venerdì 30 aprile 2010

Bici d'artista: un bell'esempio di arte spontanea

Bici d'artista
(foto di Maurizio Crispi)

C'è da chiedersi cosa faccia il proprietario della bici quando decide di usarla.

La scarta meticolosamente per non rovinare l'involucro (da riutilizzare in futuro), oppure la usa così com'è con tanto di copertina?

In ogni caso, è sicuramente uno che ci tiene davvero tanto alla sua bici e che intende preservarla dai colpi tempo e proteggerla dalle intemperie, dalla ruggine, dalla corrosione, dal decadimento.

Non mi ricordo dove sia accaduto: un'artista moderno realizzò un'installazione (così si dice adesso) che prevedeva che interi edifici (o monumenti)venissero incartati in enormi involucri di carta (o tela o plastica) bianca.

Sarei contento se qualcuno che si ricorda meglio mi dicesse di più di questa cosa.
Se la bici fosse stata disposta in questo modo da un'artista e collocata all'interno di una galleria d'arte oppure in altro luogo esposto al pubblico (con apposita etichettura), come installazione, appunto, molti avrebbero parlato di opera d'arte.
Come nel caso della famosa (e dissacrante) "merda d'artista".
La merda è merda.
Però, se è un artista a prendere la sua merda e a inscatolarla, allora viene nobilitata e diventa "merda d'artista" e, in un modo oppure nell'altro, può destare l'interesse dei critici e dei galleristi.

Siccome quella incartata è la bici del fruttarolo, nessuno vede la cosa in questi termini.

Eppure, dove sta la differenza?
Per essere coerenti (e se fossimo coraggiosi intellettualmente) dovremmo dire pane al pane e vino al vino e affermare che il fruttarolo, senza saperlo, è un grande artista spontaneo...

giovedì 29 aprile 2010

La pattuglia dell'alba: un romanzo che sta al surf californiano, come Moby Dick fu la summa dei cetacei


Il terzo romanzo di Don Winslow pubblicato in Italia per i tipi di Einaudi (La pattuglia dell'alba, 2010) è stato oggetto di pareri contrastanti, alcuni decisamente negativi. Del tipo:
"...una delusione! E' il primo romanzo di Winslow che leggo e mi ha lasciato deluso ...sto facendo fatica ad arrivare in fondo...", oppure: "Dovrebbe essere un thriller ma fino a pagina 170 si parla esclusivamente di surf con uno slang da quattordicenne malcresciuto ricco di 'yo' o soprannomi idioti. Il finale, poi, con il regolamento dei conti sul surf è quanto di più forzato potesse scrivere".
Contrariamente a questi pareri e ad altri che ho letto nel web, a me, il romanzo di Winslow, è piaciuto per alcune peculiarità: l'ho letto in pochi giorni senza potermene distaccare.
E mi è piaciuto per alcuni motivi che spiegherò brevemente.
Innanzitutto, perchè - uscendo dai rigidi canoni del genere (poliziesco-thriller) - l'autore (lui stesso ex-investigatore) - con una serie di inserti - ci consente di conoscere in modo molto documentato alcuni elementi di contesto.
Ci dice tutto sul mondo peculiare e di nicchia dei cultori del surf californiano, introducendoci con brio e piglio enciclopedico alla sua storia, ai suoi miti e riti.
Da questo punto di vista, si potrebbe dire che La pattuglia dell'alba stia al surf californiano, come il Moby Dick di Melville stette alla balena (e ai cetacei in genere). Melville , infatti,non volle scrivere soltanto un romanzo "morale" sul conflitto tra il Bene e il Male, ma - con il pretesto della narrazione di una storia di mare di ampio respiro - compose in una summa tutto ciò che si conosceva, ai suoi tempi sui cetacei (dal corpus di nozioni scientifiche allora disponibili, ai miti, alle leggende e, ovviamente, tutto sugli usi e i costumi della pesca baleniera).

In secondo luogo, riesce a trattare egregiamente altri aspetti che contraddistinguono e rendono speciale la California, come - ad esempio - la sua particolarissima composizione multi-etnica a strati (giapponesi, hawayani, samoani e, nell'ultimo gradino sociale, gli emigranti clandestini dal Messico, attorno a cui ruota ciò che rimane della ricchissima e florida agricoltura d'un tempo e, soprattutto, quella della fragola che, non potendo essere meccanicazzata, richiede - per essere redditizia - una numerosa manovolanza a basso costo.
Terzo, apre degli squarci sul mondo delle spogliarelliste (semi-legale), del traffico di droga e dei suoi intrecci e, infine, dulcis in fundo, del traffiking di minori che vengono brutalmente immessi in un giro di prostituzione minorili.
Insomma, il libro è complesso, i personaggi sono numerosi ed interagiscono tra loro e con l'autore che, di quando in quando si inserisce con taglio ironico nella narrazione, per fornire elementi didascalici che consentono al lettore di orientarsi in un contesto tanto articolato.

Seguendo le peregrinazioni di Boone Daniels, surfista eccellente ed investigatore a tempo perso per sbarcare il lunario, e dell'affascinante Petra, l'avvocatessa che lo ha ingaggiato per rintracciare Tammy che deve rendere un'importante testimonianza di tipo assicurativo e che invece si trova ad essere una potenziale testimone di traffici di rilevanza penale ben maggiore e che ha fatto perdere le sue tracce per timore di essere eliminata fisicamente, si viaggia su e giù per la California, avendo San Diego e le sue spiaggie come epicentro, mentre i surfisti sono in fermento in attesa d'una mareggiata fuori dal comune che consentirà ai più valenti (tra i quali la bella Sunny, ex-fidanzata di Boone Daniels) di distinguersi.

Boone Daniels e i suoi amici formano la "pattuglia dell'alba": e l'indagine rischia di spezzare l'unità ludica e di solidarietà del gruppo, perchè nel portare avanti la ricerca di Tammy, Boone entra in conflitto con l'amico poliziotto Hang Twelve, ma anche con Hig Tide, un samoano di 160 chili che si trova davanti al dilemma se essere leale con Boone oppure dare ascolto ai legami di sangue che lo indurrebbero ad fare gli interessi di chi vorrebbe vedere Tammy morta piuttosto che sul banco dei testimoni.
Intanto, Sunny si ingeloscisce di Petra: insomma, sembra che nel momento cruciale della mareggiata, la pattuglia dell'alba, solitamente unita e solidale in simili frangenti, sarà dispersa. A Boone non resta che tentare di concludere in fretta la sua inchiesta: peccato che, nella San Diego del vecchio e nuovo crimine, non esista mai niente di semplice o scontato, e la violenza si nasconda dietro ogni angolo.
Ma alla fine della vicenda, tutto si ricomporrà in nome dell'amicizia.

