Siamo a poche ore dalla partenza della 37^ edizione della 100 km del Passatore, decana delle ultramaratone italiane.
Io non correrò quest'anno, ma seguirò la testa dell'affascinante carovana che si snoda da Firenze a Faenza in una delle auto dell'organizzazione.
Ho accompagnato a Firenze ii miei amici Enzo Cordovana e Eduardo Vaghetto, l'ultrasettantenne che - alla sua prima partecipazione quattro anni fa - riuscì a chiudere la distanza in meno di 13 ore.
Enzo, nel suo approccio alla distanza di 100 km - come pure alla 24 ore - pratica la filosofia del "non essere mai pronti".
Cosa significa ciò in soldoni?
Lui afferma che per correre (o coprire) una simile distanza non si può mai essere pronti e che quindi, assodato ciò e avendone contezza, ogni momento è buono per andare...
La cosa può assumere dei risvolti comici, perchè Enzo sta bene attento a non cadere mai in contraddizione rispetto al suo enunciato di base, che poi possiede infinite modulazioni e ramificazioni che si insinuano anche nel vivere quotidiano.
Nel mio dialogo con lui, cerco in molteplici di fargli dire che "è pronto"., di farlo cadere in contraddizione, predisponendo ad arte dei trabocchetti linguistici.
Ma lui, niente!
Non si lascia mai fuorviare, mai abbindolare.
Si attiene pervicacemente alla sua via.
Non cede mai alle mie insinuanti sollecitazioni che lo dovrebbero spingere a dire che, in qualcosa almeno, è pronto.
Ieri, per esempio, gli ho detto che dovrebbe anche stare bene attento al modo in cui risponde al telefono. A questa implicazione Enzo non aveva mai pensato ed è subito caduto in crisi: si è reso conto, infatti, che tante, troppe volte, con sollecitudine ha risposto "Pronto!", mandando a rotoli la sua filosofia.
Già, dire "Pronto!" ad un ancora sconosciuto (o già conosciuto) interlocutore, infatti, sarebbe la pericolosa ammissione di una "prontezza" che - secondo la sua filosofia - non è mai realizzabile. Per aiutarlo a uscire dalla crisi e dallo stato di prostrazione in cui versava gli ho suggerito che dovrebbe rispondere più realisticamente, per mantenersi coerente con se stesso: "Io non sono pronto ad ascoltare. Ma dica pure...".
All'amico Enzo, del resto, non posso dare tutti i torti.
Predicare di non essere pronti è un modo di dare spazio alla filosofia del dubbio e dell'incertezza, insomma di praticare un pensiero epistemologicamente debole che, rispetto alle convinzioni forti e monolitiche, ha delle valenze più profondamente euristiche e di autentica conoscenza della realtà che ci circonda.
Al non essere pronto di Enzo fa da contraltare l'essere "troppo pronti" di alcuni podisti che si accingono ad affrontare la prova cruciale dei 100 km: lo si vede dall'atteggiamento, dall'abbigliamento (magari sono già vestiti con la tenuta di gara già molte ore prima della partenza), dai discorsi che fanno.
L'essere "troppo pronti", se apparentemente spazza ogni dubbio dalla mente, dall'altro - creando incrollabili convinzioni ed impedendo una sana dialettica tra le istanze interne - espone a grandi, improvvisi ed inspiegabili crolli e al fallimento.
Io non correrò quest'anno, ma seguirò la testa dell'affascinante carovana che si snoda da Firenze a Faenza in una delle auto dell'organizzazione.
Ho accompagnato a Firenze ii miei amici Enzo Cordovana e Eduardo Vaghetto, l'ultrasettantenne che - alla sua prima partecipazione quattro anni fa - riuscì a chiudere la distanza in meno di 13 ore.
Enzo, nel suo approccio alla distanza di 100 km - come pure alla 24 ore - pratica la filosofia del "non essere mai pronti".
Cosa significa ciò in soldoni?
