La storia dei libri che leggiamo qualche volta è semplice e lineare.
Altre volte, invece, è tortuosa.
Ci sono dei libri tra quelli che compriamo con i quali si instaura subito un rapporto che è quasi di folgorazione. Vanno letti subito, anche al costo di mettere da parte delle letture già iniziate.
Altri, invece, devono rimanere in attesa per tempi più o meno lunghi, posati su un tavolo o una sedia, lì dove li abbiamo poggiati, quando sono entrati per la prima volta nella nostra casa.
Questi sono i libri che devono subire un processo di acclimatazione, assumendo - per così dire - l'odore di casa.
Sono quelli che qualche volta li dimentichiamo del tutto e che poi. improvvisamente, saltano fuori; oppure s ene stanno lì, muti e inerti, mentre noi - per mesi e mesi - li occhieggiamo, li carezziamo con lo sguardo, li soppesiamo, prima di deciderci a prenderli, anche solo per cominciare a sfogliarli.
Poi ci sono quei libri che, per curiosità o per voglia, iniziamo a leggere carichi di entusiasmo e che poi rimangono per lungo o lunghissimo tempo a metà, dimenticati.
Poi, improvvisamente, capita che quel libro ci ritorni tra le mani ed allora lo riprendiamo esattamente dal punto in cui l'abbiamo lasciato oppure lo rileggiamo daccapo e, questa volta, sino in fondo.
E' uno strano fenomeno che ci dice tanto sulla qualità fortemente soggettiva del rapporto con il libro, come strumento di conoscenza e come oggetto d'affezione: analoghi meccanismi entrano in gioco quando, a distanza di anni, riprendiamo in mano un libro che ci era piaciuto molto e, nel rileggerlo, ci accorgiamo che non "funziona" più, non ci piace più tanto quanto ci aveva entusiasmato allora.
Ma, ovviamente, può anche capitare il contrario.
Il rapporto con i libri è vario è mutevole: se alcuni di loro invecchiamo, anche noi cambiamo, strada facendo, e muta la nostra sensibilità, così come mutano i nostri gusti.
E quel libro non ci dice più le stesse cose, non fa più vibrare le stesse corde.
"Crampi" di Marco Lodoli (Einaudi, 1992) è un rappresentante del terzo tipo di destino: iniziato - posato - dimenticato e, infine ripreso.
E' un libricino smilzo e, nel sistemare alcuni volumi in uno scaffale, l'ho notato che sporgeva, messo di sghimbescio.
L'ho preso, l'ho sfogliato e s'è acceso qualcosa dentro di me, un guizzo, una reminiscenza.
"Voglio leggerlo!"
Poi, guardando bene, mi sono accorto d'una mia annotazione nel frontespizio ("Nepal, 1992", seguita dalla mia firma).
E mi sono ricordato.
Era una delle letture, che mi ero portata nel mio "mitico" viaggio in Nepal nel lontano 1992 e mai finita. Chi sa perchè? Forse, perchè c'era un altro romanzo più attraente che era in competizione con questo o forse per via del contenuto.
"Caspita!", ho pensato, "ne è passato del tempo!"
La sua storia ha a che vedere con la corsa.
Allora, io ero appena all'inizio delle mie esperienze podistiche e pieno di entusiasmo e, forse, fu proprio il modo dell'autore di trattare l'oggetto "corsa" a infastidirmi.
Cesare, il protagonista, s'iscrive ad una gara che si svolge lungo l'Autostrada del Sole, per loccasione chiusa al traffico (improbabile). Si tratta d'una maratona non competitiva e orientata ad una qualche causa umanitaria, battezzata "Due per il mondo", perchè vi si può correre soltanto a coppie, legati con un simbolico filo d'oro.
Cesare - non avendo una compagna, un fratello, un figlio, un amico - si registra con la sua Betta, una capra che - nella derviva esistenziale in cui vive - è diventata la sua amica fedele ed inseparabile.
L'esile romanzo è tutto qui: nella descrizione delle varie fasi della corsa, con un continuo spostamento sui pensieri che passano per la testa di Cesare, sui sui ricordi, sui suoi fallimenti e forse anche su alcuni suoi oscuri delitti che ha compiuto spinto dall'isolamento e dal senso di fallimento che lo pervade in modo sempre più spinto.
