sabato 20 marzo 2010

Sherlock Holmes contro Dracula: in un apocrifo holmesiano la lotta all'ultimo sangue tra Dracula e Sherlock Holmes


Temo, Watson, che nel narrare le mie piccole avventure abbiate fortemente sottovalutato il vostro contributo nel portare ciascun caso alla sua soluzione. Così come la lanterna più luminosa è inutile fintanto che non viene accesa, la presenza di un genio senza che ci sia qualcuno a stimolarne l’attività è davvero poca cosa. Cosa sarei senza di voi?


Sherlock Holmes e Dracula sono due personaggi letterari partoriti dalla penna di due scrittori britannici (Irlandese Bram Stoker, Inglese Conan Doyle) che hanno avuto una grande risonanza nell'immaginario collettivo.
Come personaggi letterari hanno avuto destini e percorsi diversi: a partire dal vampiro per la prima volta rappresentato da Bram Stoker è scaturita una florida letteratura di genere in cui il "vampiro" in tante declinazioni diverse ha avuto il ruolo di protagonista, mentre Sherlock Holmes, invece, ha avuto in sorte quella di essere rappresentato - letterariamente parlando - il più delle volte in "apocrifi", cioè in testi scaturenti formalmente sempre dagli appunti di Watson, il fidato compagno di avventure di Sherlock Holmes, nonchè suo biografo ufficiale, e pertanto rispettosi del "canone" cioè dell'insieme di racconti e romanzi ufficiali (quelli - per intenderci - scritti da Sir Arthur Conan Doyle).
Non ci si può improvvisare pertanto scrittore di un apocrifo holmesiano.
Occorre che siano soddisfatte almeno tre condizione di base:
  1. bisogna essere degli appassionati lettori delle avventure di Sherlock Holmes e del suo amico Watson;
  2. bisogna essere dei conoscitori "dotti" dell'intero canone che è fatto di date, di cronologie, di corrispondenze, ma anche di armonie linguistiche;
  3. bisogna essere in condizione di fare un passo indietro come scrittore, per proporsi soltanto come "curatore" di un testo che è stato scritto da un altro e che è stato fortunosamente ritrovato.
Loren D. Estleman che si presenta come curatore del manoscritto mai prima edito del dott. John H. Watson possiede tutti i requisiti richiesti: è un appassionato conoscitore delle opere di Sir Arthur Conan Doyle e, segnatamente, di quelle che hanno Sherlock Holmes come protagonista (ma è stato anche un appassionato lettore di Bram Stoker e del suo Dracula); ha lavorato duramente leggendo e rileggendo i racconti e i romanzi del canone; ha saputo entrare perfettamente nel gioco di ruolo che si è assunto come "curatore" di un inedito manoscritto di John H. Watson.
Per quanto riguarda la conoscenza del canone holmesiano, nella postfazione racconta:
...eppure la Settima Arte non riuscì a raffigurarli nel modo giusto fino agli anni '80, quando la BBC scelse Jeremy Brett e David Burke (...) per una lunga serie di successo. Dato che all'epoca in cui scrissi la serie in questione non era stata ancora prodotta, dovetti accontentarmi di rileggere all'inizio di ogni giornata lavorativa uno dei cinquantasei racconti originali o qualche pagine di uno dei quattro romanzi, tanto per dispormi nello stato d'animo più giusto (p. 236).
Sherlock Holmes contro Dracula (che, nel titolo originale, è Sherlock Holmes vs Dracula or the Adventure of the Sanguinary Count) pone un 'interessante questione.
Se le vicende narrate da Bram Stoker si svolgono nel 1890, come è possibile che Sherlock Holmes così attento ai fatti criminosi che si svolgevano nella Londra del suo tempo non si sia accorto di questa presenza inquietante e, soprattutto, non si sia attivato in una sua indagine risolutiva?
Il manoscritto rinvenuto da Loren D. Estelman dà appunto una risposta efficace a questo quesito e restituisce a Sherlock Holmes un ruolo decisivo nell'allontanamento del Conte Dracula dal suo tentativo di insediamento in Inghilterra e forse anche di un suo "sbarco" in America, anche se rimarrà appannaggio di Van Helsing & Company, la distruzione finale di Dracula, nei tempi e nei modi che sono stati raccontati da Bram Stoker.
