mercoledì 2 giugno 2010

La 100 km del Passatore: un percorso mistico, senza volerlo


Come tutti sanno proprio al Passatore è intitolata la 100 km più celebre d’Italia e forse anche del mondo, sicuramente una delle più partecipate e che, per molti neofiti che vogliono cimentarsi per la prima volta in una 100 km, si pone un po’ come faro di riferimento mitico, un po’ come è la maratona di New York per chi vuole affrontare per la prima volta i classici 42,195 km.
Come sanno tutti gli appassionati, la testa della corsa, durante l’intero percorso che si snoda da Firenze a Faenza è aperta da un auto che trasporta una statua di dimensioni superiori al naturale raffigurante, appunto, il Passatore con le fattezze che sono ormai state consegnate all’iconografia, anche se non corrispondenti al reale.
La presenza della statua che, come l’immagine iconica di un santo, viene portata in processione conferisce alla gara una dimensione imprevedibilmente mistica, trasformandola in una processione che, nelle ore centrali della gara, si allunga per decine di chilometri, con più di mille fedeli-penitenti al seguito del suo "Santo" protettore ed ispiratore; ma conferisce alla corsa anche un forte valore rituale che – pur essendo connotata in senso fortemente laico – finisce con il tracimare in una dimensione quasi spirituale.

L'effigge del Passatore trasportata sulla testa della corsa

La cosa singolare - e altamente simbolica - è che questa statua (ed è irrilevante che sia fatta di dozzinale plastica e dipinta con colori approssimativi) – è double-face: una faccia è rivolta all’indietro, in direzione di Firenze dunque, mentre l’altra scruta verso la direzione di Faenza. Questo aspetto "bifronte" conferisce al Passatore della corsa un ulteriore aspetto mitologico: l'effigge del brigante romagnolo diventa assimilabile al dio pagano che sovrintende ai transiti, alle trasformazioni e ai viaggi, come era appunto il dio Giano nel politeismo degli antichi romani: Giano bifronte, appunto, collocato tra l’altro sulle archiotravi di tutte le porte (in latino, la parola "ianua", porta, rimandava direttamente al dio che la proteggeva), dal momento che il passaggio attraverso una porta - nella concezione degli antichi - comportava dei rischi e doveva essere guardato da un dio, poiché ogni porta è una soglia che da una dimensione porta ad un’altra, adiacente, e il transito, mai asettico, comporta delle trasformazioni.

Una rappresentazione scultorea di Giano bifronte

D’altra parte, l’essenza del Giano bifronte è contenuta nel nome stesso de “Il Passatore”: cosa significa, infatti, “passatore” se non “traghettatore”?
La 100 km del Passatore come sanno tutti coloro che vi hanno partecipato è una gara sportiva, ma è anche una prova intensa sotto il profilo mentale, un vero e proprio viaggio condensato nell’arco del tempo massimo regolamentare di 20 ore, un viaggio che diventa anche della mente e dello spirito e, in quanto tale, dotato di forti potenzialità trasformative, se si è in condizione di cogliere questo particolare aspetto, o anche un pellegrinaggio al termine del quale non si è più gli stessi di come si era alla partenza, perché il cammino e il confronto con le sue asperità hanno operato delle metamorfosi nel nostro animo.
Questa dimensione è evidente e palapabile nell'intensa solidarietà che fa medium che collega ciascuno dei podisti con un sentire di profonda empatia: se la gara, in quanto impresa sportiva, è una prova individuale in cui ciascuno si cimenta con se stesso in una dimensione di fatica solitaria ed introversa, nello stesso tempo, è sforzo e prova corale di una comunità itinerante.
Non è raro che il feeling profondo di chi è impegnato nella 100 km del Passatore possa essere quello d'una sensazione estatica, appartenente alla categoria delle cosiddette "estasi selvaggie" e che vi si possa generare l'impressione che il percorrere tutti questi chilometri rappresenti un modo per elevare delle preghiere verso il cielo e verso il divino immanente: la fatica, lo sgocciolìo del sudore e il rumore cadenzato dei passi, rappresentando il mezzo in cui le preghiere del corpo e della mente possanoelevarsi verso l'alto ed attirare su di noi l'attenzione di un'entità trascendente, esaudendo i nostri desideri.
Correre il Passatore, proprio per questa attivazione metafisica, ci porta ad essere "vagabondi delle stelle", ad avvicinarsi alla realizzazione dei nostri desideri (de sidera) e a sentirci "assiderati" (a sidera), cioè stranamente mancanti di qualcosa, se non lo portiamo a termine oppure se non torniamo a correrlo l'anno successivo.
Ha perfettamente interpretato questa velenza mistica della gara del Passatore, Marco D'Innocenti che, quarto arrivato in quest'ultima edizione (2010), ha "consacrato" al traguardo la sua bimba nata da pochi mesi appena, in un gesto intenso e commovente.

Marco D'innocenti al traguardo di Faenza (2010)

Per questo motivo, assume un forte significato simbolico il fatto che il primo uomo e la prima donna ad arrivare al traguardo di Piazza del Popolo a Faenza ricevano l’investitura del Passatore, con l’imposizione del suo “cappellaccio” (quello della tradizionale iconografia rivisitato in qualche modo dalla modernità, ma pur sempre simile a quello della statua).
Il “cappellaccio” del Passatore è il riconoscimento “materiale” che tocca ai primi due della processione laica che si snoda da Firenze a Faenza, ma in modo simbolico spetta di diritto a tutti quelli che raggiungono il traguardo di Faenza, perché tutti hanno compiuto il cammino di 100 km, assolvendo alla propria promessa.
Bene ha compreso, secondo me, il valore mistico della 100 km del Passatore don Luca Ravaglia, l’intraprendente sacerdote, che nel 2009 ha "camminato" i 100 km da Firenze a Faenza, facendo frequenti soste di preghiera e meditazione, e che quest’anno lo ha ripercorso, arrivando a Faenza poco prima dello scadere della 20^ ora, seguendo il cammino compiuto da Suor Umiltà, che esattamente 700 anni prima, aveva camminato sino a Faenza per fondarvi il Monastero dell’Umiltà.