Diciamo pure che i thriller in sé sarebbero noioisi, una volta che un lettore abbia acquisito con gli stilemi base del genere ed alcune tipologie di intrecci: il bello del thriller è proprio il fatto che essendo calato in una realtà specifica che, in genere, è quella ben conosciuta dall'autore perchè ci vive e l'ha pratica a lungo, l'autore ci parla nel dettaglio di quella realtà e ce la fa conoscere minuziosamente.
Leggendo i thriller, forse più di altri generi letterari, viaggiamo in lungo in largo per il mondo.
Voglio conoscere i paesi scandinavi? Ecco che posso leggere un romanzo di Mankell oppure la trilogia Millennium. Voglio andare in Grecia? I romanzi di Markaris forniscono una risposta esauriente alla mia esigenze. Voglio conoscere qualcosa di più del Nordest italiano, dei suoi intrighi e dei suoi malaffari? Per questo, ci sono i romanzi di Carlotto.
La bravura di uno scrittore di thriller non sta tanto nella "universalità" della sua scrittura, ma nella sua capacità di coniugare l'arte dello scrivere con un'approfondita ed enciclopedica conoscenza del contesto in cui cala i suoi romanzi.

Questi i componenti della pattuglia dell'alba:
  • Boone Daniels, ex poliziotto, ora investigatore privato, nato praticamente su una tavola da surf (entrambi i genitori praticanti del surf);
  • Sunny Day, una vera California Girl, che sa cavalcare l'onda come nessun altro;
  • High Tide, centosettanta chili di carne e muscoli samoani, quando si tuffa è alta marea ;
  • Dave the Love God, bagnino di salvataggio, con una collezione di turiste da fare invidia;
  • Johnny Banzai, sangue giapponese, poliziotto, re delle parole incrociate;
  • Hang Twelve, rasta bianco, patito del surf, sei dita per piede;
Una breve nota bio-bibliografica sull'autore
Don Winslow, ex investigatore e consulente di studi legali e compagnie di assicurazioni, è considerato tra gli esponenti maggiori del nuovo crime americano. Ha al suo attivo dieci romanzi, coronati da un successo crescente di critica e pubblico. Einaudi Stile libero ha pubblicato nel 2008 L'inverno di Frankie Machine (ultima edizione «Super ET», 2009), diventato un vero e proprio caso letterario, e nel 2009 Il potere del cane.

mercoledì 28 aprile 2010

Mary Terror: due mondi, due anime femminili, presente e passato a confronto

Mary Terror Mine (Mio), il titolo originale è un duro romanzo di Robert McCammon del 1990, che venne pubblicato in italiano un anno dopo per i tipi “Interno Giallo” della Mondadori, e che viene ora meritoriamente riproposto da Gargoyle, mostrando immutata la verve originaria e la capacità d’impatto sui lettori.

Si tratta di un testo di difficile collocazione tra l’action novel e il racconto on the road (con descrizioni ricche e sontuose, a tratti quasi baroccheggianti, capaci con la loro pienezza di evocare atmosfere cinematografiche con forti coloriture horror). Leggendone alcuni passaggi viene spontaneo pensare a film come The hitcher. La lunga strada della paura di Robert Harmon, o al magistrale Duel di Spielberg, tratto dall’omonimo racconto di Matheson. È forse anche per via di questi autorevoli richiami che Mary Terror cattura immediatamente il lettore, che ne divora le pagine per scoprirne l’epilogo.

Come giustamente osserva Antonella Beccaria nella prefazione alla nuova edizione, dal titolo “Mary Terror e la morte del più genuino sogno americano” nel romanzo giganteggia un confronto tra due epoche diverse. Da una parte, c’è la rivoluzione dei fiori e il movimento hippy con tutte le sue sfumature, da quelle maggiormente libertarie alle propaggini più politicizzate (i Weathermen, Abbie Hoffman) sino ai lati più oscuri del fanatismo (anche Charles Manson con la sua “Setta di Satana” si colloca in quel periodo) e del terrorismo; dall’altra, la normalizzazione degli anni ’80, la generazione yuppie, il ritorno all’enfasi posta sul potere del denaro e della carriera.

Antonella Beccaria coglie con grande sensibilità la chiave interpretativa del libro, collocandolo sapientemente nel contesto storico-politico-sociale dell’America della restaurazione reaganiana: «[…] Mary Terror è prima di tutto un romanzo politico dai tratti impietosi che non risparmia nessuno dei suoi personaggi. È il ritratto dell’America post-contestazione, di ciò che è rimasto una volta conclusisi gli anni in cui si lottava per una rivoluzione che cambiasse il pianeta, dal singolo essere umano alla più tecnologizzata delle società occidentali. È un romanzo sugli effetti dell’estremismo come unica risposta ritenuta possibile».

Per leggere l’intera prefazione, clicca qui.


È, infatti, proprio sul finire degli anni ’80 che prende avvio la storia, che con i suoi riferimenti al passato ­procede a ritroso sino al decennio dei ’60.

Mary Terrell alias Mary Terror, per la fama di feroce assassina che l’accompagna è ricercata da tutte le polizie statunitensi, in quanto ex componente dello Storm Front, un’organizzazione terrorista di matrice sovversiva, attiva vent’anni prima e quasi interamente falcidiata, nel 1972, in un conflitto a fuoco con gli agenti dell’FBI. Mary muta identità di continuo, è completamente dissociata dalla realtà, e vive di ricordi e di idealizzazioni, non smettendo di macerarsi per la fine dell’amore con Jack Gardiner, “Lord Jack”, fondatore e capo carismatico del gruppo, di cui non sa più nulla dal blitz armato.

Quando la donna legge, sulla rivista “Rolling Stone”, un annuncio con dei riferimenti comprensibili solo a lei e agli altri membri dello Storm Front, ritiene sia finalmente giunto l’agognato momento della ricostituzione del gruppo, e decide, quindi, di mettersi in viaggio alla volta della California (dove l’organizzazione è sorta), non prima però di avere rapito un neonato da portare in dono a Lord Jack, come compensazione per la perdita del loro bimbo mai venuto al mondo a causa delle ferite riportate da Mary nell’imboscata. Per un concorso di circostanze (il “karma”), Mary rapisce il figlio di Laura Clayborne, ex-hippie imborghesita e moglie infelice di un yuppie rampante. Il rapimento determinerà un febbrile inseguimento lungo le strade di gran parte dell’America.