Per alcuni dettagli vi è una corrispondenza quasi perfetta, nello svilupparsi della vicenda, con i fatti narrati da Bram Stoker, anche se da un certo momento in avanti, le traiettorie dei personaggi divergono e l'avventura della coppia di investigatori nella sua lotta contro Dracula si fa autonoma e originale, pur rispettando la tempistica cronologica del canone holmesiano.
L'accanimento di Holmes contro il Conte "sanguinario" trova delle motivazioni interpretative attuali che, peraltro, vengono riprese in una moderna ermeneutica del vampiro da Vito Teti, nel suo saggio "La malinconia del vampiro. Mito, storia, immaginario" (riedito recentemente con alcune aggiunte rispetto alla prima stesura (Manifestolibri, 2007).
Dracula, in quanto rumeno (e dunque "straniero") sarebbe la personificazione del migrante, il prototipo del clandestino che arriva in un paese altro, nel quale non può avere nemmeno una sua ombra, nè immagine riflessa allo specchio, quindi in possesso di una corporeità negat (o negativa), costretto a vivere in vecchi edifici abbandonati una vita notturna, nascondendosi durante le ore diurne (una sorta di squatter ante litteram), e che viene guardato con ostilità e con rifiuto, fatto oggetto di una caccia spietata sino all'espulsione.
Secondo questa interpretazione, il vampiro è un "diverso" che non può essere accettato dalla società nella quale ha deciso di impiantarsi come un corpo estraneo.
E come non evocare nella figura del rumeno più terrificante della storia (...) l'immagine stereotipa dello straniero infido e pericoloso. Quello che viene a turbare l'armonia e la pace del natìo borgo leopardiano che è in ognuno di noi (...), anche se in quel borgo noi autoctoni siamo capaci di combinarne di cotte e di crude ( dall'introduzione di Paolo Zaccagnini, Una storia di due stomaci).
L'apocrifo di Estleman è datato, in quanto venne stampato per la prima volta nel 1978 (del 1973, invece, il più celebrato apocrifo holmesiano La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer): entrambi hanno fatto da battistrada ad un numero davvero ragguardevole di romanzi ispirati al grande detective, anche se non tutti sono stati presentati dal loro autore come "apocrifi".
Il romanzo di Estleman, e il suo prequel "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Holmes" hanno visto nella madre patria un grande consenso di pubblico e il succedersi di ristampe, compreso un adattamento radiofonico - della prima delle due opere - trasmesso dalla BBC nel 1981 con un tale successo da essere mandato di nuovo in onda l'anno successivo.
In effetti, l'apocrifo di Estleman si legge con grande piacere.
Innanzitutto, perchè regala agli appassionati di Dracula o di Sherlock Holmes (o di entrambi) un'atmosfera familiare e ben conosciuta, ma anche quei necessari elementi di sorpresa e di novità tali da creare suspence e interesse sugli sviluppi della vicenda.
E non mancano nemmeno accativanti elementi di ironia e di pathos drammatico, tra i quali annovererei l'appostamento nella brughiera, il confronto tra il gruppo di ammazzavampiri capeggiato da un magnetico Van Helsing, l'incontro fatidico tra il Conte Dracula e Sherlock Holmes, ma soprattutto l'inseguimento marittimo mozzafiato nelle acque antistanti il porto di Whitby.
Alla Gargoyle Books va il merito indubitabile di avere proposto in traduzione italiana questo piccolo gioiello di Loren D. Estleman, a cui ha fatto seguito la pubblicazione del citato "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Holmes".
Nella lettura del romanzo "curato" da Loren D. Estleman si intravede un lavoro accuratissimo di cui danno testimonianza le numerose note al testo che rimandano a dettagli esplicativi o cronologici del canone holmesiano, ma è anche più che accurata l'edizione italiana, con la scorrevole traduzione di paolo De Crescenzo e corredata com'è dalla bella introduzione di Paolo Zaccagnini, non priva di qualche riferimento interpretativo innovativo.