La corsa per lui - come per gli altri che partecipano a questa scalcinata gara - è l'unica cosa che riesce ancora a tenere assieme i pezzi vacillanti della sua intera esistenza allo sbando.
Ma il traguardo finale rimarrà, per lui sempre irraggiungibile.
Forse, allora, era stato questo aspetto a infastidirmi: l'essere messo di fronte alla realtà oscura di una scelta che - per come la vedevo allora - poteva soltanto essere orientata alla vita, solare e fatta da persone "positive", solo ed assolutamente "positive".
Cesare è un fallimento, poichè ha forse anche compiuto azioni disdicevoli e delittuose per dare qualche guizzo alla sua vita di incomunicabilità: e corre, cercando forse di salvare la sua esistenza, anche se in modo stralunato e sciatto.
Oggi, forse la vedo diversamente, perchè penso che sono tanti e diversi i modi in cui si possono praticare lo sport e la corsa; e che, sia come sia, la corsa ci salva la vita, anche se volte in modo incompleto e mai definitivo; e che, infine, spesso la corsa ci aiuta a uscire dalla solitudine e a metterci su d'una strada in cui ci sono anche altri che camminano, come noi.
La corsa, se protratta allo stremo, può causare crampi, ma il può delle volte aiuta e proteggi dai "crampi" del vivere quotidiano e dalle derive esistenziali.
Altre volte, invece, è tortuosa.
Ci sono dei libri tra quelli che compriamo con i quali si instaura subito un rapporto che è quasi di folgorazione. Vanno letti subito, anche al costo di mettere da parte delle letture già iniziate.
Altri, invece, devono rimanere in attesa per tempi più o meno lunghi, posati su un tavolo o una sedia, lì dove li abbiamo poggiati, quando sono entrati per la prima volta nella nostra casa.
Questi sono i libri che devono subire un processo di acclimatazione, assumendo - per così dire - l'odore di casa.
Sono quelli che qualche volta li dimentichiamo del tutto e che poi. improvvisamente, saltano fuori; oppure s ene stanno lì, muti e inerti, mentre noi - per mesi e mesi - li occhieggiamo, li carezziamo con lo sguardo, li soppesiamo, prima di deciderci a prenderli, anche solo per cominciare a sfogliarli.
Poi ci sono quei libri che, per curiosità o per voglia, iniziamo a leggere carichi di entusiasmo e che poi rimangono per lungo o lunghissimo tempo a metà, dimenticati.
Poi, improvvisamente, capita che quel libro ci ritorni tra le mani ed allora lo riprendiamo esattamente dal punto in cui l'abbiamo lasciato oppure lo rileggiamo daccapo e, questa volta, sino in fondo.
E' uno strano fenomeno che ci dice tanto sulla qualità fortemente soggettiva del rapporto con il libro, come strumento di conoscenza e come oggetto d'affezione: analoghi meccanismi entrano in gioco quando, a distanza di anni, riprendiamo in mano un libro che ci era piaciuto molto e, nel rileggerlo, ci accorgiamo che non "funziona" più, non ci piace più tanto quanto ci aveva entusiasmato allora.
Ma, ovviamente, può anche capitare il contrario.
Il rapporto con i libri è vario è mutevole: se alcuni di loro invecchiamo, anche noi cambiamo, strada facendo, e muta la nostra sensibilità, così come mutano i nostri gusti.
E quel libro non ci dice più le stesse cose, non fa più vibrare le stesse corde.
"Crampi" di Marco Lodoli (Einaudi, 1992) è un rappresentante del terzo tipo di destino: iniziato - posato - dimenticato e, infine ripreso.
E' un libricino smilzo e, nel sistemare alcuni volumi in uno scaffale, l'ho notato che sporgeva, messo di sghimbescio.
L'ho preso, l'ho sfogliato e s'è acceso qualcosa dentro di me, un guizzo, una reminiscenza.
"Voglio leggerlo!"
Poi, guardando bene, mi sono accorto d'una mia annotazione nel frontespizio ("Nepal, 1992", seguita dalla mia firma).
E mi sono ricordato.