Di Mary Terror colpisce immediatamente la colonna sonora

Jim Morrison (soprannominato “Dio”, nel delirio della donna, che lo reputa un vero e proprio guru sapienziale), fondatore del gruppo musicale dei Doors, il mitico complesso californiano, accompagna costantemente Mary, come fosse un singolare angelo custode, e lei lo ricambia ascoltandone di continuo le canzoni e canticchiandone i refrain.

Di Crosby, Still Nash & Young viene citato Marrakech Express, celebre brano che inneggia al viaggio; poi, sebbene mai esplicitamente menzionato, c’è Bob Dylan il menestrello d’America, simbolo della canzone di protesta degli anni ’60 attraverso il nome di “Tamburino”, l’appellativo con cui Mary ri-battezza il piccolo David Clayborne. Il riferimento è al brano giovanile di Dylan Mr Tambourine Man (1965), simbolo della fuga psichedelica e della ricerca dei paradisi artificiali nelle droghe, canzone presente in Bringing it all back home, il long playing del passaggio di Dylan da folk singer a musicista pop e sperimentale.


Hey! Mr Tambourine Man, play a song for me

I’m not sleepy and there is no place I’m going to

Hey! Mr Tambourine Man, play a song for me

In the jingle jangle morning I’ll come followin’ you.

Come dal titolo di questo intervento e già accennato in apertura, Mary Terror è un romanzo di confronto tra possibili evoluzioni di vita: l’esistenza di Mary è interamente immolata a un passato rimpianto (le cui storture e atrocità sono mascherate dal velo deformante dell’ideologia), quella di Laura, benché ex figlia dei fiori non esente da attimi di nostalgia, è invece venuta a patti con il presente, attraverso un lavoro soddisfacente e il raggiungimento di un rispettabile status sociale.


Ricorrendo a delle categorie psicoanalitiche, si potrebbe dire, che, mentre Laura rappresenta l’istinto di vita (non disgiunto da elementi aggressivi che risulteranno indispensabili per la sopravvivenza propria e di suo figlio), Mary è portatrice di un istinto di morte, che si agita in una mente delirante e allucinata dove anche l’amore (che trapassa senza alcun controllo nell’odio e nella furia omicida) si rivela solo finzione grottesca, modalità per tentare di fare ritorno a un passato perduto.

Ma vivere di passato e nel passato , oltre a essere anacronistico, conduce a un destino di distruttività e di morte, perché la vita vera, la vitalità e lo slancio possono alimentarsi solo di continui e dinamici cambiamenti, compreso quello di rinunciare a parti di Sé per riuscire a intraprendere percorsi nuovi e inediti, distaccandosi da quegli aspetti della propria personalità oramai non funzionali ad alcun adattamento e, infine, elaborando il lutto per ciò che si è perso o per ciò che è stato irreparabilmente danneggiato. Crescere e cambiare significa abbandonare una visione del mondo retta da grandi e inconciliabili scissioni, da opposti radicali, dal delirio e dalla persecuzione, ed entrare in un mondo dove i conflitti interiori ed esteriori cessano e inizia una fase di accettazione (delle cose guaste e morte), di negoziazioni e compromessi.

Quella di Mary Terror è una personalità borderline con tendenze sociopatiche e con un forte discontrollo comportamentale che la porta a disconoscere con estrema facilità ciò che idealizza (quando David piange, ad esempio, non è più un “buon” bambino e deve essere punito): parallelamente, molta della sua distruttività è supportata da una spiccata tendenza all’organizzazione rigorosa delle azioni delittuose, tipica dei serial killer.


L’opposizione tra le due anime femminili del romanzo di McCammon è anche negli odori, che fanno parte dell’universo sensoriale attivato dalle descrizioni che vi sono contenute e dagli stilemi linguistici dell’autore, a volte ridondanti ma efficaci.

Per Mary Terror i riferimenti olfattivi sono l’odore animalesco della tana, il lezzo della plastica bruciata, quello rameico del sangue versato e il fetore del pus, del corpo non lavato e del sudore irrancidito (anche in questo caso, l’immagine bella e idealizzata del proprio Sé è consegnata a un passato cristallizzato); man mano che la vicenda evolve verso un finale, Mary assume sempre di più qualità olfattive ferine e sembra perdere le caratteristiche umane, che vengono soffocate dalla sua furia omicida.

Le immagini olfattive che contraddistinguono il mondo di Laura Clayborne richiamano, viceversa, alla pulizia del corpo lavato di fresco, al leggero sentore di shampoo alla mela, al latte e al miele di cui profuma la pelle del piccolo David.


Notazioni sulla cover della presente edizione

Nella prima di copertina, un passeggino, in stile anni ’60, abbandonato in un sottoscala buio e lercio, rappresenta magistralmente la sintesi del pensiero ossessivo di Mary Terror sulla sua maternità danneggiata, e del mondo crepuscolare e devitalizzato del suo delirio.

Sul dorso, campeggia un occhio circondato da colori iridescenti, che è insieme una citazione (e un omaggio) della grafica realizzata per la copertina dell’edizione di Interno Giallo, ma anche un riferimento all’occhio di Dio che tutto vede (dunque anche al “Dio” Jim Morrison) e alla stagione della psichedelia (enunciata dai colori screziati dello spettro dell’arcobaleno che, ancora oggi, i giovani e i movimenti di protesta no global associano alla pace).

Mentre il carrozzino rappresenta un passato statico e sterile, l’occhio guarda al futuro.

In fondo, un libro se ben scritto è sempre una porta che collega mondi diversi, sia fisici, sia temporali e, nella fine di ogni storia, c’è un nuovo principio che si genera e si autoalimenta. E, proprio a questo insieme di significati, sembrerebbe alludere quell’occhio. Un occhio che guarda al di là del testo e al di là della vicenda narrata.

Oltre a una “colonna sonora” fortemente caratterizzata è presente nel romanzo di McCammon anche il riferimento alle filastrocche popolari, in maniera quasi antitetica. Contrariamente al tipo di musica che fa da sfondo alla spasmodica fuga di Mary e all’inseguimento da parte di Laura, le cantilene per bambini rappresentano, infatti, il quieto mondo familiare, retto da una serie di valori consuetudinari che ricorrono da una generazione all’altra e che, con la ripetitività dei loro ritornelli una sorta di “mantra rasserenante” schermano da un mondo esterno spesso ostile.