Dal risguardo di copertina
È l'anno 1890. Una nave fa naufragio sulla costa inglese, l'equipaggio è scomparso, il capitano è stato assassinato, l'unico passeggero è un sinistro cane nero. Il mistero, di cui nessuno riesce a venire a capo è pane per i denti dell'inimitabile Sherlock Holmes, ma per la prima volta nell'arco della sua esaltante carriera il grande detective è in difficoltà. Risulta evidente che gli uomini dell'equipaggio sono stati uccisi e gettati fuori bordo, ma cosa può spiegare l'espressione di orrore stampata sul volto del capitano, il suo fatale dissanguamento, e lo strano carico della nave - cinquanta casse di terra? Il gioco è aperto e Sherlock Holmes, assistito come sempre dal fedele Dottor Watson, si viene a trovare sulle tracce del re dei vampiri in persona - il Conte Dracula...
Una nota biografica su Loren D. Estleman

Dall'apparizione del suo primo romanzo nel 1976, Loren D. Estleman ha pubblicato 60 libri e centinaia di racconti e articoli. Considerato una vera e propria autorità in due generi letterari, il western e la detective-story, ha collezionato 17 vittorie e decine di nomination nei più importanti premi "dedicati", compreso Il National Book Award e il Mystery Writers of America Edgar Allan Poe Award.

E' anche un autorevole critico letterario e scrive recensioni per il New York Times e il Washington Post. Nato e cresciuto nel Michigan, si è laureato nel 1974 alla Eastern Michigan University in Letteratura Inglese e Giornalismo.

Si autodefinisce uno scrittore "lento", pur trascorrendo sei ore ogni giorno alla macchina da scrivere (niente computer...).

Appassionato fan di Conan Doyle e membro della Società holmesiana "Gli Irregolari di Baker Street", ha dedicato al grande detective due romanzi in cui lo contrappone a quelli che definisce i più famosi super-cattivi della letteratura vittoriana...: Dracula e il Dottor Jekyll. "Sherlock Holmes contro Dracula" è stato tradotto in 23 lingue e continuamente ristampato dall'anno di prima pubblicazione (1978).

Per visitare il sito personale di Estleman, clicca qui.

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mercoledì 17 marzo 2010

In Alice in wonderland di Tim Burton Alice diventa un'eroina normalizzatrice...


Diciamo pure che Alice nel paese delle meraviglie, oltre ad essere stato un classico dell'infanzia (che pure si offre a sofisticate letture) ha molto interessato i cineasti che si sono cimentati più volte in riduzioni cinematografcihe sia con attori reali sia in animazione.
Questo "Alice in wonderland" di Tim Burton si pone un po' come un sequel delle due storie fantastiche elaborate da Lewis Carroll (e farebbe quasi pensare alla rivistazione di un altro grande classico dell'infanzia operata da Spielberg con Hook).
Alice è ormai una fanciulla di 17 anni, orfana di un padre che, oltre ad essere un intraprendente commerciante, era per la figlia ancora bimbetta un grande narratore di storie.
Alle soglie di una grande festa in una country home di lontani parenti nobili e ricchi, dove, a sorpresa (ma è un segreto di Pulcinella per tutti, fuorchè per la diretta interessata), la mano di Alice verrà chiesta da un giovane lord alquanto bruttino.
Ma, a questo punto si apre la "distrazione" verso il mondo fantastico (per Alice, sempre estremamente vivido in forma di sogni e, a volte, di incubi, come traccia dei racconti del padre) che, in questa vicenda, diventa il "sottomondo": Bianconiglio la attira verso un buco nascosto tra le radici di un vecchio albero nodoso e spezzato da un fulmine e Alice precipità giù, in una caduta fantasmagorico dove si esercitano al meglio gli effetti in 3D.
Attraverso una serie di peripezie e l'incontro con uno stuolo di personaggi fantastici che, pur essendo elaborati sulla falsariga di quelli del classico di Carroll, sono - come nei migliori sogni ed incubi - il frutto della combinazione delle fantasie inconcsce di Alice con il cosidetto "residuo diurno" di fatti accaduti nella realtà e personaggi effettivamente incontrati.
Una sfilata di personaggi, elaborati con profusione di effetti speciali: qui la vicenda di Alice "classica" si perde e diventa la personale rielaborazione di Tim Burton.
Abbandonato il tentativo di riprodurre i paradossi semantici, i calembour linguistici, le comunicazioni a doppio legame che tanto hanno interessato gli psicologi relazionali, (e che da essi sono stati citati ad esempio di come una comunicazione asu più livelli contradditori possa ingenerare follia), Tim Burton trasforma l'avventura sotterranea di Alice in una lotta tra il Male (impersonato dalla Regina di Cuori - the Red Queen - cui dà il volto la moglie di Tim Burton) e il Bene (la Regina bianca).
Secondo la profezia scritta su di una pergamena animata gelosamente conservata dai custodi del Bene, nel Sottomondo, infatti, soltanto Alice, brandendo una magica spada potrà sconfiggere la Regina di Cuori ed il suo più temibile guardiano, un drago possente e altrimenti invicibile.
Alice avrà la meglio nella lotta, assumendo le vesti di paladino del popolo dei bianchi e di tutte le creature che ne fanno parte (il Cappellaio matto, il Brucaliffo, la Lepre marzolina, lo stesso Bianconiglio, per non parlare di Panco Pinco e Pinco Panco).
Ma l'intrinseca "cattiveria" del Paese delle meraviglie, la sua stupefacente capacità di provocare follia e paralisi del pensiero decisionale con i suoi paradossi, in qualche modo si perde per strada e Alice, di questo mondo diventa, una specie di "normalizzatrice".
In un certo senso, Alice, per diventare adulta e potere prendere le sue decisioni autonome, nella vita reale, deve sconfiggere quel tanto di follia e caos che è dentro di lei e che è stato instillato dai racconti fantastici del padre, quando era bambina.
In compenso, il film è dominato da una fantasiosa grafica, a tratti lussureggiante e quasi psichedelica.
Il film è decisamente godibile, anche se gli effetti in 3D sono limitati al minimo quasi inesistenti e anche se nei suoi sviluppi si presenta come un'altra storia rispetto a quella originaria, una re-interpretazione che, tuttavia, non presenta quegli aspetti insieme malinconici e macabri, tipici della rappresentazione del mondo interiore di Tim Burton, come ne La sposa cadavere, in Edward mani di forbice o in Sweeney Todd, dove l'aspetto macabro-horror è sviluppato all'ennesima potenza e assume quasi toni disturbanti.

