mercoledì 5 marzo 2008

Lo scafandro e la farfalla, ovvero il vincolo e la possibilità

Ho visto di recente questo film: come tutte le storie vere che riguardano disabilità e malattia è risultato toccante e coinvolgente e di non facile fruizione. Tuttavia, la storia di Jean-Dominique Bauby ha tanto da insegnare a tutti. E' la storia dell'invicibile vitalità di un uomo imprigionato dentro il suo corpo
“Lo scafandro e la farfalla”, realizzato dal regista Julian Schnabel è un film che, con quasi nessuna concessione alla retorica e al facile pietismo, rende un omaggio accorato a tutti coloro che vengono "salvati" dalla medicina contemporanea per essere consegnati ad una vita – a volte prolungata – letteralmente "imprigionati" all’interno di un corpo danneggiato – senza averlo voluto – e costretti a vivere sofferenze che, in altri tempi, una natura certamente più benigna - seguendo il suo corso - avrebbe loro risparmiato. La condizione veramente "estrema", in casi come quello raccontato dal film e dall’omonima opera autobiografica, non è la morte (che, come è nel corso naturale degli eventi, spesso può arrivare per un incidente improvviso ed imprevedibile) ma il dover vivere "ai confini", esclusi dal corso principale dell'esistenza e rinchiusi in un mondo che si è fatto improvvisamente ristretto e claustrale. Il protagonista del film e, nella vita, accorato narratore d’una storia toccante ed intensa è Jean-Dominique Bauby (affettuosamente per gli amici: Jean-Do): egli è autenticamente imprigionato nel suo corpo, poiché soffre d'una sindrome neurologica che, in passato, non veniva riconosciuta: a questi pazienti era assegnata una diagnosi di stato simil-comatoso (rubricato, in alcuni casi, come “coma vigile”) che comportava una rinuncia preventiva a qualsiasi tentativo di comunicazione da parte del personale curante. Più di recente, le evidenze cliniche hanno suggerito che, per alcuni soggetti, vi fosse uno stato di piena coscienza celato dalla paralisi di tutte le funzioni relazionali. Questi casi ricadono oggi nell'ambito della cosiddetta "locked-in syndrome" , ovvero - per spiegare il termine inglese - la sindrome dell'uomo "intrappolato" o "chiuso dentro". In questi casi, un accidente neurologico - il più delle volte a carico delle strutture del tronco cerebrale, intermedie tra i centri nervosi superiori ed il midollo spinale - provoca l'interruzione delle connessioni tra il cervello e tutta la periferia del corpo (inclusa la maggior parte dei distretti somatici innervati dai nervi cranici). Superata la fase acuta, le funzioni corticali superiori si riattivano e, quindi, l’individuo, pur essendo di nuovo capace di articolare pensieri ed affetti, di evocare ricordi, di sentire, di percepire, di vivere stati onirici, non ha più la facoltà di convogliare alcun impulso alla periferia del corpo e verso l'esterno. Ne consegue che è bloccata qualsiasi possibilità di movimento, di parola, di comunicazione e di relazione con gli altri e con il mondo, ma anche fortemente limitata la capacità di raccogliere le sensazioni provenienti dall'esterno: in altri termini, il paziente affetto da "locked-in syndrome" è brutalmente - ed irrevocabilmente (per quanto nella casistica limitata disponibile siano stati descritti casi di ritorno ad una possibilità di interazione) - imprigionato all'interno del proprio corpo che diventa – a tutti gli effetti - una prigione (il più delle volte "artificiale") e che, non fosse per la complessa assistenza medica ed infermieristica cui questi malati devono essere sottoposti giornalmente, sarebbe votata alla morte fisiologica per una serie di inevitabili complicanze. Unico spiraglio di contatto con il mondo è garantito dal fatto che la persistenza di alcuni residui di innervazione periferica da parte dei nervi cranici (che assicurano il mantenimento delle sensorialità di base: vista, udito, olfatto) consente il contatto in entrata con la realtà.