Don Luca Ravaglia, al suo arrivo a Faenza, con pettorale n° 700.
Ma chi era il Passatore?
Stefano Pelloni detto il Passatore (o, secondo la definizione di Pascoli, il Passator cortese), nato a Boncellino di Bagnacavallo, il 4 agosto 1824 e ucciso a Russi, IL 23 marzo 1851) è stato un brigante italiano, attivo nella Romagna di metà Ottocento.
Il soprannome gli viene dal mestiere di traghettatore (o "passatore") sul fiume Lamone esercitato dal padre; viene chiamato anche Malandri, dal cognome della donna che sposò un suo bisavolo. Dagli amici e dai conoscenti più diretti veniva anche chiamato Stuvané.
Le sue imprese ispirarono la musa popolare della rievocazione orale (che enfatizzò la sua generosità, divenuta leggendaria) e quella colta, da Arnaldo Fusinato a Giovanni Pascoli (che nella poesia “Romagna” idealizzò la sua figura evocandolo, appunto, come il Passator Cortese, re della strada, re della foresta).
Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
(da Romagna)
Malgrado tale appellativo di "cortese", gli storici sono quasi tutti concordi che, la leggenda così come ha fatto con Robin Hood, abbia esagerato anche con il Passatore. E' risaputo che le leggende esagerano sempre, altrimenti diventerebbero pura cronaca.
Non era poi tanto cortese, sicuramente non con le otto persone che uccise durante i suoi anni di brigantinaggio e latitanza. Pascoli da buon socialista, lo chiamò così perché rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma la storia non è esattamente questa.
E' vero che elargiva somme di denaro (rubato) alla povera gente delle campagne tra Lugo, Bagnacavallo e dintorni, ma per avere ospitalità e trovar rifugio lontano da occhi indiscreti nella campagna piu' isolata del tempo.
Il Passatore agli occhi del popolino era l'unico in grado di ribellarsi all'ordine costituito del Governo Pontificio, che sempre più spesso inviava squadre di cavalleggeri, l'unico in grado di mettere sotto scacco l'esercito dei dominatori e dare l'illusione di un riscatto dalla miseria e dalla fame, che allora imperava sovrana in tutta l'Emilia-Romagna, e non solo!
Lo stesso Garibaldi in una lettera datata 10-12-1850 e inviata dal suo esilio negli Stati Uniti, così ne scriveva :

"Le notizie del Passatore sono stupende…….pare fare prodigi. Noi baceremmo il piede di questo bravo italiano che non paventa, in questi tempi di generale paura, di sfidare i dominatori".


I veri connotati de "il Passatore" differiscono notevolmente dall’iconografia che lo ha reso famoso, diffusasi nel dopoguerra a seguito del lancio del marchio dell'"Ente Tutela Vini Romagnoli", che lo raffigurava somigliante a un brigante-pastore lucano (probabilmente Carmine Crocco) e armato di arcaico "trombone", poiché - in realtà - egli utilizzava le migliori armi disponibili all'epoca.
Stefano Pelloni era molto diverso anche in volto, e nel vestire: alto intorno al metro e settanta, una statura giusta per la metà del secolo XIX in Romagna, aveva i capelli neri, gli occhi castani e la fronte spaziosa. In particolare il viso, di forma oblunga e di colorito pallido, non presentava alcuna barba.
All'epoca, alla voce "segni particolari" del Passatore, veniva indicato "sguardo truce": ciò è possibile poiché Stefano Pelloni presentava una bruciatura da zolfo sotto l'occhio sinistro.

La processione "laica" al seguito del Passator cortese, del resto, è una reinterpretazione di ciò che accadde dopo la sua morte. I rappresentanti dello Stato pontificio, infatti, decisero che sarebbe stato opportuno esporre la salma di Stefano Pelloni, portandolo in giro per tutte le città romagnole, a mo' di monito per tutti coloro che avessero accarezzato l'idea di ripercorrere le sue orme, dandosi al brigantaggio per fare ressitenza a governanti non accettati e considerati iniqui.
Ma l'iniziativa si ritorse contro di loro: infatti, se c'erano delle persone che avevano motivo di gioire per la sua scomparsa, furono moltissimi quelli che si accalcarono attorno alla sua salma, portata in giro per le vie della Romagna su di carro trainato da buoi, per salutarlo come una sorta di eroe popolare.

Ad ogni tappa del corteo funebre, che attraversò Russi, Cotignola,Forlì e Faenza, per poi fermarsi a Bologna, centinaia di persone si accalcarono attorno al carro.
Certo, non mancavanomercanti, possidenti,e banchieri plaudenti sollevati dall'uccisione del mostro.Ma la stragrande maggioranza del pubblico che asssiteva a quella parata era composta da braccianti commossi e donne in lacrim, che non esitevano a prendersi qualche manganellata dai gendarmi, pur di riuscirea gettare un fiore sul corpo di quello che, ai loro occhi, era semplicemente un eroe. (da Marco Valsecchi, Il Passatore. Re della strada, re della foresta, Bevivino editore, 2005, p.102).

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