La filastrocca inglese citata nel libro, Il figlio del lunedì che diventa “Il figlio del giovedì”, dal giorno di nascita del piccolo David è una canzoncina gioiosa, in quanto tributo alla vita, alla curiosità e alle scoperte che si prospettano davanti al nuovo nato, a cui ogni diverso giorno della settimana porterà doni differenti, tutti parimenti belli da conoscere…

Monday’s child is fair of face,

Tuesday’s child is full of grace,

Wednesday’s child is full of woe,

Thursday’s child has far to go,

Friday’s child is loving and giving,

Saturday’s child works hard for a living,

But the child who is born on the Sabbath Day

Is bonny and blithe and good and gay

Una filastrocca che come spiega una delle tante note editoriali che rendono più comprensibile il testo ai lettori non di madre lingua rimanda a una canzone di David Bowie, Thursday’s Child, improntata all’ottimismo e alla fiducia nel futuro…

Throw me tomorrow

Now that I’ve really got a chance

Throw me tomorrow

Everything’s falling into place

Throw me tomorrow

Seeing my past to let it go

Throw me tomorrow

Only for you I don’t regret

That I was Thursday’s child

(…)

Lucky old sun is in my sky

Nothing prepared me for your smile

Lighting the darkness of my soul

Innocence in your arms

E, come “il figlio del giovedì” della filastrocca farà molta strada, così auguriamo a questo romanzo riedito da Gargoyle uscito nelle librerie giustappunto di giovedì (29 aprile) di fare molta strada… Anche questo è karma, direbbe Mary Terror.


Una breve nota biografica su Robert McCammon


Nato a Birmingham (Alabama) nel 1952, Robert McCammon ha scritto diversi racconti e 13 romanzi, tra cui Baal (1980, suo libro d’esordio), Loro attendono (1980), Hanno sete (1981, Gargoyle 2005), La Via Oscura (1983, Gargoyle 2008), La maledizione degli Usher (1984, Gargoyle 2009) ispirato al racconto Il crollo di Casa Usher di Edgar Allan Poe –,Tenebre (1987), L’ora del lupo (1989, Gargoyle 2006), Mary Terror (1990, Interno Giallo 1991,Gargoyle 2010), L’inferno della palude (1992). Dal 1992 al 1997, McCammon è stato impegnato nella stesura di Speaks the Nightbird, poderosa trilogia di carattere storico ambientata durante le cacce alle streghe del XVII secolo, che – allontanandosi dal genere – ha provocato molte diffidenze nel mondo editoriale statunitense tanto che il primo episodio è stato pubblicato soltanto nel 2000. Nel 2007 è uscito The Queen of Bedlam, secondo romanzo della trilogia. A McCammon si deve la fondazione della Horror Writers Association (www.horror.org), che ogni anno assegna i prestigiosi Bram Stoker Awards. www.robertmccammon.com


giovedì 22 aprile 2010

Basilicata coast to coast: un film on the road, un viaggio di formazione

"Basilicata coast to coast è un film aperto e appagato, un progetto a mano libera di una piena fantasia, in cui l'estremo senso e l'estremo nonsenso si toccano e si armonizzano" (dalla recensione di Marzia Gandolfi in www.mymovies.it)

"Abbiamo tempo da perdere o, meglio, da regalarci"
(uno dei quattro, per spiegarsi)


