domenica 31 gennaio 2010

La storia del "laboratorio dei veleni" di Catania nell'inchiesta giornalistica di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti


Si legge con sgomento l'inchiesta di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti (Viviano Francesco, Ziniti Alessandra, Morti e silenzi all'università. Il laboratorio dei veleni, Aliberti Editore, 2009).
Ci si chiede come sia possibile che una simile vicenda abbia potuto andare avanti per anni tra silenzi, omertosi occultamenti, depistaggi e benchè fioccassero casi di persone che si ammalavano, di diagnosi di tumore nel personale esposto, di morti.

E anche malgrado che, per anni, si fossero accumulate lettere di denunce e segnalazioni da parte di tante delle persone "esposte". Già, perchè l'inquinamento ambientale non era insidioso, ma dava effetti palesi e vistosi, sia per gli odori nauseabondi di cui il laboratorio era impregnato, sia per gli effetti immediati che tutti gli esposti lamentavano, come irritazioni cutanee, bruciore agli occhi e lacrimazione continua, fenomeni allergici.
Il "laboratorio dei veleni" che tanto evoca - anche se in scala ridotta - la "fabbrica dei veleni", cioè le vicissitudini del Polo petrolchimico di Porto Marghera (che ebbe 157 morti di tumore, 120 discariche abusive e 5 milioni di metri cubi di rifiuti tossici con un procedimento penale iniziato nl 1998 e proseguito sino alla sua conclusione, con sviluppi clamorosi) , continuò a funzionare, malgrado tutto, tra silenzi arroganti, depistaggi e perizie tecniche "addomesticate" per la più atroce delle motivazioni:
"...che non bisognava in alcun modo ledere il buon nome dell'Università di Catania".
Una motivazione agghiacciante, perchè - nel frattempo - la gente si ammalava e moriva, mentre altri - a fronte del rischio - chiedevano insistentemente di essere trasferiti in luoghi di lavoro più salubri.
E' anche una storia sull'arroganza del potere accademico e sul fatto che, a meno che non vi siano fatti eclatanti ed inconfutabili, i deboli sono costretti a patire e soccombere, mentre chi occupa una posizione di forza (che certamente non viene da doti personali, ma da altre concomitanze, cone quelle che portano alcuni a far carriera in un sistema di rapporti di potere) riesce a mantenersi a galla e la fa franca.
In questa triste e atroce storia, ancora più stupefacente perchè si è sviluppata per anni quando già esistevano tutte le norme per la sicurezza e la gestione del rischio ambientale nei luoghi di lavoro, ebbe alla fine un ruolo decisivo il "testamento" di Emanuele Patané, il giovane ricercatore catanese presso il Dipartimento di Farmacia dell'Università di Catania e assegnato proprio a quel micidiale laboratorio.
Questa memoria che,
puntigliosa e circostanziata, evidenziava tutte le disfunzioni del laboratorio dei veleni, giunse per iniziativa del padre di Emanule ad un avvocato battagliero nel corso di un procedimento penale avviato a causa delle numerose denunce che ormai non era più possibile ignorare ed ebbe un peso decisivo nel portare avanti, con buon esito, l'inchiesta giudiziaria.
Questa la presentazione editoriale del volume

Erano docenti, ricercatori, studenti, dipendenti, che per motivi di studio o di lavoro frequentavano il laboratorio di Farmacia dell'Università di Catania. Respiravano veleno e lo sapevano. L'avevano denunciato con lettere, con appelli e perfino denunce. Ma nessuno, per anni, li ha voluti mai ascoltare.
Anzi, minimizzavano. Loro, intanto, si ammalavano e morivano lentamente, uccisi dall'aria killer della Facoltà. Una strage silenziosa che doveva però rimanere riservata: perché non si poteva "sporcare" il buon nome dell'Università.
E molti, tra i vertici dell'Ateneo, hanno fatto di tutto per nascondere quanto accadeva. C'erano relazioni tecniche che denunciavano livelli di inquinamento più alti addirittura di quelli industriali. Tutto scritto, nero su bianco. Ma non si poteva rivelare che c'era un laboratorio di morte dove decine di studenti, docenti e dipendenti perdevano la vita, azzannati dal cancro e da malattie inguaribili ai polmoni e alla gola. Tutti ne parlavano, tutti sapevano che le vittime avevano studiato e lavorato per anni proprio lì, nel laboratorio dell'Università.
Ma, incredibilmente, il silenzio ha accompagnato una storia dannata e orribile per tanto, infinito tempo. Come se nessuno se ne fosse mai accorto. In questo libro, per la prima volta, alcuni documenti inediti confermano le gravi responsabilità di chi sarebbe dovuto intervenire e non lo ha fatto.

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