Mi capita di leggere in Facebook queste riflessioni che riferisco anonimamente:
Evidentemente, l’anonimo commentatore si riferisce al fatto che qualcuno è morto e amici e conoscenti hanno dato l’annuncio della sua morte nel suo stesso profilo, così da trasformare quel profilo come luogo del dialogo con un defunto, ma anche come luogo della perpetuazione (puramente virtuale) di chi non è più.
A questa possibile applicazione di Facebook ancora non ci si era pensato. Se nessuno estingue quel profilo, il profilo rimarrà attivo e potrà essere di continuo alimentato con nuovi contenuti. Facebook è una vetrina e, in una vetrina, tutto può diventare oggetto d'esposizione: sta a noi decidere quale linea seguire se farne una vetrina scintillante per tutto ciò che (ci) accade oppure farne un luogo di riflessione ed osservazione del mondo che ci circonda e del nostro mondo interiore, ma anche di condivisione con qualcuno che sia realmente interessato a quello che sei e a come vedi le cose... Tutto il resto è destinato ad una vita effimera: come c'è, altrettanto rapidamente è destinato a scomparire inghiottito dal vettore lineare in cui si organizzano i contenuti di FB, specie quelli istantanei…
E il flusso temporale è velocissimo, così come l’inabissamento dei contenuti.
A stento c’è il tempo di condividere ed è già passato, inghiottito appunto…
Non a caso, la parola inglese per “nuovi contenuti” è “new feeds” (cioè nuovo cibo, nuovi alimenti).
Nuovo cibo per chi?
Ma di Facebook, ovviamente, che diventa una sorta di Moloch che tutto inghiotte delle nostre vite, lasciandoci con la sensazione che senza la pagina del profilo da alimentare continuamente noi moriamo in qualche modo, ci spegniamo!
Non a caso, in alcune realtà, si sono cominciati ad attivare degli interventi per coloro (soprattutto adolescenti) che sono diventati dipendenti da Facebook e che passano compulsivamente ore davanti ad uno schermo di PC a navigarvi.
Una dipendenza particolarmente insidiosa, perché riguarda l'ossessione di costruire e alimentare la propria identità e, del pari, di osservare cosa fanno gli “altri” in una realtà finta, fatta di specchi e rimandi, in un gioco di scatole cinesi, in cui il proprio sé finisce con lo smarrirsi…
Personalmente, di alcuni in FB sono divenuto virtualmente amico (e nulla esclude che un giorno ci possa anche incontrare), di altri ero già amico prima e con questi, attraverso FB, semplicemente ci comunico molto sobriamente, ma poi basta!
Tutti gli altri sono solo rapporti vuoti.
Gli “altri” dedicano alle mie cose solo uno sguardo distratto che spesso si esaurisce nel "mi piace", senza una volontà di autentica interazione e, se tu entri nel merito di un rapporto personale, chiedendo solidarietà, comprensione, dialogo autentico, il più delle volte incontri soltanto un muro di silenzio e indifferenza.
Sarebbe bello se la “piazza” virtuale potesse diventare un vero luogo d’incontro, un'agorà dove si incrociano destini e da dove si organizzano relazioni vere, nella realtà di fuori.
Il rischio è che ci si chiuda sempre di più in questo mondo finto ed effimero, in cui l’unica maniera per “sentirsi vivo” e partecipe è quello di alimentare di continuo il Moloch/FB…
Mi sembra quasi che ognuno degli iscritti a Facebook, per alcuni aspetti, chi più chi meno, sia come un recluso in una cella in totale isolamento e che, per sentirsi vivo, batta dei colpi di continuo dei colpi su una tubazione dell'acqua allo scoperto oppure sul muro di pietra gelido. Ogni tanto, qualcuno risponde con altri colpi. E così si va avanti, mondi totalmente isolati, solitudini che di rado, se non mai, entrano in rotta di collisione.