Per vedere il trailer, clicca qui.

Questo è invece il commento che avevo scritto, ancora caldo, poco dopo aver finito di vedere il film la prima volta:
Una psichedelica, lussureggiante, interpretazione del classico Alice in wonderland di Lewis Carroll da parte di Tim Burton. Dietro gli elementi fiabeschi, come è nella poetica di Burton si intravede lo spettrale e il macabro che tuttavia sono perfettamente fusi con la parte godibile della storia.
Che, in metafora, restituisce l'idea del viaggio visionario dentro se stessi alla ricerca di verità possibili e di scelte esistenziali congrue. Nei momenti difficili e cruciali della nostra vita una discesa tormentosa, ma ciò nondimeno stimolante, negli inferi della follia (morte e rinascita, secondo altre filosofie) può avere un effetto risolutorio.
E' quello che sosteneva quell'altro grande visionario, Ronald Laing, nelle sue teorie sulla follia, intesa come viaggio.
Johnny Depp nella parte del Cappellaio Matto un po' delude rispetto ad altri ruoli interpretati in precedenti film di Tim Burton, sorprendenti anche gli altri personaggi canonici della storia, sia quellli "veri"sia quelli virrtuali o digitalizzati...
Tuttavia, per molti critici, questo lavoro di Burton è risultato deludente e troppo "normalizzato" come rappresentazione d'un mondo intrinsecamente folle, nel senso che qui l'eroina Alice sembra avere il compito di normalizzare questo e di riportarvi l'ordine della ragione e del buon senso.
Molto più incisiva da questo punto la versione in cartoni animati della Walt disney, risalenti a tanti anni addietro, in cui invece "wonderland" mantiene intatto sino alla fine il sapore forte dell'incubo dal quale, quando le minacce diventano troppo incombenti e pressanti, ci si può salvare soltanto con un repentino risveglio.

venerdì 12 marzo 2010

Shutter Island: un bel psycho-thriller che pone degli interrogativi sulle istituzioni totali e sul controllo della mente


Shutter Island, l'ultima fatica di Martin Scorsese si presenta come un bel "psycho-thriller. Potrà piacere o non piacere, ma è sicuramente interessante perchè consente di gettare uno sguardo su di una realtà poco frequentata dai cineasti. Forse in passato, solo Frances ci aveva offerto una cruda rappresentazione della psichiatria manicomiale americani degli anni del maccartismo. Il prezzo da pagare, per chi si accosterà alla visione di questo film, denso di citazioni e di omaggi ad altri cineasti, è quello di un'atmosfera claustrofobica senza requie.

