, ma soprattutto a cani e gatti: non a caso, la testata della rivista era intitolata – lo è tutt’ora, perché continua ad uscire regolarmente, benché io non l’abbia più comprata – al fedele cane di Odisseo, il cane rimasto in attesa del ritorno del suo padrone e che, quando si accorse che, finalmente, il suo padrone era di nuovo ad Itaca, si abbandonò felice all’ultimo sonno.
Come tutte le riviste che si rispettano, anche questa possedeva una rubrica di lettere.
Ora, in generale, le rubriche di lettere delle riviste sono un’interessante specchio delle fantasie, delle abitudini, dei sogni dei lettori. Quindi, allora, anche per una sorta di curiosità professionale, non mancavo mai di gettare un’occhiata alla rubrica delle lettere di questa rivista.
Una volta, la mia attenzione venne attratta da una lettera molto singolare, il cui autore scriveva appunto che, poiché era molto affezionato al suo cane, aveva deciso di raccoglierne sistematicamente i peli per ricavarne poi dei manufatti da conservare per quando il cane non ci sarebbe più stato, e tra i manufatti che il lettore elencava c’era anche un maglione.
Mi colpiva molto quest’idea del maglione, perché mi pareva espressione del desiderio di mettersi dentro la pelle del cane, di un’oscura fantasia di poter diventare tutt’uno con lui, realizzando con la sua pelliccia, dotata di quell’odore particolare e di quelle caratteristiche di morbidezza al tatto una sorta di gemellarità canina…
Al di là delle possibili e fuorvianti interpretazioni psicologiche che di tale storia si potrebbero fare, mi sembrò allora, ma ancora di più oggi che in ciò vi potesse essere il nucleo di un sogno delicato e poetico al tempo stesso.
Ricordo anche – e forse fu questa la cosa che mi colpì maggiormente – che il curatore della rubrica forniva a tali quesiti risposte assolutamente competenti ed informate, arrivando persino a dare gli indirizzi di alcuni luoghi a cui il fedele padrone avrebbe potuto rivolgersi.
È questo un esempio di come un piccolo frammento del passato a rimasto quiescente nella mente, come un fossile incastrato all’interno di uno strato sedimentario per anni e anni, possa improvvisamente riemergere per acquistare una “formattazione” nuova all’interno di un impianto narrativo.
Devo anche ringraziare Konrad Lorenz per aver scritto il prezioso piccolo saggio “E l’uomo incontrò il cane” che, senza inutili appesantimenti da manuale, fornisce delle preziose nozioni di base distillate dal sapere etologico sul modo in cui imparare a convivere con il proprio cane e farne soprattutto un cane “educato alle buone maniere” senza peraltro violentare la sua natura canina, come oggi tanti tendono a fare spinti dalla smania di trasformare i propri cani in macchine da offesa, capaci di una violenza che non è originaria del cane ma piuttosto propria degli uomini.
E, infine, vorrei ringraziare sentitamente G. Masson, uno degli psicoanalisti considerati eretici dalla intelligentsia della Società Psicoanalitica Internazionale soltanto per aver detto la verità su Freud e che, come interesse collaterale alla sua professione, e ancora di più – voglio pensare – dopo l’espulsione dal consesso psicoanalitico, ha preso ad occuparsi molto dell’affettività degli animali e di quella dei cani in particolare. Il suo “I cani non mentono sull’amore” è un bellissimo saggio, ricco di aneddoti magistrali e di riflessioni pertinenti sul piano psicologico, sulla capacità di amore dei cani.
In chiusura, non può mancare da parte mia, un saluto affettuoso al cane Rover, co-protagonista delle storie di Roddy Doyle, augurandomi che, in caso di bisogno, egli possa sempre sostituire il capo branco del tiro di renne della slitta di Babbo Natale, in modo tale che, sempre, tutti i bambini possano mantenere intatto il loro sogno del Natale.
E' una storia che contiene delle verità, come si vedrà leggendolo.
