mercoledì 13 maggio 2009

La strage dimenticata dei ciclisti, un'importante categoria dei cosiddetti "utenti deboli" della strada


Ieri ho letto sul giornale questa notizia che mi ha angustiato parecchio, visto che - per quanto è possibile io cerco di usare la bici, non solo come strumento per praticare uno sport, ma anche come mezzo di locomozione, efficace, economico e - come si dice oggi - "sostenibile".
Ogni giorno sulle strade italiane perde la vita un ciclista: come se ogni anno «sparissero» due gruppi del Giro d'Italia. A lanciare l'allarme è un'inchiesta pubblicata su «Il Centauro» di maggio, periodico dell'associazione amici sostenitori polizia stradale (Asaps). Secondo la ricerca nel 2007 (anno al quale si riferiscono gli ultimi dati ufficiali dell'Istat) nel nostro paese si sono verificati 15.713 incidenti che hanno visto coinvolte delle bici, per un drammatico bilancio di 352 ciclisti morti e di 14.535 feriti, in media 40 al giorno: l'82% delle vittime (289) sono uomini e il 18% (63) donne.
Rispetto a due anni prima, la mortalità è cresciuta dell'11 per cento. Non solo: la percentuale dei ciclisti fra le vittime della strada è salita dal 5,3% del 2004 al 6,9% nel 2007, quella dei feriti dal 3,7 al 4,5 per cento. Sempre nel 2007, sono stati 12 (11 maschi e 1 femmina) i morti under 14, mentre le vittime fra gli over 65 sono invece 170 (141 maschi e 29 femmine).
Le regioni che contano più vittime restano Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, quelle di tradizione ciclistica e con più pianura. Sugli incidenti ai ciclisti, segnala l'Asaps, «incide un traffico più intenso e meno attento verso questa categoria di utenti della strada, con una parte di responsabilità anche degli stessi ciclisti, spesso inosservanti delle più elementari regole della circolazione che vigono anche per loro ma vengono interpretate in modo approssimativo e disinvolto». Per l'Asaps, inoltre, resta «insufficiente l'estensione, in molte regioni, di piste ciclabili».
Oggi, dovendo uscire per andare a fare la mia donazione di sangue (e lo dico perchè questa cosa comporta l'attraversamento d'una strada di grande traffico e l'immissione per un tratto - per fortuna, breve - nella corsia laterale di un'autostrada altrettanto caotica, utilizzata quasi come se fosse la pista di Le Mans), dopo un attimo di esitazione, ho indossato il caschetto da bici, cosa che non faccio mai, di solito. A rendermi più marcatamente volitivo in questa decisione, la sera prima avevo visto sulla circonvallazione del trambusto, una macchina ferma in corsia di emergenza e subito davanti ad essa una bici abbattuta e contorta.
Perchè ho voluto indossare il casco da bici?
Forse perchè, avendo sempre pedalato sulle strade della mia città sin da quando avevo 12 anni (l'età in cui ebbi in regalo la mia prima bicicletta, al cui uso in strada fui subito ammaestrato da mio padre) mi sento piuttosto sicuro e quasi "invulnerabile" (mentre ho avuto almeno un brutto incidente con la moto e qualcun altro di piccola entità).
Invece no! la mia frase è il frutto spudorato di un fenomeno di amnesia o quanto meno di uno scotoma cognitivo!
In realtà, anche con la bici ho avuto un brutto incidente, ma - siccome questo evento non fa parte dei miei ricordi coscienti - tendo a non pensarci mai, come se non fosse mai avvenuto.
Fu così che andò quel giorno di tanti anni fa: ad un incrocio fui speronato da un auto che mi negò la precedenza. Feci un volo in aria con tutta la bici (che rimase miracolosamente illesa) e, ricadendo, andai a sbattere la testa sul bordo del marciapiedi. Quella volta mi salvai proprio perchè indossavo il caschetto da bici (ero in allenamento, quella volta) che rimase segnato con una profonda tacca dall'urto contro il bordo di pietra, una tacca che mi sarebbe rimasta impressa nelle ossa del cranio se non l'avessi indossato.
La botta fu bella forte, tanto che - di quell'incidente (degli attimi immediatamente precedenti e di quelli successsivi) - non ho più recuperato la memoria (tecnicamente, fu un'amnesia retro-anterograda, tipica dei traumatismi cranici con o senza perdita di coscienza).
Conosco la dinamica di quell'incidente, perchè un mio cugino era proprio nei pressi di quell'incrocio ed in seguito mi raccontò come si erano svolte le cose. Lo so: ma è come se questo ricordo posticcio non mi appartenesse. Non persi la coscienza, ma andai in automatismo psico-motorio: caddi, mi rialzai, raccattai la bici da terra e la inforcai, me ne andai in un baleno sostenendo energicamente che non avevo bisogno di nulla.
Ma tutto ciò, come dicevo prima, è un racconto che non mi appartiene, perchè di tutto ciò non conservai memoria. Ricordo che mi ripresi drammaticamente un tempo X dopo (che non so quantificare). Ero a casa mia, avevo le mani insaguinate (mi ero escoriato al volto) e non sapevo cosa stavo facendo lì e cosa mi era accaduto. Poi ricordai cosa stavo facendo sino a qualche attimo prima (per la precisione sino al momento in cui ero circa 400 metri prima dell'incidente), ma rimase quel piccolo buco nero di assenza di memoria...
Quindi, il casco da bici va sempre indossato: e, in considerazione di questa mia drammatica esperienza, lo dico per ricordarlo a me stesso, visto che sono il primo a trascurare questo semplice e salutare accorgimento, pur essendone stato salvato anni fa.

Quella dei ciclisti è una delle tante stragi dimenticate o trascurate.
Fa comodo non parlare mai di questa morìa. Anzi, è già molto che sia venuta fuori questa breve notizia dell'altro giorno.
C'è da chiedersi: trecento morti per droga ogni anno pesano forse di più di 352 persone, morte solo perchè hanno deciso di usare la bici come mezzo di trasporto o come passatempo?
Io penso che chi va in bici, chi ha fatto questo importante tirocinio di approccio alla strada e al traffico su un mezzo in cui è vulnerabile pienamente, aquisisce una sensibilità particolare nei confronti dei ciclisti quando si mette poi alla guida della sua auto. Me ne rendo conto io stesso dalla cautela che metto in atto quando. alla guida della mia auto, mi accingo a superare dei ciclisti.
Secondo me, nel tirocinio dell'aspirante automobilista, dovrebbe essere inclusa non soltanto la conoscenza teorica e pratica della guida e delle fondamentali norme del Codice della Strada, ma anche un periodo obbligatorio (dimostrabile, documentabile) di utilizzo della bici, proprio per acquisire questa speciale sensibilità e metterla in atto quando si sarà dall'altro lato della barricata, cioè alla guida di un qualsiasi automezzo. E aggiungerei anche che chi causa la morte o il ferimento di un ciclista, se è dimostrato che la responsabilità deriva da una sua disattenzione, oltre agli eventuali risvolti penali, dovrebbe essere condannato a far tirocinio di locomozione sulla bicicletta, per imparare bene come ci sente ad essere per strada, su di un mezzo che rende deboli e vulnerabile e che, soprattutto, porta ad essere in balia di guidatori prepotenti e disattenti.

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