Una scalcagnata e simpatica compagnia di quattro musici
dilettanti della Lucania (Nicola Palmieri, Franco Cardillo, Salvatore Chiarelli e Rocco Santamaria), che si sono battezzati con il nome d'arte del tutto improbabile (ma evocativo della loro realtà) de "Le pale eoliche", essendo stati ammessi allo sconosciuto concorso musicale che ha luogo a Scanzano Jonico ("Scanzonissima"), decidono di partire a piedi da Maratea e attraversando appunto la Basilicata coast to coast, dal mar Tirreno allo Jonio.
Si danno il tempo limite di 10 giorni per compiere il tragitto: il giorno d'arrivo dovrebbe coincidere con quello della manifestazione musicale cui sono stati ammessi.
L'idea (più che altro un sogno ad occhi aperti, una bella fantasia) sarebbe quella di dare risalto mediatico alla loro presenza scenica e di calcare il palco al momento della loro performance, dopo essere stati seguiti in TV da tanti fan, appassionati dal fatto che durante il viaggio avevano composto e provato le stesse canzoni che avrebbero poi eseguito in concerto.
La conferenza stampa di presentazione dell'impresa è un piccolo fallimento, poichè ricevono attenzione da un oscuro perodico cattolico che può offrire soltanto una copertura attraverso il web.
L'incarico di seguirli con giornalieri reportàge audiovisivi, viene assegnato alla giornalista Tropea Limongi (Giovanna Mezzogiorno), figlia di un noto politico lucano e scontenta della sua vita professionale, realizzata atttraverso le spintarelle e le raccomandazioni di papà.
I quattro si mettono in viaggio, rigorosamente a piedi e con l'ausilio di un carro trainato da un mansueto cavallo, per il trasporto di tutte le masserizie necessarie, compresi due generatori portatili di corrente elettrica ad energia solare, di PC e, ovviamente, di tutta l'attrezzatura musicale.
L'idea è quella di un viaggio puro, senza soste nei ristoranti e nelle trattorie, senza alberghi e case, ma solo attendamenti e cibo cotto all'aperto, passando per strade poco note, anche non asfaltate.
E' un impresa che, pur essendo scanzonata e con toni da commedia, assume dei risvolti mitici e da saga epica.
Ognuno dei quattro della compagnia, cui si aggiungerà dopo molto scetticismo, anche la Tropea Limongi, che viene presa dal fascino dell'idea, mentre Rocco Santamaria che in questa storia non riesce a venire a patti con il suo irriducibile narcisismo abbandona, ha una sua storia diversa, nella quale convergono delusioni più o meno cocenti, ferite, rinunce e in cui stanno sopiti, pronti a sbocciare, slanci e guizzi di entusiasmo.
Ognuno di loro ha dei motivi per voler compiere l'impresa, ad eccezione forse dell'apparentemente vanesio Rocco Santamaria (Alessandro Gassman) che partecipa per prestare agli amici la celebrità del suo volto (è arrivato a Roma, lui, comparendo in una sitcom che gli ha dato un'effimera notorietà), anche se, poi, in definitiva, è quello più fragile di tutti (è stato buttato a mare dal suo agente e da due anni non riceve più nessuna proposta di ingaggio) e non ha niente da perdere.
Per tutti, l'avventura è un vero e proprio viaggio di formazione: uno di quei viaggi che si affrontano come un "progetto" e che rappresentano, comunque, un punto di svolta nella propria esistenza: si parte in un modo e, quando si giungerà nel punto di arrivo, un cambiamento sarà avvenuto. Un cambiamento non cercato volutamente, ma inevitabile per scoprire alla fine dell'avventura: piccole verità disvelate, lutti e traumi superati, opportunità nuove che si schiudono dinanzi.
Questo è lo scopo vero ed ultimo del viaggio: non importa, poi, se il pretesto che lo aveva motivato troverà un'adeguata risposta.
Intanto, assieme ai chilometri del percorso, i quattro comprendono qualcosa di se stessi e del legame amicale che li lega.
Il viaggio serve a dare un senso alle loro vite e, per così dire, a ritrovare una via da seguire che dia loro un guizzo rispetto alla mancanza prospettive dell'esistenza quotidiana in una picola cittadina della Basilicata: è l'idea stessa del pellegrinaggio, in fondo, anche se il movente primo che inzialmente li ispira sembra essere essenzialmente pratico.
Per un cattivo calcolo dei tempi le Pale eoliche arriveranno in ritardo per esibirsi sul palco della "Scanzonissima": una piazza e un palco vuoti li accolgono, ma non importa.
Il loro viaggio è compiuto e il loro concerto lo faranno comunque: suoneranno su quel palco che poi sarà il loro ultimo accampamento.
Giunti alla fine di quel viaggio, i quattro scoprono che "the road has no ending": verità sintetizzata da Nicola Palmieri (Rocco Papaleo) in piedi con la moglie accanto all'auto, pronti a partire per un loro viaggio e di Tropea e Franco Cardillo (Max Gazzé) che si incamminano attraverso una piazza deserta, inseguendo una propria storia.
Il film è un grosso omaggio alla Basilicata: i luoghi attraversati dalla carovana sono di una grande bellezza, quella bellezza che viene dalle grandi solitudini, dai cieli aperti e delle notti all'addiaccio, con il confronto della parola (non sempre espressiva di un'oleografica amicia), ma portatrice di sentimenti turbolenti e contradditori) e della musica, colta nel suo farsi "in statu nascendi", proprio attraverso lo stimolo del movimento e dello scardinamento dalle catene della quotidiana prigionia.
Il progetto che i quattro amici mettono in opera è per se stessi, ma anche per la propria terra: i mettendosi on the road e viaggiandoci attraverso, rendono veramente "propria" la Terra in cui vivono, se ne "impossessano" e la fanno vivere con il respiro delle cose che tornano ad essere prese in considerazione.
C'è anche in quiesto diuturno andare, caratterizzato dai tempi lenti del contadino che si sposta a piedi per andare a lavorare nei campi, l'omaggio a tanti piccoli paesi della Lucania che, semivuoti di abitanti, mostrano impudichi le ferite ancora aperte dal terremoto di tanti anni anni fa e mai più sanate (un terremoto che quindi è consegnato ad un perpetuo ieri), castelli e fortificazioni su alte rupi, torrenti e fiumare, tanti piccoli centri dimenticati da dio e dagli uomini, come ad esempio Guardia Perticara.
Non a caso, nel progetto di viaggio è inclusa la sosta ad Aliano, per un brindisi simbolico a Carlo Levi (Cristo si è fermato ad Eboli) e a Gian Maria Volontè che lo ha interpretato) in un brindisi che prevede anche uno spargimento rituale di un ottimo Aglianico sula terra, perchè il brindisi è anche alla loro terra.
Decisamente è un film da vedere.

mercoledì 21 aprile 2010

Il silenzio e i libri


La regola monastica del silenzio
è la mia

Lunghe giornate senza parola,
se non con me stesso

Qualche frase indirizzata
al mio cane che sempre mi accompagna,
ed è tutto

La voce, caduta in disuso,
si arrochisce
e si fa aspra,
in qualche modo dissonante

La notte trascorre,
i giorni passano
eguali,
eppure differenti

Il movimento e l'azione,
ma anche la parola dialettica
sono
nei film che guardo
nei libri che leggo

La mia vita è fatta
di un'infinita teoria di libri

Potrei metterli
in un mucchio scomposto
e poi riordinarli
mettendoli uno appresso all'altro

Potrei costruirci castelli
usandoli come mattonelle e travi

Oppure farne selciato
per strade,
in viaggio verso l'infinito
ed oltre

Con i libri e i film
si vivono molte vite
e ci si sposta in molti luoghi diversi,
e non c'è bisogno
di andare lontano
con il proprio corpo,
né di parlare con qualcuno

Puoi essere, con loro,
un vagabondo delle stelle
ed essere tutti e nessuno

Se finissi in un'isola deserta
senza nulla appresso,
senza un libro da leggere,
ne scriverei uno
usando per pagine
la sabbia, i sassi, le rocce

E così,
leggendo queste pagine mutevoli,
di continuo cancellate dal vento
e dalla pioggia
e instancabilmente riscritte,
potrei viaggiare
e sognare