E’ proprio il caso di Bauby, protagonista del film e narratore in prima persona della storia pubblicata qualche anno fa, con titolo identico. Jean-Do può vedere attraverso un unico occhio, la cui funzionalità è rimasta intatta, e aprire e chiudere la palpebra. Per lui l’occhio è divenuto un vero e proprio oblò spalancato sul mondo, attraverso il quale può captare avidamente ciò che rientra nel suo limitato campo di osservazione e può costruire una relazione. Superato lo shock emotivo, legato al raggiungimento della traumatica consapevolezza d’essere imprigionato dentro un corpo immobile, Bauby impara a comunicare utilizzando il battito della sua palpebra, con un elementare codice binario (sì/no) e a comporre singole parole, scegliendo le singole lettere dell’alfabeto con un sistema computazionale.

Pur chiuso dentro lo “scafandro” (che è il corpo divenuto immobile e pesante), Bauby riesce a travalicare - con la fantasia e con l’accesso ad una dimensione onirica nella quale di tanto in tanto scivola la sua mente – i suoi limiti. La fantasia e i ricordi di ciò che ha vissuto sino a prima dell’ictus, rendono ricca e traboccante la sua vita interiore, spingendolo a costruire - parola dopo parola, capitolo dopo capitolo - la sua storia e a raccontarla con il battito della palpebra.

Se il corpo di Jean-Do è lo scafandro (il corpo trasformato in prigione), egli è - nello stesso tempo - la farfalla che, strumento di evasione dal claustrum, rappresenta il volo della fantasia ed il turbine dei ricordi vivissimi della vita precedente ed è anche quel lieve battito della palpebra, unica possibilità di legame con gli altri e di rapporto con il mondo.

La storia di Bauby, struggente e melanconica, ma al tempo stesso densa di vitalità, ci dice tanto sulla possibilità dell’essere umano di adattarsi a condizioni estreme, trovando la possibilità di risorgere da cadute devastanti. Bauby, con la sua storia, ha consegnato all’umanità il lascito di una profonda lezione morale su come fare per uscire dalla lacerante e malinconica disperazione di un’esistenza apparentemente spezzata nella sua vitalità.

È una lezione su cui tutti dovrebbero meditare, in sintonia, peraltro, con le soluzioni di pensiero prospettate dalla seconda rivoluzione della cibernetica, in cui il vincolo si trasforma in possibilità, esplorate da Mauro Ceruti ("Il vincolo e la possibilità", Feltrinelli).

“Gli sviluppi degli esseri auto-eco-organizzatori ci consentono di comprendere ciò che è stato inconcepibile per la scienza: l'autonomia dei sistemi fisici, dei sistemi biologici, dei sistemi cognitivi. L'autonomia non si emancipa dai vincoli. Si costituisce al contrario all'interno della dipendenza ecologica e, per noi stessi umani, della dipendenza sociale e culturale. La libertà umana è la possibilità interna di operare delle scelte, e ciò presuppone vincoli interni del nostro cervello, della nostra mente e della nostra cultura. Perché questa possibilità interna possa esprimersi occorre la conoscenza dei vincoli esterni, cioè dei determinismi da utilizzare e da evitare, e occorre anche la conoscenza delle possibilità esterne, cioè delle zone di indeterminazione e di incertezza fra i vincoli”.

Sono tanti quelli che ci hanno raccontato (o scritto) la loro storia, come ad esempio Piergiorgio Welby o il personaggio letterario - altrettanto emblematico - creato da Dalton Trumbo protagonista del romanzo “E Johnny prese il fucile”, che ridotto dalle ferite di guerra (ai tempi della I Guerra Mondiale) ad un tronco privo di braccia e gambe, senza più possibilità di articolare parola, impara ad uscire dalla prigione del suo corpo battendo con la testa l’alfabeto Morse. O ancora, non si può non citare qui Rosanna Benzi che, essend stata condannata dalle complicanze d’una polmonite virale a passare la sua vita in un polmone d’acciaio (il suo “scaldabagno” – soleva ironizzare), non ha lasciato che i vincoli della sua condizione mortificassero la sua vita, e ha condotto numerose battaglie a favore dei diritti dei disabili, fondando e dirigendo sino alla sua morte una rivista stampata in seimila copie («Gli altri»), e scrivendo anche due libri («Il vizio di vivere», «Girotondo in una stanza», Rusconi Editore), uno dei quali è diventato un film diretto da Dino Risi, con Carol Alt protagonista.

