Alcune delle panchine che popolamo il lungomare di Mondello le hanno rifatte, cercando di ricalcare la foggia di quelle antiche (e queste "modernizzate" non sono certo la stessa cosa, perchè hanno un che di finto e di artefatto), ma quella della foto è proprio una di quelle che anche io ho frequentato nella mia infanzia: autentica! DOC! con tutti i segni del tempo che è trascorso, compresi quei ferri arrugginiti che vengono fuori dal granigliato di cemento corroso dal tempo...!!!
Il bello di adesso è che, oggi, soprattutto nel periodo di chiusura della stagione balnerare vengono rimosse quelle odiose inferriate di ferro con la bordura di minacciosi spuntoni (che sottlineavano lo strapotere della Società italo-belga sul litorale) e, quindi, fermandocisi a riposare, lo sguardo verso il mare può correre più libero a perdersi verso l'orizzonte...
La sosta sulla panchina all'uscita dalla spiaggia era d'obbligo: ci si sedeva, ci si spolveravano dalla sabbia i piedi con un apposito scopino (che era parte obbligata del corredo da mare ospitato nella capiente borsa di mia madre) e, quindi, ci mettevamoo i sandali (a quei tempi, di tipo rigorosamente francescano, in cuoio).
Questo era quasi un rito giornaliero che chiudeva quelle ore al mare: ma anche un modo per ricomporsi prima del ritorno a casa e un metodo per evitare di importare la spiaggia in città...
Credo di aver fotografato, in maniera assolutamente casuale, proprio la panchina delle mie soste d'infanzia.
Siamo, infatti, all'altezza del Commissariato PS Mondello Valdesi e la cabina della mia famiglia era proprio qui...
Intere giornate al mare, la classica pasta al forno o gli arancini o i semprefreschi imbottiti per pranzo, pane e uva per merenda...
Ricordi d'antan...
Il bello di adesso è che, oggi, soprattutto nel periodo di chiusura della stagione balnerare vengono rimosse quelle odiose inferriate di ferro con la bordura di minacciosi spuntoni (che sottlineavano lo strapotere della Società italo-belga sul litorale) e, quindi, fermandocisi a riposare, lo sguardo verso il mare può correre più libero a perdersi verso l'orizzonte...
La sosta sulla panchina all'uscita dalla spiaggia era d'obbligo: ci si sedeva, ci si spolveravano dalla sabbia i piedi con un apposito scopino (che era parte obbligata del corredo da mare ospitato nella capiente borsa di mia madre) e, quindi, ci mettevamoo i sandali (a quei tempi, di tipo rigorosamente francescano, in cuoio).
Questo era quasi un rito giornaliero che chiudeva quelle ore al mare: ma anche un modo per ricomporsi prima del ritorno a casa e un metodo per evitare di importare la spiaggia in città...
Credo di aver fotografato, in maniera assolutamente casuale, proprio la panchina delle mie soste d'infanzia.
Siamo, infatti, all'altezza del Commissariato PS Mondello Valdesi e la cabina della mia famiglia era proprio qui...
Intere giornate al mare, la classica pasta al forno o gli arancini o i semprefreschi imbottiti per pranzo, pane e uva per merenda...
Ricordi d'antan...
La foto della panchina mondellana, inizialmente collocata in Facebook ha suscitato molti commenti.
RispondiEliminaDevo in particolare a quello breve e lapidario di Valentina Dolcemascolo la forza di aver suscitato in me un'azione maieutica del ricordo e, quindi, di avermi condotto a scrivere il mio piccolo amarcord mondellano.
Quello che segue è il commento del mio amico Vincenzo Cordovana.
"Il serbatoio della memoria mondellana"
Scusate, se mi intrometto ma volevo dirvi che anche i miei avevano la cabina in quella zona! Detto questo, la discussione potrebbe complicarsi.
Perché?
Per il semplice fatto che il mio ricordo è vivo come il vostro e sembra proprio stabilire un senso di “familiare percorso comune”: quello che potrebbe definirsi una comune esperienza di “cabinari” mondellani.
Tutto bene, andrebbe tutto bene, il familiare percorso comune sarebbe assolutamente condivisibile... se fossimo coetanei e se ci fossimo trovati a vivere la stessa esperienza in una contemporanea articolazione temporale, e ciò non è.
Maurizio evidenziava al riguardo (nel suo scambio di commenti con Valentina), una sfasatura temporale, addirittura di qualche decennio.
Ma allora come si giustifica la sensazione avuta da Valentina e - credo - anche da me e da Maurizio, di avere partecipato ad un momento comune che adesso ci troviamo a condividere?
E' come se, in questo contesto, si fosse utilizzata una comune memoria di immagini mondellane, che potrei immaginare come un contenitore, un serbatorio, un dispenser di vissuti che reca in sé iscritti, forse, tutti i vissuti di tutti i balneanti che sono stati - una volta e nel corso degli anni - felici in quello stupendo luogo di mare, capanne, suoni, sfincioni, aranciate e pollanchelle [e il cocco? Ve lo ricordate il venditore di cocco? E quello che di continuo, facendo su e giù instancabilmente lungo la battiggia, abbanniava "ghiaccioli agghiacciati"?].
Lo potremo anche chiamare il serbatoio della memoria mondellana felice.
Probabilmente questo invisibile serbatoio è tarato sulla lughezza d'onda degli stati d'animo, che non hanno tempo, perchè la felicità - come anche la tristezza - è di tutti, di tutti gli uomini del mondo.
E' così che, nell'attingere a questo serbatoio della memoria mondellana, noi riceviamo un ricordo e l'emozione con esso connessa che privata della sua collocazione temporale, perchè l'esser lieti non ha tempo.
Quella che attiviamo non è la nostra memoria ma quanto ci viene restituito dal quel “magico” luogo che si occupa - pienamente legittimato dall'infinita serie di emozioni a lui consegnate da tutte le persone in tanti anni di accapannamento - di gestire l'erogazione delle sensazioni e dei sentimenti.
Forse esistono dei luoghi, come Mondello, che raccolgono tutte le infinite memorie di quanti vi trovarono letizia e calore e che, come tali, si sono assunti il compito di mediare la gestione e la fruizione della memoria di quanti desiderino rievocare la loro parteciapazione a quella felice epopea capannata.
Forse, in tali luoghi, il ricordo non sarà mai soltanto personale ma verrà colorito ed amplificato dalla memoria di infinite altre persone.
E' come se tali luoghi gestissero una sorta di copyright del ricordo togliendo ai fruitori della memoria l'esclusività di una singola collocazione temporale. E' come se il ricordo del singolo divenisse un "universale", in altri termini la componente di una memoria collettiva.
Ragazzi, potrebbe darsi che questo invisibile erogatore di memoria sia stato piazzato proprio su quella panchina scalcinata che sembra tanto in attesa di essere rimossa da una società senza memoria.