Era una delle letture, che mi ero portata nel mio "mitico" viaggio in Nepal nel lontano 1992 e mai finita. Chi sa perchè? Forse, perchè c'era un altro romanzo più attraente che era in competizione con questo o forse per via del contenuto.
"Caspita!", ho pensato, "ne è passato del tempo!"
La sua storia ha a che vedere con la corsa.
Allora, io ero appena all'inizio delle mie esperienze podistiche e pieno di entusiasmo e, forse, fu proprio il modo dell'autore di trattare l'oggetto "corsa" a infastidirmi.
Cesare, il protagonista, s'iscrive ad una gara che si svolge lungo l'Autostrada del Sole, per loccasione chiusa al traffico (improbabile). Si tratta d'una maratona non competitiva e orientata ad una qualche causa umanitaria, battezzata "Due per il mondo", perchè vi si può correre soltanto a coppie, legati con un simbolico filo d'oro.
Cesare - non avendo una compagna, un fratello, un figlio, un amico - si registra con la sua Betta, una capra che - nella derviva esistenziale in cui vive - è diventata la sua amica fedele ed inseparabile.
L'esile romanzo è tutto qui: nella descrizione delle varie fasi della corsa, con un continuo spostamento sui pensieri che passano per la testa di Cesare, sui sui ricordi, sui suoi fallimenti e forse anche su alcuni suoi oscuri delitti che ha compiuto spinto dall'isolamento e dal senso di fallimento che lo pervade in modo sempre più spinto.
La corsa per lui - come per gli altri che partecipano a questa scalcinata gara - è l'unica cosa che riesce ancora a tenere assieme i pezzi vacillanti della sua intera esistenza allo sbando.
Ma il traguardo finale rimarrà, per lui sempre irraggiungibile.
Forse, allora, era stato questo aspetto a infastidirmi: l'essere messo di fronte alla realtà oscura di una scelta che - per come la vedevo allora - poteva soltanto essere orientata alla vita, solare e fatta da persone "positive", solo ed assolutamente "positive".
Cesare è un fallimento, poichè ha forse anche compiuto azioni disdicevoli e delittuose per dare qualche guizzo alla sua vita di incomunicabilità: e corre, cercando forse di salvare la sua esistenza, anche se in modo stralunato e sciatto.
Oggi, forse la vedo diversamente, perchè penso che sono tanti e diversi i modi in cui si possono praticare lo sport e la corsa; e che, sia come sia, la corsa ci salva la vita, anche se volte in modo incompleto e mai definitivo; e che, infine, spesso la corsa ci aiuta a uscire dalla solitudine e a metterci su d'una strada in cui ci sono anche altri che camminano, come noi.
La corsa, se protratta allo stremo, può causare crampi, ma il può delle volte aiuta e proteggi dai "crampi" del vivere quotidiano e dalle derive esistenziali.
Riprendendo il concetto che hai espresso descrivendo il modo con cui il tempo ci porti e rileggere ed a reinterpretare le nostre identificazioni "eroiche" (ad esempio il modello del podista estremo ed irriducibile) voglio accennare a quanto di recente accadutomi. Orbene, dopo circa venti anni ho ripreso la pratica del karate ed il mio maestro, sempre lui ed ormai più che sessantenne, mi ha detto che quando passa il tempo e stiamo per invecchiare dovremo necessariamente puntare meno sulla forza, saremo costretti a rinunciare ad un pò della nostra aggressività ma in compenso ci sarà possibile accedere ad una nuova maturità, ad una nuova forma, ad una nuova eleganza
RispondiEliminaa proposito di modi di leggere e rapporti con il libro...a volte mi capita che entrano libri in casa mia che vorrei tantissimo leggere e dopo qualche pagina mi rendo conto che non capisco un diavolo di quello che sta succedendo. Infastidisce...parecchio :-)
RispondiEliminavado avanti...torno qualche pagina indietro per vedere dove mi sono persa...poi dopo qualche sera così, con il tira e molla il libro viene messo nella mia libreria con la speranza di poi riprenderlo...con questi libri ho la sensazione che dovrei leggerli con un blocchetto e biro per prendere appunti e annotazioni, scrivere il cast e un riassunto della pagina...ma poi non lo faccio mai....