Shutter Island si presenta sin dalle prime battute, come un film allucinante e di delirio.
L'incurisone nell'isola in cui ha sede una struttura manicomiale giudiziaria, ha dei toni fortemente drammmatici, grazie anche ai cromatismi musicali orchestrati da Robbie Robertson, ex-componente di The band, il mitico gruppo rock che fece parte delle passioni giovanili di Martin Scorsese (e che ad esso dedicò anche un film: The last waltz).
Allucinazioni, incubi, deliri: questa la cifra che accompagna lo spettatore per tutta la durata del film.
Ma è l'isola in sé e tutto ciò che vi accade a indurre nello spettatore e nell'agente del FBI in ispezione questo umore delirante?
O c'è dell'altro?
Non è possibile dare una risposta a tale quesito senza rovinare allo spettatore il piacere della visione e della scoperta.
Occorre vivere sino in fondo l'avventura del film, con tutto il suo carico di angoscia e claustrofobia.
Anche se occorre fare attenzione ai piccoli indizi, agli incastri, alle coincidenze, perchè alla fine tutto va a posto come in un gigantesco puzzle.
Numerose ovviamente le citazione: tra cui l'omaggio a Hitchkoch con la scala a chiocciola del faro misterioso, che è anche l'ultima spiaggia della verità (compresa l'immersione nelle acque gelide dell'oceano per raggiungerlo), per non parlare di altri film in cui il protagonista vive la vicenda, ignorando un pezzo fondamentale di verità che lo riguarda (basti pensare a film come The others oppure a Il sesto senso).
La ricostruzione torva dell'ambiente manicomiale che funziona da luogo di cura ma che, nello stesso tempo, è una prigione (che tanto rimanda alle atmosfere dei campi di sterminio nazisti) è perfetta, ma va anche detto che i cromatismi, le atmosfere e, conseguentemente, la percezione che se ne ha variano molto in funzione dello stato d'animo dei personaggi e in particolar modo di Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio), l'agente dell'FBI inviato ad indagare sulla scomparsa di una paziente.
Lo sguardo di Teddy si fa, nel corso dell'indagine, sempre più allucinato e smarrito, sino al disvelamento finale.
Shutter Island come struttura manicomiale giudiziaria è un'istituzione totale (assimilabile, dunque, a buon diritto ai citati campi di sterminio), ma risente anche di altri influssi. Come fa notare Oliver Sacks nella prefazione ad uno splendido volume fotografico "Asylums. Inside the closed world of state mental hospitals" (con le fotografie di Christopher Payne, 2009), i grandi istituti psichiatrici statali, negli USA nacquero con intenti filantropici (grazie all'incanalamento di donazioni generose da parte di privati) proprio per garantire a chi era in una condizione di difficile recupero (in assenza di terapie adeguate come sono quelle moderne prevalentemente psico-farmacologiche, sia pure integrate con altri approcci) una vita in un ambiente protetto, ma fornita di tutto quello che si poteva avere nel mondo esterno.
In ciò, Oliver Sacks va in controtendenza rispetto all'elaborazione storiografica di Michel Foucault (che vede le istituzioni manicomiali sin dai primoridi come luoghi di emarginazione e controllo del diverso) e alla lettura sociologica sulle istituzioni totali che annullano l'individuo data da Erving Goffman (Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Milano, Edizioni di Comunità, 2001, originariamente edito da Einaudi, nella collana "Nuovo politecnico", ai tempi delle grandi battaglie di Basaglia).
Poi, a causa del venir meno dei finanziamenti, a poco a poco quello slancio filantropico ispiratore andò affievolendosi e questi luoghi, concepiti come ambiti protetti per il riposo e per una vita tranquilla, presero lentamente a trasformarsi in universi concentrazionari, spesso dominati dalla volontà sadica di medici che sperimentavano terapie utili ad abbreviare i tempi di permanenza attraverso la conquista di una "falsa normalità", ovvero con la "guarigione" ottenuta attraverso interventi pesanti e devastanti (come l'elettro-shock terapia oppure la lobotomia transorbitaria).
Peraltro, l'ambientazione del film (e del romanzo) nel 1954 dà forza all'idea di una psichiatria al servizio del controllo panottico e della normalizzazione dei suoi cittadini più "estremi" e della sperimentazione di psico-tecniche per ottenere la docilità degli individui o per plagiarli.
Esemplari i due vertici "curanti" del manicomio di Shutter Island, impersonati da un Ben Kingsley, ipocritamente filantropico e all'avanguardia nelle tecniche di cura (siamo agli albori dell'era psico-farmacologica) a da un inquietante Max von Sydow, consulente esterno della struttura federale e forse ex-nazista aduso ai metodi dei campi di sterminio.
La psichiatria in questi ambiti opera, infatti, sempre a doppio scambio o meglio sul doppio registro del volto buono e di quello perverso (che il più delle volte rimane celato): questo è un dato di fatto che agisce nelle menti più labili, perchè severamente colpite da gravi traumi, ingenerando in esse rappresentazioni distorte e attivando paranoie.
Il film di Martin Scorsese, felice trasposizione del romanzo di Dennis Lehane, L'isola della paura (con titolo omonimo a quello dell film, in lingua originale) fornisce un'egregia rappresentazione di tutto questo: la combinazione sfacciata tra gli aspetti benevoli e filantropici e quelli sadici e violenti dei metodi di cura più hard pur di ottenere una "guarigione": a quale prezzo non importa, anche se nel frattempo, la personalità originaria dell'individuo dovesse scomparire.
La filantropia appare soltanto una facciata che può nascondere una feroce volontà di dominio e di potenza, mascherata con i paramenti della cura.
Ciò lo si osserva nell'ipocrisia di voler chiamare i residenti dell'isola "pazienti" e mai "detenuti" e di pretendere di trattarli con umanità, quando invece sono assicurati con pesanti catene o chiusi in celle degradate ed inospitali quasi fossero belve feroci che devono essere ammansite, ma è anche vero che è quel margine di percezione soggettiva, proprio dello sguardo di Teddy Daniels, a promuovere di continuo uno slittamento da un aspetto all'altro.
Shutter Island, come il romanzo del resto, si proopone anche come una storia sulla negazione del trauma e sul costante tentativo di annullarlo per non dovercisi confrontare e sul percorso sofferto, soffertissimo, di recupero della memoria di ciò che è stato fatto.
Ma per che cosa poi?
A cosa servono il recupero della memoria e la fine delle negazioni?
Forse è meglio vivere con la mente disintegrata che con il costante assillo del proprio passato traumatico...