Appartiene ad un periodo in cui scrivevo volentieri delle storie per mio figlio, spinto dal desiderio di trasmettergli qualcosa in modo duraturo, visto che - essendo separati io e sua madre - io potevo vederlo per così poco tempo.
Scrivevo delle storie e poi gliele leggevo, oppure gliele mandavo per posta in modo tale che lui potesse conservare queste missive e ritrovarsele un giorno tra le sue cose.
Rimasi duramente colpito quando sua madre decise di eliminare una serie di cose inutili dalla sua stanza, di cose per cui "era passato il tempo"...
Una cosa abnorme per me che, invece, grazie a mia madre che tendeva a "conservare" mi ritrovo ad avere ancora oggi molte delle cose della mia infanzia, salvo quelle che io stesso distrussi in occasione di periodici potlach.
Mi disse che - se volevo - potevo fare una verifica in modo tale da conservare le cose che volessi, visto che io, a casa da me, avevo più spazio.
Tra le cose che sua madre aveva deciso di eliminare c'erano tutte le lettere e le cartoline che, nel corso del tempo, avevo inviato a mio figlio, alcune ancora nelle buste che non erano mai state aperte.
Mio padre quando partiva mandava a me e a mio fratello un'infinità di cartoline, quasi al ritmo di una al giorno e, così, ricordando quanto piacere mi facesse ricevere quelle cartoline di posti che non conoscevo con quei francobolli strani ed insolito, avevo preso a fare con mio figlio, quando viaggiavo senza di lui. Pensavo che fossero una traccia del legame che ci univa ben più significativo delle telefonate giornaliere scambiate al cellulare.
Ma ora, purtroppo, sia le lettere, sia le cartoline erano state declassate a cose "per cui era passato il tempo" e da eliminare.
Io ho conservato tutto, comprese quelle lettere e le cartoline in un grande raccoglitore in cui tengo una serie di cose che riguardano mio figlio. Un giorno forse ritroverà tutte queste cose e ci darà un'occhiata.
Ma ecco il mio racconto, con una premessa e con una sorta di postfazione.
Piangere qualcuno che muore non è tanto soffrire una separazione o sopportare un lutto, ma piuttosto trovarsi … faccia a faccia con chi davvero siamo. Equivale a scoprire molto di noi che ci è ignoto e che la circostanza fa emergere. Piangere, rimpiangere, soffrire non giovano a chi vive soltanto in noi. Crediamo forse di pagare un debito consacrandogli il nostro dolore, oppure temiamo di offenderlo voltando pagina?
Un giorno di primavera, pensando che fosse una giornata più tiepida, ho indossato per la prima volta dopo molti mesi, un gilet di pile dal colore blu, che dalla primavera precedente se ne stava riposto nel cassetto.
Ma, dopo averlo messo mi sono accorto che, sul tessuto di colore scuro, risaltavano numerosi “antichi” peli di Fred.
Per chi non lo sapesse Fred è il mio cane, un pastore tedesco di grande taglia a pelo semi-lungo..
Dovrei dire “…è stato”… ma perdonatemi se continuo a riferirmi a lui al presente, come se fosse ancora qui, tra noi.
Il suo vero nome è in realtà Fre(u)d, cioè Freud con la “u” tra parentesi, ma per un problema di decenza e per evitare inutili offese tra i più fondamentalisti degli psicoanalisti, la “u” ho sempre preferito ometterla…
Questo nome lo avevo pensato per il mio cane, sin dal momento in cui la madre me lo aveva scodellato caldo caldo letteralmente sui piedi ancora tutto infagottato nella sua camicia traslucida, come una sorta di umile omaggio al grande Freud , uno dei miei inevitabili padri fondatori.
Mi pareva anche un nome di buon auspicio dal momento che la parola “Freud” in Tedesco, altro non significa che “gioia”.
Fre(u)d è morto poco tempo fa, dopo una malattia che è andata avanti silenziosa, e insidiosa, senza che nessuno si accorgesse di niente.
