mercoledì 22 luglio 2009

Una ragazza piange su una panchina. Come nascono le storie


Un fotografo in partenza su di un treno scatta questa foto di una ragazza che piange seduta su di una panchina.
Queste le sue riflessioni: "Ero in compagnia di mia moglie e mio figlio Lorenzo, felici e contenti perchè proprio in mattinata Lorenzo si era laureato in Chimica nella vicina Università degli Studi di Milano-Bicocca. Ad un certo punto, ho visto arrivare questa ragazza che piangendo (magari per un esame andato male) s'è accomodata in un angolo della panchina vuota. Per un instante la mia gioia si è tramutata in malinconia pensando che a volte la vita è ingiusta . Ma forse è troppo presentuoso poter pensare che tutti possano essere felici nello stesso momento".
"Ragazza che piange su una panchina": è una foto tematica, colta casualmente, che può indurre a fantasticare e a raccontare tante storie diverse...
Sarà davvero che piange perchè l'esame è andato male?
Oppure cosa?
Sarà stata appena lasciata dal suo ragazzo?
O viene da un litigio familiare?
E non potrebbe darsi che stia piangendo di felicità?
Da uno stesso punto di partenza (il dato sensoriale, abbinato al percetto e al "costrutto", che ne scaturisce) a ritroso, possono dipanarsi molte possibili vie.
Storie di vita diverse, anche se noi - da osservatori, il più della volte abbiamo la tendenza ad utilizzare un copione pre-fissato sulla base d'una griglia di lettura che si è costituita dentro di noi con l'ausilio di quelle esperienze di vita che abbiamo vissuto.

A volte, bisogna saper andare oltre: è questa la vera essenza del raccontar storie.
Nell'ipotesi che la ragazza stia piangendo di dolore e delusione, secondo l'immediata lettura data dal fotografo - occasionale osservatore - è certo che, a volte, la vita è ingiusta, perchè dà e poi - come ha elargito - toglie...

Di queste alterne vicende noi, a volte, siamo semplici spettatori ma, a volte, siamo i protagonisti.
E' la ruota del mondo che, come una giostra, gira sempre, con alti e bassi...
Il metafisico John Donne, al riguardo, scrisse una bellissima poesia, uno dei cui versi venne impiegato da Hemingway per dar titolo ad uno dei suoi romanzi più famosi.
Il dolore e il pianto dell'altro sono in qualche misura i nostri e ciò è alla base della compassione e dell'empatia.

Per chi suona la campana?

Nessun uomo è un'isola

Nessun uomo è un'isola,
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla
venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
suona per te.
John Donne - Meditation XVII

Foto di Bruno Beretta

sabato 18 luglio 2009

"Il consumismo ti consuma", ovvero come siamo indotti a vivere di corsa, scartando e sostituendo


"Il consumismo ti consuma" è uno slogan noto che contiene una profonda verità, come mostra il saggio di Zygmunt Bauman "Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell'effimero" (Il Mulino 2009), in realtà la fedele trascrizione della lectio magistralis tenuta dalla studioso all'apertura dell'anno accademico 2008-2009 dell'Ateneo bolognese.
Afferma Bauman:
La società dei consumi rimane florida fintanto che riesce a rendere permanente la non soddisfazione (e così, per sua stessa definizione, l'infelicità). Un modo di ottenere un simile effetto consiste nel denigrare e nello svalutare iprodotti di consumo subito dopo che sono stati lanciati nell'universo dei desideri dei consumatori" (op. cit. p. 52).
La follia del consumismo è, in effetti, la nostra rovina, non certamente un'ancora di salvezza.
La proposta politica nostrana che, per risolvere la crisi in cui ci troviamo occorre "consumare" di più è folle ed insensata.
Un tempo si dava rilevanza alla conservazione degli oggetti, al tramandarli da una generazione all'altra, all'utilizzarli come lascito per futura memoria (e, ogni tanto, con parsimonia, il rinnovamento), adesso lo pseudo-valore che ci è stato inculcato dall'industria dei consumi è quello che ruota attorno ad attività come "scartare", "svalutare" e "sostituire".
A casa, mi capita di guardare degli oggetti prodotti dalla nascente industria petrolchimica negli anni '60: tipo cestelli di plastica per la frutta, ciotole, stoviglie.
Quelli che a casa e che mia madre ha comprato quando ero bambino sono ancora intatti, perfetti, in ottimo stato d'uso.
Soltanto in seguito sono state introdotte delle varianti nella tecnica di produzione degli oggetti di plastica per renderli deteriorabili: altrimenti, il rischio sarebbe stato quello di saturare il mercato e non avere più acquirenti.
Anche le calze di nylon di prima generazione erano pressocchè indistruttibili e, anche in quel caso, la formula di produzione venne variata in modo tale da rendere il filo fragile e di breve durata.

