Da tempo giro per le strade della città armato di macchina fotografica, alla ricerca di nuovi graffiti da catturare con il mio obiettivo.
E' una cosa che, nel corso degli anni, ho sempre fatto.
Prima, parlo di più di vent'anni fa, era più facile trovare delle scritte di contenuto vario, alcune spiritose e dissacranti, altre di taglio politico (all'insegna dell'estremismo e dell'intolleranza) altre ancora partorite dalle tifoserie calcistiche.
Pochissimi invece erano i murales in senso stretto, disegni policromi oppure scritte policrome oppure una combinazione delle due forme espressive.
Solo alcuni i muri prescelti per queste forme di "writing" espressive, in alcuni luoghi cittadini ben identificabili, spesso in vie della città poco frequentate e delimitate da lunghi muri.
In uno di questi luoghi comparve ad un certo punto la scritta: “Prima su questo muro scrivevo soltanto io, poi il diluvio di cazzate” in cui l'anonimo autore evidentemente si rammaricava del fatto di aver perso la possibilità dell'esclusivo utilizzo di quella superficie di muro con la comparsa di una quantità di neofiti-imitatori.
Ancora prima, quando andavo al Liceo (anni sessanta, ma prima del fatidico '68 che è l'anno cardine per la liberazione d’ogni forma di espressione creativa nel tessuto metropolitano: si può ricordare il famoso slogan utilizzato per ricordare il Maggio francese, Les murs ont parlé), per anni un'unica scritta campeggiava a grandi lettere nere sul muro del palazzo condominiale di fronte al glorioso liceo "Garibaldi".
Diceva: “Robert B**** è cacca”. Questa apodittica frase rimase a campeggiare lì per anni, per eclissarsi soltanto quando la facciata dell'edificio venne ritinteggiata. Ogni volta che mi capitava di leggerla (e ciò accadeva ogni giorno all'entrata e all'uscita da scuola), non potevo fare a meno di pensare al povero Robert B**** di palermitano lignaggio, definitivamente consegnato con questo ignobile epiteto alla memoria dei posteri: tra l'altro con una "nobile" accettazione di esso. Per quanto immaginassi che, nottetempo, il per me altrimenti sconosciuto Robert B***** si recasse sul posto armato di vernice e di pennello per cancellare l'ingiuria o, eventualmente, edulcorarla con un’opportuna modificazione delle sue lettere (ma come? attraverso quali abilità retoriche?), ciò non avvenne mai: tanto da indurmi a pensare che il nostro fosse una persona di eccezionale pazienza, un santo forse. Dopo la ritinteggiatura dello stabile, l'intonaco resistette pulito solo per poco e venne presto ricoperto da una selva di caotici graffiti, sigle e sgorbi senza senso. Ma già da tempo avevo smesso di frequentare il liceo.
Ma forse fu proprio la diuturna osservazione di questo perentorio messaggio e le sue successive modifiche a indurmi a manifestare sempre una curiosità nei confronti dei graffiti e, secondo la terminologia "onnicomprensiva" che ha preso piede ai nostri giorni del cosiddetto writing metropolitano.
Il writing metropolitano è una cosa viva: si evolve, trasformandosi, attraverso i contributi successivi di diversi scrittori; oppure scompare per poi riapparire sulla stessa superficie, come ombra appena dissimulata da una mano d'intonaco. Quindi, attraverso le sue successive metamorfosi racconta delle storie: storie che possono assumere un interesse se ci si sforza di interrogare le figure, le lettere e le sigle che si affastellano sulle superfici libere.
Per esempio: nei pressi di una chiesa di Palermo, zona dei quartieri residenziali, una mano ignota ha scritto “Il papa è gay” che, evidentemente, deve essere parsa di contenuto un po' troppo blasfemo e dissacrante ( e poi, proprio di fronte ad una chiesa...), tanto che di lì a poco la frase ha subito una metamorfosi in “Il parà è gay” (in corner salvato il papa, ma colpito e affondato il parà, con la trasformazione di quello che era un vago orientamento anti-clericale in sberleffo anti-militarista). Quando mi sono accorto della abile metamorfosi del messaggio, ho immaginato che fosse stato lo stesso parroco a scivolare silenzioso dalla canonica a notte fonda (perfettamente mimetizzato nella sua tonaca nera nel nero della notte) a eseguire l'opera di trasformazione, una sorta di benefico Macchia Nera di disneyana memoria. Poi, dopo qualche tempo ancora, il muro dell'edificio è stato intonacato di bianco, con la cancellazione della metamorfica scritta.