Chi ha tenuto dei cani in casa, soprattutto quelli a pelo lungo, sa bene che per quanto ci si possa stare attento i peli, che si staccano dal mantello del proprio cane, sono onnipresenti e assolutamente pervasivi (e anche invasivi) e, contro di essi, occorre ingaggiare una giornaliera battaglia.
Ma si tratta soltanto di un piccolo obolo – in termini di sacrificio personale – rispetto all’incommensurabile piacere di avere per casa un compagno fedele e paziente.
Anche quando non è in corso la muta (che ricorre una-due volte all’anno), si verifica un costante stillicidio di peli morti che vengono via con la manutenzione continua al proprio mantello da parte dello stesso cane.
E questo accade anche quando ci si premura di provvedere a periodici lavaggi e ad accurate spazzolature…
Questi peli sul gilet, piccola innocente traccia della lunga convivenza con un cane, mi hanno fatto ovviamente pensare al povero Fre(u)d e al fatto che adesso non c’è più.
Mentre facevo questi pensieri, viaggiavamo in macchina alla volta della scuola di Francesco… io, invece, dopo questa prima tappa al lavoro …
Travolto da questo flusso di associazioni, non ho mancato di attirare l’attenzione di Francesco sui peli erratici che adornavano il mio gilet e gliene ho enunciato l’origine.
Gli ho detto “Quando c’è un cane in casa i peli volano dovunque, per quanto si cerchi di tenere sempre tutto pulito…”
Mentre pronunciavo queste parole, ho pensato di raccontargli una storia.
“Una volta, a proposito di peli di cane, è successo questo fatto straordinario…” ho cominciato a narrare.
Mentre la raccontavo succintamente, ho anche detto a Francesco che questa storia – appena tornato a casa – l’avrei anche scritta per intero, visto che non avrei fatto in tempo a dirla tutta per benino, nei pochi minuti che ci restavano prima di arrivare a scuola.
Siccome voglio essere sempre fedele alle promesse, ecco dunque la storia completa.
C’era una volta Uno che aveva un cane.
Uno e il suo cane avevano vissuto per molti anni insieme.
Uno era molto affezionato al suo cane.
Del resto, quest’affetto era pienamente ricambiato dal cane di Uno.
Uno era intimorito al pensiero che il suo cane non sarebbe stato con lui per tutto il tempo che ad Uno restava da vivere.
Uno sapeva bene che i cani hanno una vita molto più breve dei propri padroni, a meno che non li si prenda cuccioletti, quando si è già molto avanti con gli anni.
Uno pensava sempre che mai e poi mai avrebbe voluto separarsi da lui; gli capitava di essere attraversato da questi pensieri tristi soprattutto quando il cane si metteva sdraiato a pancia sotto e, standosene immobile, lo teneva costantemente sotto osservazione con uno sguardo tra l’amorevole e l’apprensivo, pronto a scattare in piedi e a seguirlo, non appena Uno avesse deciso di spostarsi altrove.
Per quanto ci pensasse su, Uno sapeva che non c’erano alternative possibili al fatto che, inesorabilmente, il momento della morte del suo cane sarebbe giunto e che, al quel punto, non ci sarebbe stato più niente da fare, se non prendere atto della triste realtà di dover rimanere senza il l’amico fedele.
I cani – si sa – muoiono quasi sempre prima dei loro padroni, anche se a volta capita il contrario.
Una volta un giovane era morto, cadendo dall’alto del cielo con l’aereo su cui viaggiava per tornare a casa, dove lo attendevano il padre anziano ed un cane fedele. Invano il padre e il cane lo attesero: il giovane non fece più ritorno. Il vecchio non poté più rivedere il figlio nemmeno da morto, ma comunque di lui sapeva che era morto e sepolto, senza ombra di dubbio. Il cane, invece, viveva ignaro in un eterno presente, continuando ad aspettare sempre il padrone tanto amato. Per molti anni ancora, giorno dopo giorno, l’anziano genitore mestamente portava il cane a passeggio al posto del figlio, rispettando in tutto e per tutto le abitudini che questi aveva istituito nel rapporto con la povera bestiola: i due camminavano tristi, ma con dignità, e, con il trascorrere degli anni, sempre più piano, man mano che le loro forze andavano scemando. La loro passeggiata, per quanto fossero in due ad andare, era sempre una passeggiata solitaria (anche se, in fondo, di mutua solidarietà) … e nessuno dei due osava mai alzare lo sguardo verso il cielo traditore.