Un libro non ti tradisce

E' fedele e rimarrà tuo amico

giovedì 15 aprile 2010

In Green zone di Paul Greengrass, la retorica di una guerra mendace


Mentre nella Green zone di Baghdad (quella dove erano e sono i grandi alberghi e i palazzi - nonchè i simboli - del potere di Saddam) giornalisti, uomini d'affari e politicanti vivono una vita relativamente tranquilla, nel resto della capitale impazza la guerra. le pattuglie di soldati vanno alla ricerca dei siti dove possono essere depositate armi di distruzioni di massa e lo sciacallaggio da parte della popolazione spaventata e allo stato brado procede a ritmi vertiginosi.
Green zone del regista Paul Greengrass (già autore della serei di "Bourne", sempre con matt Damon) è un film d'azione militare, ambientato nel teatro di guerra iracheno (propio all'esordio del conflitto) e si presenta come un film non banale, di denuncia dei maneggi dell'Intelligence e delle decisioni occulte che stanno dietro le dichiarazioni pubbliche diffuse dai media.
Appare evidente che, al di là del livello esplicito delle dichiarazioni pubbliche, compresa la mendace affermazione di Bush, dopo l'occupazione di Baghdad, che il conflitto era finito e la guerra vinta, vi è un livello latente, in cui non esiste una verità univoca, ma molte e diverse verità tutte manipolate (da servizi di Intelligence differenti e magari in conflitto l'uno con l'altro perchè hanno diverse finalità) e tante menzogne, compresa quella secondo cui - una vera e propria chiave di volta del teorema della guerra contro l'Iraq - Saddam nascondesse in numerosi siti ingenti scorte di armi di distruzione di massa.
Mentre le pattuglie americane preposte a questa ricerca girano a vuoto e non ottengono alcun risultato, balza all'occhio che la vuota retorica della guerra al terrorismo è il paravento dietro il quale si sono nascoste delle scelte di puro interesse economico e di potere. Non a caso nelle ultime sequenze, Matt Damon di nuovo in servizio con la sua pattuglia si muove lungo una strada desertica che attraversa una distesa di raffinerie di petrolio.
La vera ragione dellì'avvio del conflitto iracheno fu una una menzogna costruita ad uso e consumo degli interventisti. In Iraq non vi erano siti in cui fossero depositate o fabbricate armi di distruzioni di massa (biologiche, chimiche, nucleare), almeno non più dopo la prima guerra irachena: era stato tutto smantellato dopo la sua conclusione, ma era importante che l'opinione pubblica mondiale rimanesse convinta del contrario..
Il film è dunque una denuncia di certo giornalismo geopolitico che non esita a diffondere notizie non vere - pur di fare scoop e seguendo la "moda" dei mass media asserviti - senza prima averle verificate e senza preoccuparsi di avere un diretto accesso alle fonti.
Tutto il resto è stato solo retorica: come quando, con la dichiarazione ufficiale di Bush vengono proclamati "la fine della tirannia", "l'inizio della libertà" e l'avvio di una "vera democrazia" in Iraq.
Ma cosa significa la parola "democrazia" in un paese arabo, come può essere declinata la "democrazia" (che per gli Occidentali ha un suo significato) in modo sintono con i background culturali e religiosi di quei popoli?
Questo nessuno se lo è chiesto mai, mentre nel film un'Iacheno, che si trova ad aiutare Matt Damon nella sua ricerca del "Jack di fiori", pur essendo contrario alla tirannia di Saddam, appena caduto, dice adirato: "Non sta a voi decidere cosa deve succedere qui!".
Una volta che la guerra è stata scatenata non importa più a nessuno se la ragione prima del conflitto fosse vera o fasulla: ormai si tratta di potere controllare il territorio e le sue risorse, trovando le alleanze migliori per instaurare (e mantenere) un governo fantoccio.
E non importa a nessuno dei politici e mestatori che hanno scatenato la guerra se gli Iracheni non hanno acqua per per bere e lavarsi, se il livello di insicurezza e le azioni terroristiche sono cresciute a dismisura, se si è avviata un'era di conflitto civile insanabile tra le diverse etnie.
Gli Americani e i loro alleati mostrano i muscoli delle pattuglie ipervitaminizzate, pronte a scatenare il fuoco contro inermi civili non appena vengono solo sospettati di potenziali attività terrostiche e ad internali in speciali prigioni dove vengono reclusi senza alcuna garanzia del rispetto dei loro diritti civili.
Il film mostra alcune sequenze all'interno di un campo di detenzione dove prigionieri incappucciati e in ginocchio in un sottofondo crepuscolare in cui si intrecciano grida, ordini urlati e latrati di cani attizzati contro quegli uomini inermi evocano suggestivamente quanto già dai tempi dell'Afghanistan accadeva a Guantanamo e che, poi, è accaduto ad Abu Graib, compresa l'ironia di un cartello che recita "No fotography", tutte immagini che riportano indietro nel tempo agli universi concentrazionari e alle atrocità dei Nazisti contro gli Ebrei.
Il film è efficace, perchè oltre a fare vedere le azioni militari e a fornire una trama con una sua suspence, indugia molto - con piglio documentaristico - sulla situazione della popolazione civile, indugiando sia su scene diurne concitate, sia su scene notturne nei vicoli bui - in cui gli unici esseri viventi sembrano essere cani tristi e vagabondi - in una città immersa nel coprifuoco, a cui fa da contraltare la vita brulicante dei vicoli e delle case, con una colonna sonora che non è di soli spari e boati di esplosione, ma anche di voci, grida, lamenti.

Per vedere il trailer del film, clicca qui.

.Scheda del film
Regia: Paul Greengrass.
Interpreti: Matt Damon, Greg Kinnear, Brendan Gleeson, Khalid Abdalla, Amy Ryan.Jason Isaacs, Michael O'Neill, Antoni Corone, Yigal Naor, Said Faraj, Lewis Alsamari, Martin McDougall, Sean Huze, Raad Rawi, Faycal Attougui, Aymen Hamdouchi, Nicoye Banks, Jerry Della Salla
Genere: Drammatico
Durata: 115 min
Origine: Gran Bretagna, USA, Francia, Spagna 2010. - Medusa
Uscita: nelle sale cinematografiche da venerdì 9 aprile 2010.


mercoledì 14 aprile 2010

Il ladro di pietre: c'è chi le pietre le ruba e chi le tira...

Pietre rubate

Questa scritta policroma ha una sua storia.
Il cartello è stato collocato con puntine da disegno sul tronco di un albero di fronte alla bottega di Pippo, il mio corniciaio di fiducia.
Una mia conoscente - nonchè grande amica di Pippo - che vive nello stesso stabile in cui è ubicata la bottega aveva collocato nella piccola aiola ai piedi dell'albero delle belle pietre di arenaria levigate dal mare.
Perchè?
Per il semplice piacere estetico di poterle contemplare, uscendo e entrando di casa.
Dopo qualche giorno che erano là, uno sconosciuto le ha asportate...
Un ladro di pietre, insomma...
Ci sono mercanti di pietre, ci sono quelli che tirano le pietre...
Vi ricordate la famosa canzone "Pietre" del francese Antoine ad uno dei primi Festival di Sanremo ad aprire le porte ai cantanti stranieri?

Faceva così:
Tu sei buono e ti tirano le pietre.
Sei cattivo e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
sempre pietre in faccia prenderai.

Tu sei ricco e ti tirano le pietre
Non sei ricco e ti tirano le pietre
Al mondo non c'è mai qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà!

Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Se lavori, ti tirano le pietre.
Non fai niente e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai capire tu non puoi
se è bene o male quello che tu fai.

Tu sei bello e ti tirano le pietre.
Tu sei brutto e ti tirano le pietre.
E il giorno che vorrai difenderti vedrai
che tante pietre in faccia prenderai!

Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Insomma, le pietre - spcecie se belle e levigate - non si rubano impunemente...
A giudicare dall'invito bellicoso che conclude il messaggio "arcobaleno" che tuttavia trasforma la contestazione in bonaria lamentale, siamo pronti per un regolamento di conti con tutte le regole, più che da "mezzogiorno di fuoco" da "mezzogiorno e mezzo di fuoco"...
Magari il tipo che le ha rubate appartiene alla categoria di quelli che tirano le pietre agli altri e, andando in giro, un bel mattino ha preso proprio quelle perché aveva bisogno di materia prima per i suoi lanci contro tutti i miserelli antoine del mondo...

mercoledì 7 aprile 2010

Senz'aria, sottacqua...


Sono disteso a faccia in su su di un fondale sabbioso con tutta l'attrezzatura da sub addosso.
Non ho l'erogatore in bocca e non prendo aria.
Me ne sto in apnea e contemplo ciò che ho attorno.
Vivo questa situazione con una sensazione di grande tranquillita e di pace
Poi, quando la mia riserva di aria si riduce, comincio a farci a caso al fattto di essere senza una fonte d'aria a disposizione e cominciao a cercare con la mano destra la frusta dell'erogatore primario ed anche quello di riserva.
Ma niente: le fruste degli erogatori non ci sono o non sono raggiungibili.
E il sogno a questo punto si interrompe.

Ho letto da qualche parte che un buon sub dovrebbe anche essere un buon apneista.

E' strano come nei sogni possano capitarti le cose più incredibili e tu sei lì ad osservarle da spettatore curioso, forse, ma il più delle volte per nulla intimorito.


E' nella natura del sogno consentirti uno sguardo su territori nuovi oppure darti la possibilità di esplorare situazioni strane ed inedite, ma nella sicurezza della totale inibizione psicomotoria, ad eccezione della motilità dei muscoli respiratori e di quelli oculari, come appunto capita durante la fase del sonno REM.

Il sogno ti fornisce una possibilità assolutamente inedita di esplorare cose nuove che non hai mai visto prima e di esporti a situazioni inedite, allargando ogni volta il tuo orizzonte cognitivo.

La foto (intitolata "Carosello nel blu")è tratta dal sito Ortona Sub.

Io, Enzo e la canoa


Qualche giorno fa, alla fine di Marzo, il mio amico Enzo è stato preso dall'improvvisa frenesia di acquistare una canoa.
Mi ha detto: "Andiamo a Catania a prenderla.".
Io gli ho consigliato di telefonare prima al signore che le vende, per avere la certezza che ce ne fosse una a disposizione.
Ma lui era pronto (anche se non si può mai essere pronti) ad andare alla cieca sino al cantiere di Catania (quando si è presi da una passione improvvisa, l'importante è andare, con quale esito non importa...).
Ma il suo spavaldo "Andiamo!", è stato stemperato da una preventiva telefonata di verifica.
Assodato che la canoa c'era, in una bella giornata d'inizio primavera (era un 26 marzo) ci siamo messi on the road...
Il viaggio si è svolto tra facezie, frizzi, lazzi e conversazioni, come sempre, quando si è con Enzo, ma anche con l'ascolto di buona musica.
Arrivati a Catania, grazie ai prodigi del navigatore satellitare, abbiamo seguito senza intoppi la strada sino all'area industriale di un comune vicino (Tavola, come il tavolo dove si mangia), dove è ubicata la Nautica Mannino.
Enzo si è immerso gongolante in questo mondo delle canoe da mare che gli si schiudeva dinnanzi.
Lunghe conversazioni con il sig. Mannino, operoso piccolo imprenditore catanese che esprime tutte quelle qualità positive che a noi Palermitani mancano quasi del tutto: Enzo, da autentico neofita, gli poneva ogni sorta di domande.
In due minuti avrebbe voluto sapere tutto ciò che riguarda le canoe, dalla rava alla fava insomma, con l'assillo di acquisire in pochi istanti un sapere enciclopedico sulle canoe.
Canoa acquistata, canoa caricata.
Enzo era desso felice possessore di una canoa da mare.
Dopo un lauto pranzo che ben meritavamo, ma sempre con un occhio alla canoa, di un bel giallo senape squillante che occhieggiava verso di noi dal tetto della Enzomobile, ci siamo rimessi sulla via del ritorno.
La prua della caona solcava orgogliosamente l'aria davanti a noi.
Enzo, virtualmente, si era già infilato dentro la sua canoa e per tutto il viaggio di ritorno volava su di essa...
Ma la giornata già densa di suo, non era ancora finita per Enzo: si trattava di un autentico tour de force canoistico. Infatti, non appagato, dopo aver scaricato a casa la nuova canoa, è andato ad acquistarne una seconda per l'uso familiare.
Così, tutti sono stati contenti e felici, anche se non si può mai essere pronti...
Enzo ancora oggi, però quella canoa da mare giallo senape non l'ha ancora varata in mare: ma, nel frattempo, è divenuto un autentico master nello scarico e nel carico della canoa sul tetto dell'auto...
E nel frattempo - questa è la notizia che mi è giunta fresca fresca poche ore fa - ha cominciato a sperimentarsi sulla seconda canoa per cominciare ad acquisire la necessaria dimestichezza con la pagaiata con la pagaia asimmetrica.
Bisogna sempre cominciare dall'ABC, anche senza mai avere la presunzione di poter essere completamente pronti domani...
Quasi pronti, magari...
Mai pronti del tutto, però!

lunedì 5 aprile 2010

Daybreakers, ovvero l'inaspettata metafora della società dominata dalle lobby


Daybreakers dei fratelli Spierig (2009) si propone con una rivisitazione del tema del vampiro in chiave modernizzata e con uno stile che sconfina nella fiction tecnologica.
Siamo nel 2016.
Il mondo, anni prima, è stato colpito da un'epidemia che ha trasformato i più in vampiri, mentre altri hanno preferito omologarsi per sfuggire alla malattia e alla morte.
Il tema dell'epidemia crea qualche punto di contatto con "Io sono leggenda", per quanto lì gli uomini trasformati in vampiri appiaono degenerati ad un livello di vita "inferiore" e bestiale, pur tentando palesemente di ricostruire una parvenza di organizzazione "tribale" di vita.
Qui i vampiri, invece, appaiono assolutamente "normalizzati": sono tutti degli "iper-regolari", tutti casa e lavoro, "rispettabili" individui insomma, che assumono la loro dose di sangue giornaliero diluita nei caffé ed altre bibite che vengono serviti nelle caffeterie delle stazioni della Metro o in altre mescite pubbliche, oppure lo sorseggiano languidamente da calici di cristalli, meglio se si tratta di buon rosso (sangue) d'annata sempre più raro da trovare in tempi grami, a volte "on the rocks", giusto per essere più raffinati.
Nel complesso, sembrano tutti dei vampiri "in doppio petto".

