Si legge bene il racconto di Giulio Laurenti (Suerte. Io, Ilàn Fernandez, narcotrafficante: una confesssione, Einaudi, 2010) , così bene che chi non fosse informato della reale esistenza di Ilàn Fernandez e del logo di moda giovanile, da lui creato DePutaMadre69 potrebbe pensare che la confessione autobiografica presentata nel libro sia tutta abile fiction allo stato puro.
Mi è venuto molto da pensare, mentre leggevo questa storia, al romanzo dello spagnolo Arturo Perez Reverte, (da me molto amato, come tutti gli altri di questo autore), La regina del Sud, che racconta la storia di un'intrepida narcotrafficante e delle sue molte vite (della sua capacità di sopravvivere alle avversità e di rigenerarsi): anche questo costruito come "docufiction", cioè con continui riferimenti a fatti di cronaca e con spezzoni di interviste, mentre è in realtà tutto inventato).
La storia di Ilàn Fernandez (Pablo, nella sua precedente vita di narcotrafficante rampante) è costruita in modo davvero splendido, poichè lo scrittore ha saputo sfuggire alla tentazione di procedere in via cronologica, ma ci ha dato la rappresentazione della vita di Ilàm Fernandez attraverso un gioco di incastri e continui flashback and flashforward, che realizzano un complesso intreccio tra passato e presente con qualche sprazzo di vision sul futuro di quest'uomo, l'ex-narcos Pablo, che ha saputo ricostruirsi, senza abbandonare le sue idee (tra cui quella che il destino di uomo sia "segnato" e che - prima o poi - il suo corpo accoglierà una pallottola, "l'unico gioiello che ha per custodia la carne umana", o senza mettere da parte lo stile imprenditoriale da narcotrafficante da lui costruito in modi assolutamente originali (da qui il suo successo nelle precedenti attività illecite) che ha semplicemente piegato duttilmente alle esigenze commerciali della sua nuova condizione di stilista, non tralasciando le sue radici e il senso genealogico dell'appartenenza (ad esempio, sono grandiose le citazioni del fraseggiare di "Nonno Jack", in alcuni casi autentiche perle di saggezza o a volte espressione di un modo di affrontare la vita cinico, per quanto realista).
Si comprende bene che, dietro la facciata dell'imprenditore di successo, l'ex-narcos è rimasto nella sua interezza con il suo modo "duro" di affrontare il mondo, con la capacità di ragionare in grande, con la disponibilità di "rischiare" pur di allargare i profitti della sua impresa, pur se adesso con un abito totalmente nuovo. Ilàn Ferandez mostra con il suo racconto che, nel presente, è tenuto dentro il solco della normalità dall'acquisizione di una famiglia e delle figlie che rappresentano per lui il più grande rinforzo a mantenersi nelle coordinate d'una vita integrata. Nello stesso tempo, si comprende bene dalle sue parole che la rinuncia ad una vita alla grande (dominata da una cifra narcisistico-megalomanica) in cui il valore del denaro è assolutamente relativo e secondario non è così facile e riemerge in molte forme (per quanto adesso non criminali) esasperate ed estreme - sicuramente insolite.
Mi è venuto molto da pensare, mentre leggevo questa storia, al romanzo dello spagnolo Arturo Perez Reverte, (da me molto amato, come tutti gli altri di questo autore), La regina del Sud, che racconta la storia di un'intrepida narcotrafficante e delle sue molte vite (della sua capacità di sopravvivere alle avversità e di rigenerarsi): anche questo costruito come "docufiction", cioè con continui riferimenti a fatti di cronaca e con spezzoni di interviste, mentre è in realtà tutto inventato).
La storia di Ilàn Fernandez (Pablo, nella sua precedente vita di narcotrafficante rampante) è costruita in modo davvero splendido, poichè lo scrittore ha saputo sfuggire alla tentazione di procedere in via cronologica, ma ci ha dato la rappresentazione della vita di Ilàm Fernandez attraverso un gioco di incastri e continui flashback and flashforward, che realizzano un complesso intreccio tra passato e presente con qualche sprazzo di vision sul futuro di quest'uomo, l'ex-narcos Pablo, che ha saputo ricostruirsi, senza abbandonare le sue idee (tra cui quella che il destino di uomo sia "segnato" e che - prima o poi - il suo corpo accoglierà una pallottola, "l'unico gioiello che ha per custodia la carne umana", o senza mettere da parte lo stile imprenditoriale da narcotrafficante da lui costruito in modi assolutamente originali (da qui il suo successo nelle precedenti attività illecite) che ha semplicemente piegato duttilmente alle esigenze commerciali della sua nuova condizione di stilista, non tralasciando le sue radici e il senso genealogico dell'appartenenza (ad esempio, sono grandiose le citazioni del fraseggiare di "Nonno Jack", in alcuni casi autentiche perle di saggezza o a volte espressione di un modo di affrontare la vita cinico, per quanto realista).
Si comprende bene che, dietro la facciata dell'imprenditore di successo, l'ex-narcos è rimasto nella sua interezza con il suo modo "duro" di affrontare il mondo, con la capacità di ragionare in grande, con la disponibilità di "rischiare" pur di allargare i profitti della sua impresa, pur se adesso con un abito totalmente nuovo. Ilàn Ferandez mostra con il suo racconto che, nel presente, è tenuto dentro il solco della normalità dall'acquisizione di una famiglia e delle figlie che rappresentano per lui il più grande rinforzo a mantenersi nelle coordinate d'una vita integrata. Nello stesso tempo, si comprende bene dalle sue parole che la rinuncia ad una vita alla grande (dominata da una cifra narcisistico-megalomanica) in cui il valore del denaro è assolutamente relativo e secondario non è così facile e riemerge in molte forme (per quanto adesso non criminali) esasperate ed estreme - sicuramente insolite.
La sintesi del volume nel risguardo di copertina
Che cosa si prova a vivere con la morte come assidua compagna? Per più di un anno Ilan Fernández, uno dei maggiori narcotrafficanti a livello internazionale, oggi imprenditore di successo, ha raccontato a Giulio Laurenti la sua vita rocambolesca e pericolosa: anzi, le sue due vite. Quelle confessioni sono diventate un romanzo, dalla voce inconfondibile e unica, col timbro della verità definitiva. E la cocaina ci appare sotto una luce che non avevamo mai considerato, frutto come è di uno smercio intriso di morte. L'infanzia violenta a Cali, dove "si inizia con i lividi e si finisce con i buchi delle sventagliate di mitra", la rabbiosa voglia di rivalsa, i primi passi nel mondo del crimine come unico modo per restare a galla, la droga, il traffico d'armi. In poco tempo Ilan scala tutti i gradini della gerarchia criminale colombiana e a diciannove anni è il maggior responsabile della cocaina che imbianca l'Europa, oltre che il Sudamerica e gli Stati Uniti. Una vita tra lussi, eccessi, donne e Ferrari. Fino a quando, per l'ostinata caccia di un poliziotto, non viene catturato a Barcellona. Ma proprio in galera scaturisce l'idea del marchio DePutaMadre69, la rinascita. La violenza, l'ansia di riscatto, il mito della ricchezza facile, l'eccesso, l'ossessione per la performance, la corsa senza tregua verso un senso delle cose mai afferrabile.
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