Uno, dopo aver pensato e ripensato nel corso di tante notti insonni passate ad arrovellarsi il cervello, mentre il suo cane – ignaro di tanta inquietudine - dormiva beatamente sul tappetino ai piedi del letto, ogni tanto gemendo e sbuffando intento in un suo sogno di caccia, ebbe all’improvviso un’idea che gli parve subito rassicurante e di conforto.
“Anziché spazzare via tutti i peli del mio cane dopo averlo spazzolato” si disse “Li raccoglierò sistematicamente e quando ne avrò a sufficienza, porterò tutta la matassa in una fabbrica, mi farò filare un filo di lana con questi peli e, poi, con i gomitoli di lana che riuscirò ad ottenere mi farò tessere un maglione: così potrò avere il mio cane sempre con me, quanto meno il suo odore e la consistenza della sua pelliccia sempre a portata di mano…”
Uno fu molto contento di quest’idea e, detto fatto, da quella notte, si impegnò a raccogliere non solo le matasse di pelo che si formavano ogni volta che lui lo spazzolava, ma anche tutti i peli che il cane perdeva naturalmente.
Nel giro di qualche mese Uno aveva raccolto ben due sacchi di pelo nero-grigio, ispido e, quindi, carico dei suoi due sacchi, prese commiato dal suo cane per andare alla ricerca di un fabbrica o di un laboratorio artigianale dove potessero filare questi peli per trasformarli in bella lana di cane…
Ma la realizzazione di questa fase del suo progetto si rivelò ben più difficile di quanto Uno non avesse potuto pensare.
Uno, infatti, viveva in un mondo in cui da tempo si erano perse le più elementari abilità artigianali e ben pochi – forse ormai quasi nessuno – erano quelli capaci di manipolare sostanze naturali per produrre degli oggetti.
Per quanto riguarda poi l’oggetto specifico della ricerca di Uno, ormai quasi tutti gli artigiani – nella confezione dei diversi tipi di tessuti – si erano abituati a maneggiare prevalentemente i materiali sintetici oppure alcuni derivati della lavorazione del petrolio.
“Un ben triste mondo è questo” Uno si ripeteva sovente, parlando sommessamente tra sé e sé, per darsi compagnia, mentre continuava instancabile nella sua ricerca solitaria.
Ma non c’era solo questa difficoltà: tutti quelli da lui interpellati reagivano malamente quando venivano a sapere che i due sacchi erano pieni di pelo di cane e lo interrogavano minuziosamente sui perché e sui percome del suo progetto, per poi fare dei commenti schifati, che rivelavano i loro pregiudizi e una totale incomprensione del desiderio di Uno. Gli dicevano sprezzanti: “E che diamine, sei un uomo oppure una bestia? Ma forse non sei altro che un cane rognoso, bisognoso di pelo nuovo con cui rivestirsi… Vattene via, dunque, miserabile cane rognoso! Non mi contaminare con le tue pustole orrende!”
E, in questi casi che, purtroppo, si ripetevano sovente, quando andava bene questi individui intolleranti si limitano a scacciare Uno, ma quando andava male lo prendevano a calci oppure gli rovesciavano addosso secchi di spazzatura e gli mandavano appresso i ragazzini di casa a schernirlo e a bersagliarlo con uova marce e verdure muffite.
Uno comunque non si dava per vinto. Man mano che passava il tempo si rendeva conto che tutte le sue peripezie erano una necessaria prova di devozione e di affetto nei confronti del suo cane che lo aspettava paziente.