Per vedere il trailer, clicca qui.
Scheda film
Regia: Martin Scorsese
Interpeti principali: Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson,Max von Sydow, Jackie Earle Haley, Emily Mortimer, Elias Koteas, Ted Levine, John Carroll Lynch, Christopher Denham, Nellie Sciutto, Tom Kemp, Curtiss Cook, Joseph McKenna, Ken Cheeseman, Joseph Sikora, Drew Beasley, Ruby Jerins, Damian Zuk, Gary Galone, Dennis Lynch
Genere: drammatico
Durata: 138 min
Origine: USA 2010
Distribuzione: Medusa
Rating: VM 14
Uscita nelle sale italiane: venerdì 5 marzo 2010.

lunedì 1 marzo 2010

The Book of Eli: il futuro dell'umanità è riposto in quel libro...


Con Codice Genesi (The book of Eli), realizzato per la regia dei fratelli Hughes da alcuni anni assenti dai circuiti del cinema mondiale, arriva sul grande schermo un ulteriore film che dà sostanza alle inquietudini post-apocalittiche e millenaristiche, di cui il recente remake di Io sono leggenda è stato un ottimo esempio o il fresco La strada (tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy) è un altro ottimo esemplare visionario e dolente (che, in Italia, non potremo vedere nelle sale cinematografiche, perchè giudicato troppo crudo nei suoi contenuti).
La filmografia post-apocalittica segue un percorso parallelo a quella post-catastrofe: ambedue, sono accomunate dal fatto che studiano l'effetto che l'apocalissi o la catastrofe potrebbero avere sull'umanità e quali potranno essere (se ce ne saranno) i modi di ripartita di una parvenza di civilizzazione.
Sul tema della catastrofe, per esempio, abbiamo avuto modo di vedere di recente, Segnali dal futuro (che decreta la fine del mondo, anche se una seconda chance "sovrannaturale" a data a poche coppie assortite in un altro luogo dell'Universo) e 2012, in cui un gruppo ristrettissimo di uomini - assieme a tutto il bagaglio tecnologico - sopravvive ad un cataclissma su scala mondiale che rimodella radicalmente il globo terracqueo, per poter ricominciare a costrire un mondo (forse) migliore.
I film post-apocalittici sono in genere più pessimisti.
In essi, al narratore non interessa la catastrofe in sè e il suo antefatto (che si tratti di epidemia, come in Io sono leggenda), o olocausto nucleare (come nei vari Interceptor, Mad Max e altri, tra i quali si distingue per la sua poeticità il già citato La strada), bensì il dopo: i film post-apocalittici iniziano a catastrofe già avvenuta, precipitando lo spettatore nel bel mezzo del mondo atroce (senza apparente redenzione) che verrà.
E il "dopo", il più delle volte, è davvero da incubo: pochissimi i soravvissuti, un'umanità degradata, senza risorse e senza morale, homo homini lupus, cannibalismo, mutazione genetiche indotte dalla radioattività e dall'imperversare delle radiazioni UV. Disperati che migrano di continuo alla ricerca di sempre più magre risorse, nomadi, cittadelle governate da delinquenti e fondate sulla legge del più forte e della sopraffazione.
In questo senso, i film post-apocalittici danno corpo alle nostre paure più profonde, perchè propongono l'estrapolazione estrema di un mondo senza sicurezza.