La morte su Facebook e' qualcosa di agghiacciante. Capita che la notizia della propria morte venga data nello stesso profilo di chi è appena deceduto, a mano di altri, e seguono i commenti e i commiati. Doloroso, straziante e commovente, ma assurdo. La morte, la vita, tutto e' spettacolo, Facebook ci riduce ad attori di un palcoscenico, quanto mai finto, e a poco a poco ci toglie la nostra stessa vita Ho il timore che Facebook non sia solo una vetrina, ma una sorta di "true life" che ogni giorno di più ci sta inghiottendo e ci rende incapaci di avere rapporti veri. Passiamo ore davanti ad un PC a “comunicare”, non comunicando per niente e facendo test idioti, perché qualcuno li legga; ci scopriamo e ci nascondiamo, spiamo e condividiamo... tutto questo perché? Fondamentalmente, perché siamo soli! C'è qualcosa di assolutamente perverso in tutto ciò. La condivisione della propria solitudine, di quella di tutti, dietro un apparente stato di interazione, è una virtual life senza bisogno di avatar! (Anonimo)
Evidentemente, l’anonimo commentatore si riferisce al fatto che qualcuno è morto e amici e conoscenti hanno dato l’annuncio della sua morte nel suo stesso profilo, così da trasformare quel profilo come luogo del dialogo con un defunto, ma anche come luogo della perpetuazione (puramente virtuale) di chi non è più.
A questa possibile applicazione di Facebook ancora non ci si era pensato. Se nessuno estingue quel profilo, il profilo rimarrà attivo e potrà essere di continuo alimentato con nuovi contenuti. Facebook è una vetrina e, in una vetrina, tutto può diventare oggetto d'esposizione: sta a noi decidere quale linea seguire se farne una vetrina scintillante per tutto ciò che (ci) accade oppure farne un luogo di riflessione ed osservazione del mondo che ci circonda e del nostro mondo interiore, ma anche di condivisione con qualcuno che sia realmente interessato a quello che sei e a come vedi le cose... Tutto il resto è destinato ad una vita effimera: come c'è, altrettanto rapidamente è destinato a scomparire inghiottito dal vettore lineare in cui si organizzano i contenuti di FB, specie quelli istantanei…
E il flusso temporale è velocissimo, così come l’inabissamento dei contenuti.
A stento c’è il tempo di condividere ed è già passato, inghiottito appunto…
Non a caso, la parola inglese per “nuovi contenuti” è “new feeds” (cioè nuovo cibo, nuovi alimenti).
Nuovo cibo per chi?
Ma di Facebook, ovviamente, che diventa una sorta di Moloch che tutto inghiotte delle nostre vite, lasciandoci con la sensazione che senza la pagina del profilo da alimentare continuamente noi moriamo in qualche modo, ci spegniamo!
Non a caso, in alcune realtà, si sono cominciati ad attivare degli interventi per coloro (soprattutto adolescenti) che sono diventati dipendenti da Facebook e che passano compulsivamente ore davanti ad uno schermo di PC a navigarvi.
Una dipendenza particolarmente insidiosa, perché riguarda l'ossessione di costruire e alimentare la propria identità e, del pari, di osservare cosa fanno gli “altri” in una realtà finta, fatta di specchi e rimandi, in un gioco di scatole cinesi, in cui il proprio sé finisce con lo smarrirsi…
Personalmente, di alcuni in FB sono divenuto virtualmente amico (e nulla esclude che un giorno ci possa anche incontrare), di altri ero già amico prima e con questi, attraverso FB, semplicemente ci comunico molto sobriamente, ma poi basta!
Tutti gli altri sono solo rapporti vuoti.
Gli “altri” dedicano alle mie cose solo uno sguardo distratto che spesso si esaurisce nel "mi piace", senza una volontà di autentica interazione e, se tu entri nel merito di un rapporto personale, chiedendo solidarietà, comprensione, dialogo autentico, il più delle volte incontri soltanto un muro di silenzio e indifferenza.
Sarebbe bello se la “piazza” virtuale potesse diventare un vero luogo d’incontro, un'agorà dove si incrociano destini e da dove si organizzano relazioni vere, nella realtà di fuori.
Il rischio è che ci si chiuda sempre di più in questo mondo finto ed effimero, in cui l’unica maniera per “sentirsi vivo” e partecipe è quello di alimentare di continuo il Moloch/FB…
Mi sembra quasi che ognuno degli iscritti a Facebook, per alcuni aspetti, chi più chi meno, sia come un recluso in una cella in totale isolamento e che, per sentirsi vivo, batta dei colpi di continuo dei colpi su una tubazione dell'acqua allo scoperto oppure sul muro di pietra gelido. Ogni tanto, qualcuno risponde con altri colpi. E così si va avanti, mondi totalmente isolati, solitudini che di rado, se non mai, entrano in rotta di collisione.
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