Alla fine, cerca qua cerca là, raccogli informazioni di qua raccogli informazioni di là, la perseveranza di Uno venne finalmente ricompensata. Uno, seguendo con infinita pazienza le tracce, derivanti da informazioni dette a mezza voce da alcuni di quelli che erano stati ad ascoltarlo con maggiore pazienza, si mise sulle tracce di una vecchina.
E, infine, nella parte più antica di una città, costruita sulla riva di un fiume impetuoso, in una casupola posta nel cuore più profondo di un intrico di viuzze strette e fatiscenti, la trovò.
Toc! Toc! Uno bussò alla porta tutta sconnessa.
“Avanti! Accomodati” fece una voce dall’interno “Entra pure, la porta è aperta, si tratta solo di spingerla con un certo vigore. Certo, sono sicura che il vigore è una cosa che non ti manca, visto se sei riuscito ad arrivare da me dopo tanto girovagare”
Uno si sentì confortato da queste parole e, raccogliendo le sue forze, spinse il battente cigolante ed entrò.
Resa incorporea dalla semioscurità che avvolgeva la stanza, la voce aggiunse “Devi sapere che tanti mi cercano, ma soltanto pochi riescono a trovarmi.”
Mentre Uno cercava di trovare le parole più adatte per formulare la sua richiesta, la stanza si rischiarò all’improvviso, quasi per incanto, e venne inondata da una bellissima luce dorata.
Davanti a lui c’era la vecchina che per tanto tempo aveva cercato e, in un attimo sospeso di silenzio stupito, Uno ebbe modo di osservarla.
Era una donna vecchissima, tutta bianca e rugosa, vestita di nero perché nella sua vita aveva molto sofferto per la morte di tutte le persone che le erano state care, ma con gli occhi ridenti; il nero degli abiti conferiva una grande luminosità al suo volto vizzo, incorniciato di candidi capelli bianchi e illuminato da bellissimi occhi azzurri ancora vivi, non offuscati dall’età.
Uno le disse: “Finalmente ti ho trovata, vecchina! Mi hanno detto che tu sei l’unica persona al mondo che possa fare per me una cosa a cui tengo moltissimo… Ho chiesto a tanti ma nessuno è stato capace di fare quello che io chiedevo oppure – pur essendone capace – non ha voluto farlo e, invece, mi ha dileggiato… Infatti, alcuni, tra i più esperti lavoratori delle filande mi hanno detto che non avevano alcuna intenzione di rovinarsi la reputazione, solo per farmi un favore, per quanto io abbia sempre dichiarato di essere disposto a pagare a peso d’oro, pur di ottenere ciò che chiedevo…
“Dimmi” disse la vecchina, con una voce esile “di cosa hai bisogno? In verità, io so già cosa vuoi dirmi, ma devi essere tu a formulare il tuo desiderio, con le tue parole… Se parlerai bene, sarai esaudito.”
“Ho qui con me questi due sacchi pieni fino all’orlo dei peli di cane” Uno replicò subito… “Tu, con le tue mani abilissime nel maneggiare il fuso e la spola, dovresti trasformarli in buona lana cosicché io poi possa farmi fare un bel maglione caldo caldo di lana-cane. Tanti mi hanno detto di venire da te perché sei la più brava nel fare questo genere di lavori.”
“Bene! Ma, ora, devi dirmi perché tu vuoi che io faccia questa cosa tanto insolita e devi farmi capire qual è il motivo per cui io la debba fare” ingiunse la vecchina.