Le trasformazioni di questo tipo, tuttavia, anche quando sono realizzate con intendimenti correttivi, finiscono con l'avere, in chi guarda - fruisce del messaggio -, un effetto involontariamente comico (o grottesco, a seconda delle circostanze). S’immagini l'effetto quando, nel graffitismo vi è una precisa volontà dissacrante e di sberleffo: un bizzarro personaggio che ho avuto modo di conoscere in gioventù, lavorando abilmente di pennello, aveva modificato per scherzo il nome di una via nei pressi della via in cui abitavo allora (una via Bainsizza trasformata in via Sasizza). Guarda caso, questa via correva accanto al muro perimetrale di una parrocchia: poco dopo il corretto nome della via era stato ripristinato. Non dandosi per vinto, il tizio è ritornato sul luogo del misfatto armato di scala a pioli, pennello e vernice e ha nuovamente trasformato con pazienza da certosino il nome della via, ma questa volta in Via Sasizza n°2! Anche questa variante presto cancellata e ripristinata allo stato quo ante.
Oppure ancora, di fronte ad una scuola, in tempi di contestazione, una delle tante "pantere" o forse in occasione di una delle recenti proteste anti-Gelmini, qualcuno aveva vergato con l'ausilio di uno spray nero le parole "blocco studentesco", presto trasformate in un comico "broccolo studentesco".
Ecco che quest’aneddoto consente di illuminare una delle caratteristiche tuttora persistenti del writing che è quella dell’“impresa” da compiere: quindi se da un lato occorre capacità grafica, senso del colore, attitudine al disegno, dall’altro come nell’impresa sbeffeggiante di cui sopra bisogna mobilitare ingegno, determinazione e coraggio (specie se l’impresa viene compiuta in un luogo in cui si è a rischio di essere scoperti.
E' una cosa che, nel corso degli anni, ho sempre fatto.
Prima, parlo di più di vent'anni fa, era più facile trovare delle scritte di contenuto vario, alcune spiritose e dissacranti, altre di taglio politico (all'insegna dell'estremismo e dell'intolleranza) altre ancora partorite dalle tifoserie calcistiche.
Pochissimi invece erano i murales in senso stretto, disegni policromi oppure scritte policrome oppure una combinazione delle due forme espressive.
Solo alcuni i muri prescelti per queste forme di "writing" espressive, in alcuni luoghi cittadini ben identificabili, spesso in vie della città poco frequentate e delimitate da lunghi muri.
In uno di questi luoghi comparve ad un certo punto la scritta: “Prima su questo muro scrivevo soltanto io, poi il diluvio di cazzate” in cui l'anonimo autore evidentemente si rammaricava del fatto di aver perso la possibilità dell'esclusivo utilizzo di quella superficie di muro con la comparsa di una quantità di neofiti-imitatori.
Ancora prima, quando andavo al Liceo (anni sessanta, ma prima del fatidico '68 che è l'anno cardine per la liberazione d’ogni forma di espressione creativa nel tessuto metropolitano: si può ricordare il famoso slogan utilizzato per ricordare il Maggio francese, Les murs ont parlé), per anni un'unica scritta campeggiava a grandi lettere nere sul muro del palazzo condominiale di fronte al glorioso liceo "Garibaldi".
Diceva: “Robert B**** è cacca”. Questa apodittica frase rimase a campeggiare lì per anni, per eclissarsi soltanto quando la facciata dell'edificio venne ritinteggiata. Ogni volta che mi capitava di leggerla (e ciò accadeva ogni giorno all'entrata e all'uscita da scuola), non potevo fare a meno di pensare al povero Robert B**** di palermitano lignaggio, definitivamente consegnato con questo ignobile epiteto alla memoria dei posteri: tra l'altro con una "nobile" accettazione di esso. Per quanto immaginassi che, nottetempo, il per me altrimenti sconosciuto Robert B***** si recasse sul posto armato di vernice e di pennello per cancellare l'ingiuria o, eventualmente, edulcorarla con un’opportuna modificazione delle sue lettere (ma come? attraverso quali abilità retoriche?), ciò non avvenne mai: tanto da indurmi a pensare che il nostro fosse una persona di eccezionale pazienza, un santo forse. Dopo la ritinteggiatura dello stabile, l'intonaco resistette pulito solo per poco e venne presto ricoperto da una selva di caotici graffiti, sigle e sgorbi senza senso. Ma già da tempo avevo smesso di frequentare il liceo.