Alcuni rappresentanti di mobili svedesi degli anni Sessanta hanno smesso di venderli proprio perchè erano di ottima qualità e duravano a lungo. E chi li comprava per arredare la propria casa, poi per molti - troppi - anni non aveva bisogno di un ricambio.
Ogni oggetto tecnologico attuale viene prodotto con una sorta di meccanismo ad orologeria regolato a tempo, per cui non ha più di una certa durata e, quando giunge l'ora, qualcosa inesorabilmente si rompe: dopodichè non vi è più alcuna convenienza a farlo riparare, stante anche l'elevato costo della manutenzione e dei pezzi di ricambio, ma è consigliabile acquistarne uno nuovo, possibilmente tecnologicamente più evoluto.
E se non è la tecnologia ad indurre a consumare, ci si mette la "moda": una serie di oggetti vengono dichiarati obsoleti dopo una stagione soltanto e, per stare al passo, occorre sostiturili con altri nuovi e aggiornati, costruiti secondo rinnovati dettami stilistici.
Oggi il leonardesco Uomo di Vitruvio dovrebbe essere più plausibilmente rappresentato, mentre spinge davanti a sé un carrello della spesa.


Bisognerebbe ritornare ad un modo diverso di concepire l'economia, ridimensionando l'
Homo consumens, che - attraverso un mostruoso feeding di martellamento pubblicitario e di induzione di falsi bisogni (o neo-bisogni) - è stato fatto crescere a dismisura, e ritornando alla cultura e alle prassi dell'
Homo faber, che è in grado di soddisfare da sé la maggior parte dei suoi bisogni. Certo, non è facile, come afferma Bauman. E' come se i potenti imprimessero su queste attitudini l'imprimatur di uno stigma. Sempre seguendo Bauman:
Darsi obiettivi raggiungibili,garantire facile accesso ai beni che corrispondono a tali obiettivi,e credere in limiti oggettivi ai desideri 'autentici' e 'realistici' sono i principali avversari dell'economia orientata ai consumi e sono destinati all'estinzione. l'autentico volano dell'economia finalizzata ai consumi è la 'non' soddisfazione dei desideri, unita alla salda e perpetua convinzione che ogni atto finalizzato alla loro soddisfazione lascia molte cose da desiderare e può essere migliorato.(op. cit. p.51)
Le soluzioni sono lì a portata di mano.
Come ad esempio, ritornare al lavoro artigianale e a forme di produzione locale, su scala regionale o anche su scala più ridotta ancora.

Oppure incrementare le abilità manuali nell'ordinaria manutenzione degli oggetti e nella fabbricazione a basso costo di pezzi di ricambio.
L'obiettivo vero dovrebbe essere quello di consumare di meno e di amplificare le proprie risorse lavorative, investendo in piccole imprese sostenibili, riciclandosi in mestieri che richiedano l'acquisizione di nuove abilità e di know-how.
E questo obiettivo potrebbe essere raggiunto incrementando le forme di piccolo prestito, ma non come viene fatto ora (con un opportunismo che ha del delinquenziale: basti guardare al volantinaggio selvaggio che viene fatto per le vie delle città per la promozione di prestiti e finanziamenti "convenienti") solo allo scopo di incrementare i consumi, fondandosi su denaro che non c'è, ma per avviare piccole imprese e, da parte dello Stato, incrementando iniziative formative che consentano ai volenterosi di impegnarsi in attività sostenibili (che non siano esclusivamente i soliti apprendimenti sul lavoro del volontariato).
La storia dei "banchieri dei poveri" e lo sviluppo pratico del microcredito sono,
al riguardo, esemplari (dalla storia di Muhamad Yunus alle prassi di Maria Novak, raccontate nel volume "Non si presta solo ai ricchi. la rivoluzione del microcredito", Einaudi, Torino, 2005).
Il libro di Mario Calabresi,
"La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi" (Mondadori, 2009), è un monito, ma anche un'interessante antologia di esempi folgoranti tratti dall'America della crisi pre-Obama, sulle maniere per rialzarsi in piedi e riprendere ad andare, ma in modi del tutto nuovi e creativi, in un certo senso reinventandosi la vita e le possibilità lavorative.