“Si tratta dei peli del mantello del mio amato cane… So che presto dovrà morire… Ed io voglio avere qualcosa che mi faccia ricordare di lui… Ma non è solo questo: vorrei poter avere ogni tanto la possibilità di sperimentare le stesse sensazioni che provo quando comincio a grattarlo nel petto, là dove il suo pelo è più fitto e più morbido… E lui allora è palesemente soddisfatto da questo grattuggiamento e comincia freneticamente ad agitare le zampe di dietro come per grattarsi. Quando comincia a fare così, io gli dico, ridacchiando, ‘Eh!Eh!Eh! Vecchio mio, ti ho fatto venire la grattarola! Cosa ti succede? Pensi forse di avere una pulcetta girovaga persa nel folto del tuo pelo? Errore!’ Vecchina, devi sapere però che con questi grattuggiamenti non bisogna mai insistere più di tanto, e – come sanno bene tutti quelli esperti nel solleticare e nell’essere solleticati – bisogna sapere alternarli con delle pause sapienti, per evitare che il solletico diventi fastidiosa sofferenza se non dolore umiliante. Quindi, insistendo con questo solleticamento alternato a brevi pause, dopo un po’, il mio canuzzo si mette sempre a pancia in su in una posizione di totale resa ed emette dei profondi sospiri di soddisfazione, tenendo gli occhi semi-chiusi… Il mio desiderio del maglione di lana-cane nasce dalla mia aspirazione di avere qualcosa che mi ricordi questi momenti, soprattutto la consistenza della pelliccia quando le mie dita vi sprofondano dentro. Ma non solo questo. Mi piacerebbe anche poter annusare ogni tanto il suo odore e, ancora, quell’altro odore acre ed inconfondibile che esala la sua pelliccia bagnata quando lo lavo…”
“Da tutto quello che mi hai detto, capisco che le tue intenzioni sono buone” disse la vecchina “Sei mosso dall’amore per il tuo amico. Soltanto per questo, e non per denaro, io ti aiuterò ad esaudire il tuo desiderio.”
“Lascia, dunque i due sacchi di peli e ritorna da me tra sei mesi” soggiunse la vecchina. “Ho bisogno di una speciale concentrazione per compiere quest’impresa. Siccome mi hai fatto capire che vuoi proprio molto bene al tuo cane, non solo mi occuperò di filare il suo pelo, ma io stessa con i gomitoli di lana che riuscirò a fabbricare, confezionerò personalmente il maglione che desideri.”
Uno, prima di andarsene, insistette per pattuire con la vecchina una qualche ricompensa che non fosse vil denaro.
“Vecchina, con le tue parole mi stai rasserenando: adesso non avrò più motivo di temere per la morte del mio cane. Ma, dimmi, anche se non vuoi un pagamento in denari, quale sarà la tua ricompensa per questo impagabile lavoro?”
“Uno, hai detto veramente bene: questo mio lavoro è impagabile. Non lo farei per chiunque. Non ha prezzo. Lo faccio per te perché sei stato capace di dimostrarmi che vuoi veramente bene al tuo cane. È per questo motivo che non voglio denari. Non si può pagare con i soldi una cosa che è così intensamente desiderata per amore e per dedizione”
“Ma, allora, cosa posso fare per te?” disse Uno.
“Vedi” gli rispose la vecchina “Qui ho molto freddo. Questa mia casupola è piena di umidità e i miei poveri piedi sono attanagliati dal dolore. Ho bisogno di tenerli al caldo. Quindi faremo così: con la lana del tuo cane farò il maglione che tu desideri e, per me, – con lo stesso pelo - confezionerò due morbide pantofole per tenere al caldo i miei piedi deformati dall’artrite.”
“E se la lana non dovesse bastare?”
“Vuol dire che il maglione sarà monco di una piccola parte, magari sarà privo di una manica o, semplicemente, una delle maniche verrà più corta…”
“Va bene, vecchina! Affare fatto” disse Uno congedandosi.
Uno se ne andò fiducioso e tornò ad occuparsi del suo cane senza più tristezza.
Ora, aveva la certezza che avrebbe avuto per sempre qualcosa di lui.
Anche quando il suo cane fosse morto.
