
Scrivere di Daniel Pennac (Archinto, 2008) è un libro tutto da guardare.
Da leggere, c'è soltanto la breve - ma esaustiva - premessa dell'autore che ci rivela il senso di questa serie di disegni che, in origine, in Francia vennero pubblicati come raccolta di cartoline.
Racconta Pennac che da piccolo, quando imparava a scrivere, aveva l'incoercibile tendenza ad operare una "deriva" del segno scritto che da lettera si trasformava per trasformazioni successive in disegno, che andava ad occupare il margine delle lettere scritte: era come se le lettere dell'alfabeto, si animassero, diventando altro e acquistando vita autonoma.
Continuò ad accadere la stessa cosa, quando il fratello Jean-Louis, avendo preso atto del desiderio di scrivere espresso dal giovane Pennac, gli regalò una penna stilografica, una marca prestigiosa oggi scomparsa.
Anche usando la penna stilografica, Daniel continuò a mantenere il vezzo del disegno che si animava a partire dalle lettere vergate: solo che adesso compariva in infinite varianti lo strumento stesso della scrittura, cioè la penna stilografica, sempre quella donatagli dal fratello.
La penna stilografica è infatti, per chi esercita la professione di scrittore, un ogggetto altamente pregnante, anche se oggi la maggior parte di chi scrive (per passione, per hobby o per mestiere) utilizza programmi di scrittura.
Che la penna sia legata alle personali ossessioni di Pennac scrittore è testimoniato dal fatto che la galleria di disegni è suddivisa in tre parti: sognare di scrivere; scrivere; avere scritto; morire di scrittura.
Che, poi, a ben guardare sono quattro fondamentali momenti del ciclo di vita di uno scrittore.
Assolutamente godibile: un bel passatempo di 15-20 minuti.
Da leggere, c'è soltanto la breve - ma esaustiva - premessa dell'autore che ci rivela il senso di questa serie di disegni che, in origine, in Francia vennero pubblicati come raccolta di cartoline.
Racconta Pennac che da piccolo, quando imparava a scrivere, aveva l'incoercibile tendenza ad operare una "deriva" del segno scritto che da lettera si trasformava per trasformazioni successive in disegno, che andava ad occupare il margine delle lettere scritte: era come se le lettere dell'alfabeto, si animassero, diventando altro e acquistando vita autonoma.
Continuò ad accadere la stessa cosa, quando il fratello Jean-Louis, avendo preso atto del desiderio di scrivere espresso dal giovane Pennac, gli regalò una penna stilografica, una marca prestigiosa oggi scomparsa.
Anche usando la penna stilografica, Daniel continuò a mantenere il vezzo del disegno che si animava a partire dalle lettere vergate: solo che adesso compariva in infinite varianti lo strumento stesso della scrittura, cioè la penna stilografica, sempre quella donatagli dal fratello.
In seguito mi misi a scrivere su un quaderno e a disegnare su un altro: una vittoria del margine sul testo, insomma.Il giovane Pennac, avendo imparato a scindere la scrittura dal disegno creativo, potè avviarsi nella carriera di scrittore, lasciandosi tuttavia aperto uno spazio per poter continuare a coltivare la passione del disegno che, prevalentemente, continuoò ad avere per oggetto la sua penna stilografica in tutte le sue possibili significazioni simboliche e trasformazioni.
La penna stilografica è infatti, per chi esercita la professione di scrittore, un ogggetto altamente pregnante, anche se oggi la maggior parte di chi scrive (per passione, per hobby o per mestiere) utilizza programmi di scrittura.
Che la penna sia legata alle personali ossessioni di Pennac scrittore è testimoniato dal fatto che la galleria di disegni è suddivisa in tre parti: sognare di scrivere; scrivere; avere scritto; morire di scrittura.
Che, poi, a ben guardare sono quattro fondamentali momenti del ciclo di vita di uno scrittore.
Assolutamente godibile: un bel passatempo di 15-20 minuti.
(da IBS)
Un curioso album che raccoglie 50 disegni di Daniel Pennac che hanno come protagonista una penna stilografica. Una vecchia Waterman che, a seconda dell'umore dell'autore, si trasforma in termometro, fa la siesta su una sdraio, o si sbuccia come una banana. Qui, una mano lancia una stilografica, come fosse una freccetta, verso un bersaglio che nei suoi cerchi concentrici rappresenta i diversi premi letterari, là la stilografica si consuma nel posacenere come la sigaretta dello scrittore che sa che, forse, l'ispirazione si è ridotta a un mozzicone. C'è poi la stilo-bolide, la stilo-atleta pronta a correre i cento metri, la stilo-culturista. Ci sono le stilografiche simili a proiettili nella cartucciera del panflettista e la stilo che viene fucilata. Il tutto rappresentato con il consueto fine umorismo e l'acuto spirito di osservazione di Pennac, che in questo caso, anziché con le parole, si esprime attraverso il disegno.Cenni biografici
Daniel Pennac, pseudonimo di Daniele Pennacchioni (Casablanca, 1º dicembre 1944), è uno scrittore francese. Già autore di libri per ragazzi, nel 1985, comincia - in seguito ad una scommessa fatta durante un soggiorno in Brasile - una serie di romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène, capro espiatorio di "professione", alla sua inverosimile e multietnica tribù, composta di fratellastri, sorelle veggenti, madre sempre innamorata e incinta, e a un quartiere di Parigi, Belleville.
Nel 1992, Pennac ottiene un grande successo con Come un romanzo, un saggio a favore della lettura.
«L'uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire».
Evita scritti autobiografici, per non tradire l'intimità familiare, e s'è autoimposto che, in ogni romanzo, debba avvenire sempre una nascita importante.
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