Ma torniamo al Codice Genesi...
Il titolo del film in Italiano è fuorviante, perchè si se si cerca in internet "codice genesi" si ritrova del materiale attinente ad alcuni filoni di lettura della Bibbia di tipo occultistico, legati allo studio della ricorrenza di determinate parole chiave, posizionate in modi tali e con tali frequenze da lasciar suppore che la disposizione delle lettere corrisponda ad un qualche progetto, di cui è ignoto il disegno.
Il titolo in Inglese, invece, è semplicemente The book of Eli.
In entrambi i casi, il titolo comunque - e insospettabilmente - rilancia la funzione della Bibbia, come strumento di salvezza, in quanto "libro dei libri".
Il mondo è andato in rovina.
Sin dalle prime battute si presenta allo spettatore uno scenario post-apocalittico.
Distese desertificate, abitazioni distrutte, relitti di metallo, polvere, cenere.
Ad acccrescere la desolazione di un paesaggio che -nella sua inospitalità - sembra quasi lunare, i registi hanno privilegiato scelte cromatiche ridotte al minimo, in cui dal bianco/nero molto contrastato, si passa a viraggi seppiati oppure a cromatismi ipersaturi sempre molto contrastati.
Un viandante, Eli (Denzel Whashngton), cammina lungo le immense strade rettilinee che solcano il deserto postnucleare.
E' diretto ad Ovest.
Questa, a quanto sembra, è la sua missione.
Tra le cose essenziali che costituiscono il suo bagaglio di nomade, possiede un libro antico.
Lo legge ogni giorno, ogni sera.
Lo conosce a meraviglia. lo recita.
Eli vive in profonda solitudine. ma possiede il suo libro e ha una missione da compiere.
Da 30 anni, da quando si è salvato dalla catastrofe, va avanti nel suo cammino, che presenta delle interruzioni, per poi riprendere, sempre diretto ad Ovest.
Eli è anche un guerriero.
Il mondo è popolato da sopravvissuti inselvatichiti e degenerati, da uomini che hanno perso la rettitudine e che, per sopravvivere, si dedicano alla rapina e al cannibalismo.
Eli, nei suoi incontri, mai benigni, si difende.
Sa difendersi perchè è un guerriero: conosce l'uso della spada e delle armi da fuoco e ha delle capacità marziali non comuni. E si difende ferocemente, perchè la sua missione è la cosa più importante.
Il film si muove tra scenari alla Interceptor (l'antefatto a Mad Max) e alla Mad Max (con particolar riferimento a Mad max Beyond the Thunderdome), ma fa anche l'occhiolino a La strada di Cormack McCarthy e alla recentissima versione cinematografica che ne è stata tratta.
Ma, malgrado le similitudini con gli scenari post-apocalittici cui quelli citati e tanti altri film ci hanno abituato, riserba delle sorprese che sono collegate a quel libro che Eli porta con sé e da cui legge ogni giorno.
Un libro di "potere", poichè tutte le copie di esso esistenti, il giorno dopo l'olocausto nucleare, sono state distrutte, perchè sono state considerate alla radice del male e degli odi.
Quella che Eli possiede è l'ultima copia sopravvissuta al rogo.
E' un libro che fa gola a chi vorrebbe prendere di nuovo iin mano le rediini d'una parvenza di governo, ma per motivi non legittimi: il Libro, infatti, contiene le parole giuste, quelle che conferirebbero a chi le pronuncia un potere immenso, come è accaduto in passato, come è con i fondamentalismi che fomentano gli odi e che consentono di manipolare i "credenti".
Con il riferimento al rogo dei libri, la trama strizza l'occhio a Farenheit 451 (Ray Bradbury) e al film che ne è stato tratto (Truffaut).