Allo scadere del tempo pattuito, Uno di nuovo si commiatò dal suo cane si rimise in viaggio, ma questa volta con l’animo più leggero. Questa volta molto più rapidamente, ripercorse tutta la strada fatta la prima volta e si ripresentò al cospetto della vecchina che, senza preamboli di alcun genere, prese un involto informe e, strappando la grezza carta da pacchi che lo avviluppava, ne tirò fuori uno splendido maglione grigio-nero, morbidissimo al tatto, ma privo di una manica… Uno si accorse che la sua vecchina adesso aveva ai piedi splendide pantofole dello stesso colore e tutte finemente ricamate.
In quest’occasione Uno e la vecchina non si parlarono.
In realtà, era come se non ci fosse più niente da dire, o meglio qualsiasi parola detta avrebbe guastato la solennità del momento e la sensazione che un piccolo miracolo si era appena compiuto. Si sa che i miracoli il più delle volte non possono essere commentati con le parole: qualsiasi parola si cerchi di usare rischia di avere un effetto di banalizzazione di qualcosa che di per sé è ineffabile.
Uno indossò il maglione nuovo, ancor prima di lasciare la casupola della vecchina, e se tornò nella sua città tutto soddisfatto.
Non appena arrivò a casa ci fu una grande festa: il suo cane gli saltò addosso, com’era solito fare al rientro del suo padrone, ma questa volta trascorse molto tempo ad annusare in modo analitico il maglione nuovo del suo padrone.
I cani - si sa - hanno un olfatto fotografico che funziona proprio come la vista per gli uomini. Qualsiasi riconoscimento da parte dei cani è soprattutto olfattivo prima ancora che visivo
L’odore che i cani avvertono è come la presenza fisica di un altro essere: e ciò accade anche a distanza di molto tempo dalla creazione di una singola traccia olfattiva.
In presenza di molti odori appartenenti a tanti cani diversi, i cani sono realmente in grado di “vedere” i congeneri che hanno lasciato queste tracce, anche molto tempo prima.
Alla fine delle molteplici e accurate analisi logiche e grammaticali delle tracce olfattive contenute nel maglione che poi non erano altro che varianti del suo stesso inconfondibile odore mescolato a quello per lui altrettanto inconfondibile di Uno, fu evidente che il cane era veramente contento e soddisfatto del maglione nuovo di Uno, talmente contento che passò le mezz’ora successiva a latrare di gioia, correndo di qua e di là e riservando ad Uno grandi leccate sulla faccia.
Una postfazione
Devo questa storia ad un piccolo fatterello di cui mi sono ricordato proprio mentre constatavo la presenza dei peli di cane sul gilet di pyle.
Tanti anni fa – saranno forse vent’anni addietro ( ma come passa veloce il tempo!) seguivo con una certa assiduità una bella rivista patinata dedicata agli animali domestici, ma soprattutto a cani e gatti: non a caso, la testata della rivista era intitolata – lo è tutt’ora, perché continua ad uscire regolarmente, benché io non l’abbia più comprata – al fedele cane di Odisseo, il cane rimasto in attesa del ritorno del suo padrone e che, quando si accorse che, finalmente, il suo padrone era di nuovo ad Itaca, si abbandonò felice all’ultimo sonno.
Come tutte le riviste che si rispettano, anche questa possedeva una rubrica di lettere.
Ora, in generale, le rubriche di lettere delle riviste sono un’interessante specchio delle fantasie, delle abitudini, dei sogni dei lettori. Quindi, allora, anche per una sorta di curiosità professionale, non mancavo mai di gettare un’occhiata alla rubrica delle lettere di questa rivista.
Una volta, la mia attenzione venne attratta da una lettera molto singolare, il cui autore scriveva appunto che, poiché era molto affezionato al suo cane, aveva deciso di raccoglierne sistematicamente i peli per ricavarne poi dei manufatti da conservare per quando il cane non ci sarebbe più stato, e tra i manufatti che il lettore elencava c’era anche un maglione.