Ma forse fu proprio la diuturna osservazione di questo perentorio messaggio e le sue successive modifiche a indurmi a manifestare sempre una curiosità nei confronti dei graffiti e, secondo la terminologia "onnicomprensiva" che ha preso piede ai nostri giorni del cosiddetto writing metropolitano.
Il writing metropolitano è una cosa viva: si evolve, trasformandosi, attraverso i contributi successivi di diversi scrittori; oppure scompare per poi riapparire sulla stessa superficie, come ombra appena dissimulata da una mano d'intonaco. Quindi, attraverso le sue successive metamorfosi racconta delle storie: storie che possono assumere un interesse se ci si sforza di interrogare le figure, le lettere e le sigle che si affastellano sulle superfici libere.
Per esempio: nei pressi di una chiesa di Palermo, zona dei quartieri residenziali, una mano ignota ha scritto “Il papa è gay” che, evidentemente, deve essere parsa di contenuto un po' troppo blasfemo e dissacrante ( e poi, proprio di fronte ad una chiesa...), tanto che di lì a poco la frase ha subito una metamorfosi in “Il parà è gay” (in corner salvato il papa, ma colpito e affondato il parà, con la trasformazione di quello che era un vago orientamento anti-clericale in sberleffo anti-militarista). Quando mi sono accorto della abile metamorfosi del messaggio, ho immaginato che fosse stato lo stesso parroco a scivolare silenzioso dalla canonica a notte fonda (perfettamente mimetizzato nella sua tonaca nera nel nero della notte) a eseguire l'opera di trasformazione, una sorta di benefico Macchia Nera di disneyana memoria. Poi, dopo qualche tempo ancora, il muro dell'edificio è stato intonacato di bianco, con la cancellazione della metamorfica scritta.
Le trasformazioni di questo tipo, tuttavia, anche quando sono realizzate con intendimenti correttivi, finiscono con l'avere, in chi guarda - fruisce del messaggio -, un effetto involontariamente comico (o grottesco, a seconda delle circostanze). S’immagini l'effetto quando, nel graffitismo vi è una precisa volontà dissacrante e di sberleffo: un bizzarro personaggio che ho avuto modo di conoscere in gioventù, lavorando abilmente di pennello, aveva modificato per scherzo il nome di una via nei pressi della via in cui abitavo allora (una via Bainsizza trasformata in via Sasizza). Guarda caso, questa via correva accanto al muro perimetrale di una parrocchia: poco dopo il corretto nome della via era stato ripristinato. Non dandosi per vinto, il tizio è ritornato sul luogo del misfatto armato di scala a pioli, pennello e vernice e ha nuovamente trasformato con pazienza da certosino il nome della via, ma questa volta in Via Sasizza n°2! Anche questa variante presto cancellata e ripristinata allo stato quo ante.
Oppure ancora, di fronte ad una scuola, in tempi di contestazione, una delle tante "pantere" o forse in occasione di una delle recenti proteste anti-Gelmini, qualcuno aveva vergato con l'ausilio di uno spray nero le parole "blocco studentesco", presto trasformate in un comico "broccolo studentesco".
Ecco che quest’aneddoto consente di illuminare una delle caratteristiche tuttora persistenti del writing che è quella dell’“impresa” da compiere: quindi se da un lato occorre capacità grafica, senso del colore, attitudine al disegno, dall’altro come nell’impresa sbeffeggiante di cui sopra bisogna mobilitare ingegno, determinazione e coraggio (specie se l’impresa viene compiuta in un luogo in cui si è a rischio di essere scoperti.
Un tempo qualcuno scrisse su di un basso muretto "Blocco studentesco"... Qualcuno che arrivò dopo, non garbandogli quella frase,volle trasformarla " in "broccolo studentesco"...
RispondiEliminaCosì va il mondo...
Scusate, ma la mia citazione era inesatta: la famosa scritta del '68 era "Le murs ont la parole" che era anche il titolo di un piccolo libro (formato insolito) che raccoglieva esempi significativi dei writing di contestazione a Parigi Sorbonne e a Nanterre dei giorni della rivolta studentesca del '68 (Les murs ont la parole.Journal mural Mai 68 Sorbonne Odéon Nanterre etc..., Brochè).
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