Lui afferma che per correre (o coprire) una simile distanza non si può mai essere pronti e che quindi, assodato ciò e avendone contezza, ogni momento è buono per andare...
La cosa può assumere dei risvolti comici, perchè Enzo sta bene attento a non cadere mai in contraddizione rispetto al suo enunciato di base, che poi possiede infinite modulazioni e ramificazioni che si insinuano anche nel vivere quotidiano.
Nel mio dialogo con lui, cerco in molteplici di fargli dire che "è pronto"., di farlo cadere in contraddizione, predisponendo ad arte dei trabocchetti linguistici.
Ma lui, niente!
Non si lascia mai fuorviare, mai abbindolare.
Si attiene pervicacemente alla sua via.
Non cede mai alle mie insinuanti sollecitazioni che lo dovrebbero spingere a dire che, in qualcosa almeno, è pronto.
Ieri, per esempio, gli ho detto che dovrebbe anche stare bene attento al modo in cui risponde al telefono. A questa implicazione Enzo non aveva mai pensato ed è subito caduto in crisi: si è reso conto, infatti, che tante, troppe volte, con sollecitudine ha risposto "Pronto!", mandando a rotoli la sua filosofia.
Già, dire "Pronto!" ad un ancora sconosciuto (o già conosciuto) interlocutore, infatti, sarebbe la pericolosa ammissione di una "prontezza" che - secondo la sua filosofia - non è mai realizzabile. Per aiutarlo a uscire dalla crisi e dallo stato di prostrazione in cui versava gli ho suggerito che dovrebbe rispondere più realisticamente, per mantenersi coerente con se stesso: "Io non sono pronto ad ascoltare. Ma dica pure...".
All'amico Enzo, del resto, non posso dare tutti i torti.
Predicare di non essere pronti è un modo di dare spazio alla filosofia del dubbio e dell'incertezza, insomma di praticare un pensiero epistemologicamente debole che, rispetto alle convinzioni forti e monolitiche, ha delle valenze più profondamente euristiche e di autentica conoscenza della realtà che ci circonda.
Al non essere pronto di Enzo fa da contraltare l'essere "troppo pronti" di alcuni podisti che si accingono ad affrontare la prova cruciale dei 100 km: lo si vede dall'atteggiamento, dall'abbigliamento (magari sono già vestiti con la tenuta di gara già molte ore prima della partenza), dai discorsi che fanno.
L'essere "troppo pronti", se apparentemente spazza ogni dubbio dalla mente, dall'altro - creando incrollabili convinzioni ed impedendo una sana dialettica tra le istanze interne - espone a grandi, improvvisi ed inspiegabili crolli e al fallimento.
Prova a mettere più attenzione quando scrivi e rendi pubblico.
RispondiEliminaSembra quasi che non ti importi di chi ti legge.
Se così fosse perchè renderti visibile ad altri occhi...
bisogna essere pronti nel tentare di smontare dei dubbi che a volte ti fanno anche crollare e
RispondiEliminache ti rendono umano ma comprensibile.
Ad anonimo vorrei rispondere che non si potrà mai essere del tutto pronti nel presentarsi agli occhi degli altri. Tra l'invisibilità, la rinuncia alla comunicazione ed il concreto rischio di un errore di battitura riterrei preferibile affrontare l'orrore di un refuso tipografico. C'è chi nel presentarsi agli altri espone l'imperfezione della propria stempiatura e c'è chi preferisce esibire la perfezione di un nuovissimo parrucchino color melanzana
RispondiEliminaAnonimo due
RispondiEliminaChi, osando riesce a stare in equilibrio Osi pure!!
Anche con un fiammante parrucchino viola! sulla capa. ( il tuo commento è geniale!)
Resta il fatto che il nostro amico, a volte , diventa bulimico di parole e la comunicazione diventa difficile da digerire... Burp!
Ps: generossimo a chiamarla stempiatura.
Il primo anonimo.