Mi colpiva molto quest’idea del maglione, perché mi pareva espressione del desiderio di mettersi dentro la pelle del cane, di un’oscura fantasia di poter diventare tutt’uno con lui, realizzando con la sua pelliccia, dotata di quell’odore particolare e di quelle caratteristiche di morbidezza al tatto una sorta di gemellarità canina…
Al di là delle possibili e fuorvianti interpretazioni psicologiche che di tale storia si potrebbero fare, mi sembrò allora, ma ancora di più oggi che in ciò vi potesse essere il nucleo di un sogno delicato e poetico al tempo stesso.
Ricordo anche – e forse fu questa la cosa che mi colpì maggiormente – che il curatore della rubrica forniva a tali quesiti risposte assolutamente competenti ed informate, arrivando persino a dare gli indirizzi di alcuni luoghi a cui il fedele padrone avrebbe potuto rivolgersi.
È questo un esempio di come un piccolo frammento del passato a rimasto quiescente nella mente, come un fossile incastrato all’interno di uno strato sedimentario per anni e anni, possa improvvisamente riemergere per acquistare una “formattazione” nuova all’interno di un impianto narrativo.
Devo anche ringraziare Konrad Lorenz per aver scritto il prezioso piccolo saggio “E l’uomo incontrò il cane” che, senza inutili appesantimenti da manuale, fornisce delle preziose nozioni di base distillate dal sapere etologico sul modo in cui imparare a convivere con il proprio cane e farne soprattutto un cane “educato alle buone maniere” senza peraltro violentare la sua natura canina, come oggi tanti tendono a fare spinti dalla smania di trasformare i propri cani in macchine da offesa, capaci di una violenza che non è originaria del cane ma piuttosto propria degli uomini.
E, infine, vorrei ringraziare sentitamente G. Masson, uno degli psicoanalisti considerati eretici dalla intelligentsia della Società Psicoanalitica Internazionale soltanto per aver detto la verità su Freud e che, come interesse collaterale alla sua professione, e ancora di più – voglio pensare – dopo l’espulsione dal consesso psicoanalitico, ha preso ad occuparsi molto dell’affettività degli animali e di quella dei cani in particolare. Il suo “I cani non mentono sull’amore” è un bellissimo saggio, ricco di aneddoti magistrali e di riflessioni pertinenti sul piano psicologico, sulla capacità di amore dei cani.
In chiusura, non può mancare da parte mia, un saluto affettuoso al cane Rover, co-protagonista delle storie di Roddy Doyle, augurandomi che, in caso di bisogno, egli possa sempre sostituire il capo branco del tiro di renne della slitta di Babbo Natale, in modo tale che, sempre, tutti i bambini possano mantenere intatto il loro sogno del Natale.
Palermo, il 01.04.2003
PS - Nel cercare in internet delle immagini per corredare questo post ("maglione di pelo di cane" nel motore di ricerca) ho scoperto inaspettatamente che esistono tanti siti web che si occupano di indumenti (maglioni, gilet, sciarpe, etc) confezionati con "lana di cane".
Una cosa che ho trovato davvero sorprendente e al di là di ogni immaginazione.
La foto che ho scelto raffigura, a mo' di esempio, dei maglioni fatti con lana di cane.
Una cosa che ho trovato davvero sorprendente e al di là di ogni immaginazione.
La foto che ho scelto raffigura, a mo' di esempio, dei maglioni fatti con lana di cane.
In Italia questa pratica è ancora poco diffusa e conosciuta, di conseguenza ogni anno buttiamo quintali di pelo considerandolo un fastidioso scarto invece che materia prima. Fra parentesi una materia prima che è di altissima qualità, se si considerano le caratteristiche tipiche del pelo del nostro cane che fanno del prodotto finito un filato che per morbidezza e isolamento termico superano, per certe razze di cane, la lana d'angora che è una delle più pregiate al mondo.
RispondiEliminaTutto questo senza maltrattare l'animale e anzi prendendosene cura visto che la cardatura dovrebbe essere un obbligo per determinate razze.Da un pò di tempo lo facciamo anche noi in italia...
http://lanadicane.altervista.org/