Eli, il profeta, alla fine riuscirà a compiere la sua missione, salvando ill libro, in un modo insospettabile, mentre il falso profeta (impersonato dal vilain Gary Oldman) rimarrà con un pugno di mosche in mano, mentre il mondo di potere e di violenza che aveva cercato di costruire crolla miserevolmente.
Eli si purifica e si santifica, con il compimento della sua missione.
Una parte cameo è riservata a Malcom McDowell (Arancia meccanica), nei panni del curatore della biblioteca di volumi preziosi per l'Umanità messì in salvo nell'isola fortificata di Alcatraz (la meta finale del viaggio di Eli) e a Jennifer Beals (Flashdance), nella parte della madre cieca di Sonora, la giovane donna che, prima per interesse, poi per fede, si unisce alla causa di Eli, accogliendo infine il suo lascito e tornando ancora una volta nel mondo distrutto, per diffondere il Verbp, come monaca-guerriera.
Il film riserva ben più di una sopresa: è molto godibile, intenso, anche se non mancano scene di violenza estrema che però sono riassorbite dalla complessiva validità delal trama e dall'intenso significato simbolico della vicenda.
Ci si chiede, tuttavia, come è possibile che la censura italiana abbia bloccato l'immissione nei circuiti cinematografici de "La strada" tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, giustificando un simile provvedimento con la crudezza di alcune scene e che abbia invece autorizzato la diffusione di questo film che, in fondo, tratta eventi dello stesso tipo e con toni assolutamente simili.
un film che, malgrado gli accessi splatter, riesce ad essere profetico e visionario.
Eli si muove nel mondo bruciato come una sorta di monaco-guerriero, veicolando con sé un verbo profetico.
Eli è come Elia, uno dei maggiori profeti della Bibbia, che oltre a diffondere il verbo di Dio, fu un valente guerriero, in nome di Dio, ed in una celebre battaglia uccise - da solo - così narrano le scritture del Vecchio testamento - 450 guerrieri.
E, come ogni profeta, Eli, probabilmente è...
Ma questa è una delle sorprese che occorre lasciare intatta agli spettatori.

Per vedere il tralier, clicca qui.
Il codice genesi
Il “Codice Genesi” (o Codice della Torah) è un codice che si sostiene sia stato intenzionalmente integrato nei testi della Bibbia, individuabile ricercando particolari sequenze di lettere equidistanti. Ad esempio, partendo da una lettera qualsiasi, possiamo prendere in considerazione solo le lettere n-esime nel testo, ovvero le lettere spaziate a intervalli regolari di n caratteri, esclusi gli spazi fra parole. Se si setaccia secondo tale schema un intero libro biblico, come la Genesi, il risultato è naturalmente una lunghissima successione di lettere.
Per saperne di più, clicca qui.

Scheda film

Regia: Albert Hughes, Allen Hughes;
Interpreti prrincipali: Denzel Washington, Gary Oldman, Mila Kunis, Ray Stevenson, Jennifer Beals.Frances de la Tour, Michael Gambon, Tom Waits, Lateef Crowder, Malcolm McDowell, Chris Browning, Evan Jones, Joe Pingue, Lora Cunningham, Scott Michael Morgan, Don Tai, Luis Bordonada, Richard Cetrone, Keith Davis;
Titolo originale: The Book of Eli;
Genere: thriller, science fiction;
Ratings: Kids+16; Durata: 117 minunti;
Origine: USA 2010 01 Distribution;
Uscita nelle sale italiane: venerdì 26 febbraio 2010
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