Non crediamo dunque ai nostri politici quando dicono che per uscire dalla crisi bisogna consumare di più.
Non crediamo ai sostenitori della "finanza creativa".
Le loro sono ciniche menzogne.

Consumare di più ci porta inesorabilmente verso il baratro e ci impoverisce: di fatto, perchè promuove un depauperamento delle risorse disponibili (che sono sempre più esigue) e dello spirito, perchè ci induce a porre le ragioni della nostra sopravvivenza in qualcosa che è esterno a noi e che viene spostato sempre più in là, ad un pelo dalla nostra possibilità di raggiungerlo e di farlo nostro (ed in ogni caso. se ciò accade, rimane soltanto un evento effimero, presto travolto dall'insorgere di nuovi bisogni che ci spingono ad un'affannosa corsa in avanti).
E' questa la verità ineludibile.

Certo, siamo di fronte ad una battaglia difficile: ma è una battaglia che deve essere combattuta.
E' in gioco l'alternativa tra la libertà delle proprie scelte e l'asservimento sempre più totalizzante ad un sistema dittatoriale (che, soprattutto, rende sempre più schiave le nostre menti e ha un effetto paralizzante sullo sviluppo libero e fantasioso delle nostre attitudini).

giovedì 16 luglio 2009

La fragilità dell'uomo e l'immensità della natura


La luna alta nel cielo al primo mattino.
Il paesaggio brullo, esso stesso di una consistenza pietrosa, quasi lunare.
E, in alto, quelle figurette esili, niente più che formiche sul dorso d'un gigante dormiente, danno l'idea della fragilità della condizione umana davanti all'immensità della natura.
Non siamo altro che minuscoli fuscelli davanti alla montagna con le sue altezze vertiginose e la sua tremenda vicinanza al cielo...

Ancora la luna e imponenti contrafforti rocciosi.
Cielo terso e rarefatto, di una cristallina purezza.
Le montagne che si spingono alte verso il cielo rappresentano meglio di ogni altra cosa lo slancio della pesantezza della terra verso la volta celeste.
Le cime dei monti sono il luogo delle congiunzioni mistiche astrali.
Forse sono il luogo che meglio si presta - per questa spaventosa vicinanza al vuoto del cielo - alll'incontro con un'entità superiore, se questa esiste da qualche parte.
Ma le domande cruciali sono queste: "C'è posto per l'uomo in questa intangibile maestosità della natura? C'è posto per gli uomini che vogliono soltanto dominare, controllare, plasmare il mondo in funzione delle proprie esigenze predatorie, anche al prezzo di distruggere ciò che dovrebbe essere preservato"?
L'armonia che c'era un tempo è compromessa; l'antico patto tra uomo e natura è stato oggi infranto e l'Uomo procede alla deriva su d'un pianeta che, prima o poi, gli si rivolterà contro, ostile.
La natura di una bellezza indicibile ci guarda e gli uomini, insensibili all'armonia e alla bellezza, compiono meschinità, nefandezze, misfatti.
Solo pochi cercano di perdersi nell'abbraccio con la Terra madre per puro piacere e per conquistare qualche scheggia di cielo da collocare nel proprio cuore.

martedì 7 luglio 2009

Le panchine di Perinaldo


Perinaldo è un antico borgo medievale situato a 572 metri sul livello del mare sulle Alpi Liguri (Val Crosia), subito alle spalle di Sanremo. E' un posto incantevole, da visitare, assieme all'ancora più suggestivo borgo di Apricale. Vicoli stretti, case di pietra addossate l'una all'altro, quasi a volersi dare sostegno reciproco. Il paese lungo e stretto è costruito su di uno stretto crinale.
Perinalso è un luogo dove, con facilità, nasce e si alimenta il gusto di osservare il cielo e le stelle.
Non a caso Perinaldo dette i natali ai Cassini, rinomati astronomi del XVIII secolo, che vennero addirittura chiamati alla corte del Re Sole in riconoscimento delle loro grandi capacità.
A Perinaldo abbondano le panchine - ce ne sono di tutti i tipi, da quelle improvvisate, a quelle di pietra, a quella di fattura più moderna.
La presenza diffusa di questo importante complemento dell'arredo urbano è sicuramente indice di civiltà e di antica sapienza, ma soprattutto testimonianza del gusto generale coltivato tuttora dall'esigua popolazione residente (circa 500 anime) alla sosta e alla contemplazione.
Nemmeno i gatti locali sfuggono a questa tendenza...
E che dire di quest'altra panchina a doghe bianche e celesti.
Inspiegabilmente, osservandola, sono stato colto - avvolto - da una sensazione di grande malinconia.

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