Come ci mostrano tutti questi straordinari personaggi, il segreto per la sopravvivenza interiore è proprio questo: riuscire a far sì che i vincoli diventino elemento propulsore per esplorare nuove possibilità e modalità di adattamento.

La locked-in sindrome: cos’è?

La "locked-in syndrome" (letteralmente "chiuso dentro", dunque: imprigionato) è una condizione caratterizzata da tetraplegia, diplegia facciale, paralisi labio-glosso-faringea, paralisi laringea, con conservazione della motilità oculare (almeno sul piano verticale), e dell’ammiccamento, coscienza e funzioni mentali integre e possibilità di stabilire un codice di comunicazione tra paziente ed esaminatore. Se qualche altra minima possibilità di controllo motorio è presente è possibile considerare tale condizione come una locked-in incompleta. Il più delle volte tale condizione è associata ad una lesione pontina ventrale di varia eziologia ( emorragica, ischemica, contusiva etc.). Una simile lesione risparmia abitualmente le vie della sensibilità somatica, la formazione reticolare tronco-encefalica responsabile della vigilanza e dello stato di allerta, alcuni raggruppamenti neuronali mesencefalici che permettono il sollevamento delle palpebre e la motilità oculare sul piano verticale, il diencefalo e gli emisferi cerebrali, interrompe invece le vie cortico-bulbari e corticospinali, privando il paziente della capacità di rispondere in qualsiasi modo eccetto che con lo sguardo verticale e con l’ammiccamento. Gravi polineuropatie possono avere un effetto del tutto simile in assenza di un coinvolgimento diretto a carico del sistema nervoso centrale. Abitualmente tale quadro sindromico segue una fase di coma vero e proprio o come condizione transitoria suscettibile di evolvere verso un parziale recupero del controllo motorio o, più spesso, come uno stato permanente. Naturalmente, la locked-in syndrome ha ispirato alcuni scrittori, come ad esempio l’inglese Mark Billingham che, nel suo thriller, “Collezionista di morte” immagina che un serial killer vada alla ricerca del delitto perfetto consistente, nei suoi intenti, alla realizzazione della sindrome nelle sue vittime, per mezzo di una abile compressione dell’arteria vertebrale, combinata con la somministrazione di alcuni farmaci che svolgono una funzione depressiva sull'attività dei centri respiratori. Il grande Jack London, in un romanzo del tutto insolito rispetto alle sue tematiche (Il Vagabondo delle stelle), è riuscito peraltro a descrivere con grande efficacia la potenza della fantasia e dell'immaginazione come strumenti per sfuggire a condizioni somatiche fortemente mortificanti e costrittive. Questa, molto in sintesi, la trama.
Il protagonista, accusato di far parte d'un gruppo anarchico responsabile di attentati dinamitardi e rinchiuso nel braccio della morte del carcerre di Saint Quentin, in attesa dell'esecuzione, viene sottoposto regolarmente a torture e costretto in una camicia di forza dai suoi carcerieri che tentano di estorcergli delle confessioni che portino a smascherare l'intera rete terroristica. Con straordinaria autodisciplina, egli riuscirà a trasformarsi in uno sciamano capace di attraversare le barriere del tempo e dello spazio come muri di carta, divenendo appunto il "vagabondo delle stelle" evanificando le sempre più estreme condizioni di mortificazione cui è costretto. Ultimo romanzo di Jack London, "Il vagabondo delle stelle" che apparve per la prima volta nel 1915, anticipa in modo singolare alcune delle torture "psicologiche" messe in atto in tempi moderni e per noi molto attuali (basti pensare a ciò che è accaduto a Guantanamo o ad Abu Ghraib) e per ottenere, attraverso forme di "sensory deprivation", l'abbattimento dei fondamenti dell'identità personale e sociale dell'individuo torturato, inducendolo così a rendere piene e aperte confessioni, senza più il vincolo di fedeltà e lealtà al proprio gruppo di riferimento. Il romanzo illustra anche il potere dei meccanismi dissociativi della psiche per evadere da condizioni di vita intollerabilmente costrittive, studiati in modo approfondito solo negli ultimi anni.


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