L'essere dei "succhiasangue" è del tutto depurato dei suoi aspetti più orridi che, nel romanzo capostitite della serie partorito dalla penna di Bram Stoker (come è stato rilevato da numerosi commentatori), assicuravano al famoso Conte un fascino erotico e perverso.
Gli umani che hanno ancora resistito al contagio (e che comunque rifiutano di arrendersi) vengono catturati e tenuti in una sorta di animazione sospesa come produttori di sangue per alimentare i vampiri (quasi fossero delle mucche da latte stabulate...).

Una crisi, tuttavia, incombe sul mondo dominato dai vampiri iper-tecnologici apparentemente così perfetto grazie agli speciali dispositivi che hanno messo a punto per oscurare le auto e poter muoversi anche di giorno al riparo della luce del sole e che, per potere avere una vita attiva e "produttiva", possono spostarsi da un edificio all'altro utilizzando le "subways, un reticolo di sottopassaggi che li tengono al riparo dalle radiazioni ultraviolette.

La verità è gli uomini "normali" troppo sfruttati si stanno estinguendo, così come - di conseguenza - le scorte di sangue fresco stanno per venir meno.
Un male esiziale incombe sui vampiri che, in astinenza da sangue, vanno incontro ad orride trasformazioni somatiche, espressione in primo luogo della degenerazine dei lobi frontali dell'encefalo: i vampiri in astinenza da sangue sono i "subsider" che, con il loro comportamento fuori controllo disturbano la quieta routine dei vampiri "rispettabili" e produttivi.
Edward Dalton (Ethan Hawke) è un ematologo che, al soldo di una multinazionale del "sangue e derivati", dovrebbe mettere a punto un surrogato del sangue, anche se il suo sogno segreto è quello di trovare una cura, dal momento che lui non è vampiro né per sventura, né per fede ma per costrizione.
Vi è molta tecnologia in questo film: meno nette appaiono le divisioni tra il bene e il male: per esempio, sono scomparse del tutto le folcloriche ghirlande di aglio, oppure la croce ed alttri simboli sacri come difesa personale contro il vampiro, così come sono abolite le dicotomie manichee giorno/notte, luce/buio, dal momento che questi vampiri del XXI hanno messo a punto una serie di hardware per proteggersi dalla deleteria azione della luce del sole.
I pochi uomini normali ancora normali e scampati dal giogo dei succhia-sangue sono gli ultimi sognatori, degli ecoterroristi che sperano di rovesciare le sorti di un mondo incupito e prosciugato della sua vitalità.
I vampiri "in doppio petto" rappresentano efficacemente - in metafora - le multinazionali e i vertici delle grandi lobby che succhiano all'umanità ogni risorsa per lasciare soltanto spoglie vuote, e che, cercando di convertire ogni uomo in "consumatore", si vanno togliendo progressivamente il terreno sotto i piedi, perchè perdono sempre di più la possibilità di assicurarsi linfa vitale (creativit, inventiva) per progredire.
"Il consumismo ti consuma", ha scritto qualcuno su di un muro: ecco che il film dei fratelli Spierig inaspettatamente si sposta tutto sulla fiction tecnologica con la appresentazione drammatica e isterilita di un mondo che verrà, dominato dalle lobby contro le quale si oppone un pugno di ecoterroristi e di visionari, desiderosi di rovesciare l'andamento delle cose.

Che si possa identificare con gli strumenti della ricerca scientifica un valido surrogato al sangue per il nutrimento quotidiano dei vampiri significa lasciare le cose come stanno: perchè, in ogni caso, sarebbe la lobby dei succhia-sangue a vincere la sua battaglia e a rimanere al potere.

L'unico rimedio radicale è la cura, ma è proprio quello che i vampiri non vogliono, perchè - curandosi, cioè ritornando umani - perderebbero ogni potere.
Nell'antagonismo tra ricerca del surrogato e della cura si gioca gran parte del film, con esiti fantasiosi ed estremi.
Nei colpi di scena finali vi è la chicca degli ultimi vampiri che, in alcune sequenze sautenticamente splatter, finiscono con l'assumere per "contaminazione", alcune delle caratteristiche dei "morti viventi" di Romero.

Nel complesso, Daybreakers è un film che può suscitare un certo interesse e presenta, nella sconfinata filmografia vampirica, qualche spunto di originalità, anche se volendo di parlare di vampiri nel suo movente iniziale finisce poi di parlare di ben altro: ma forse questo "altro" è solo un valore aggiunto che, se indebolisce la saga del vampiro nei suoi canoni di base (peraltrosempre più edulcorati), dà forza ad una possibile riflessione sul mondo in cui viviamo e sui rapporti di forza più o meno occulti che lo plasmano.

Per vedere il trailer del film, clicca qui.

Ethan Hawke

Scheda del film

Regia: Michael Spierig, Peter Spierig.
Interpeti principali: Ethan Hawke, Willem Dafoe, Claudia Karvan, Michael Dorman, Vince Colosimo, Isabel Lucas, Sam Neill, Christopher Kirby, Mungo McKay, Emma Randall, Robyn Moore, Jay Laga'aia, Renai Caruso, Paul Sonkkila, Michelle Atkinson, Mark Finden, Selina Kadell, Gabriella Di Labio, Tiffany Lamb, Gavin Coleman, Jack Bradford, Joel Amos Byrnes, Peter Welman, David Knijnenburg, Joel Spreadborough, Harriet Minto-Day, Damien Garvey, Sahaj Dumpleton
Titolo originale: Daybreakers.
Genere: Horror, Azione
Durata: 98 min.
Origine: USA, Australia 2009. - Sony Pictures
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