venerdì 30 luglio 2010

I misteri dell'agenda rossa: Viviano e Ziniti rintracciano un filo conduttore nella palude delle collusioni tra le istituzioni e Cosa nostra


Alcuni giorni fa (poco prima del ricorrere della strage di Via D'Amelio) è uscito, per i tipi di Aliberti, il libro "I misteri dell'agenda rossa" (Aliberti) degli inviati di Repubblica Viviano e Ziniti che riporta l'attenzione sulla scomparsa della "agenda rossa" da cui il giudice Borsellino, secondo le testimonianze di quanti conoscevano i suoi metodi di lavoro, non si staccava mai (perché lì - non amando particolarmente l'utilizzo dei moderni sistemi di scrittura - egli annotava i suoi pensieri, le sue intuizioni, spunti da sviluppare successivamente) .

Benchè la sua borsa sia stata rinvenuta intatta sul luogo dell'esplosione, l'Agenda rossa era scomparsa.

L'Agenda rossa avrebbe avuto nello svilupparsi delle indagine un'importanza cruciale in quanto avrebbe consentito di collegare Falcone e Borsellino alle dichiarazioni che entrambi, in momenti diversi, avevano raccolto da Gaspare Mutolo e che avevano ambedue solo annotato infomalmente, poichè non c'era stato il tempo di verbalizzarne ufficialmente, ne ve ne era stato il contesto.

Infatti, facendo un passo indietro, risulta che dell'incontro "segreto" (un colloquio "fondamentale") che Giovannni Falcone ebbe con Gaspare Mutolo nel Carcere di Spoleto nel 1991, Riina era venuto a sapere. Di quell'incontro non verbalizzato ufficialmente, Falcone aveva fatto sicuramente delle annotazioni nella sua agenda elettronica e forse nel suo PC (ma a parte una traccia in un appunto digitale rinvenuta da Giovanni Genchi), i file contenuti nei PC del giudice era stati manomessi e l'agenda elettronica si era (o era stata) smagnetizzata.
Mutolo dopo la morte di Falcone ritornò alla carica e volle parlare con Borsellino.

Anche in questo caso (si incontrarono per ben tre volte) il contenuto delle dichiarazioni di Mutolo non venne verbalizzato, ma sicuramente Borsellino ne trascrisse alcune annotazioni sulla sua agenda.

"Sicchè le morti di Falcone e Borsellino si portano dietro due singolari coincidenze: la scomparsa delle loro annotazioni e, e l'argomento prinicipale di quelle stesse annotazioni. E cioè le dichiarazioni di Mutolo sulla connivenza tra istituzioni e mafia. Dichiarazioni di cui nessuno o quasi nessuno doveva sapere nulla.(dall'introduzione di Edoardo Montolli, dal titolo "Le troppe verità ignorate", p. 10).

Il libro contiene due esclusive interviste inedite, una a Gaspare Mutolo, il quale (le sue testimonianze sono considerate addirittura più importanti di quelle di Tommaso Buscetta, che spiegò Cosa nostra a Giovanni Falcone) ribadisce l'esistenza di forti connessioni tra stato e mafia, e al giudice Luca Tescaroli che - sostituto procuratore a Roma e pubblico ministero nel processo per la strage di Capaci - ha condotto le indagini sui mandanti occulti per gli eccidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Nel volume inoltre viene riportato un manoscritto di Vito Ciancimino in cui è indicato per la prima volta il nome del misterioso “signor Franco” in una lista insieme a ex alti commissari per la lotta alla mafia, ex capi della polizia, ex dirigenti del Sisde.
Il volume contiene altri importanti documenti: quali, ad esempio, l'elenco di annotazioni scritte a mano, in allegato agli atti sulle stragi, in cui sono elencati i punti da dettare a Scarantino per la verità che il “falso” pentito doveva raccontare su via D’Amelio, e il documento in cui Massimo Ciancimino, ipotizzando la sua prematura scomparsa, nomina Francesco Viviano depositario del suo testamento.
Nel libro è contenuta anche la lettera inviata da Vito Ciancimino alla Commissione parlamentare antimafia il 29 ottobre 1992 in cui l’ex sindaco di Palermo chiede nuovamente di essere ascoltato in merito all’omicidio dell’onorevole Lima, lettera che non ebbe alcun esito perchè nessuno lo volle ascoltare.

Oggi a Caltanissetta hanno riaperto le indagini sui mandanti occulti delle stragi del '92. Si ipotizza che Borsellino sia stato ucciso perché si pponeva a una trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra per far cessare una scia di sangue mai vista prima: E un sacco di gente sembra avere ritrovato la memoria, ricordando episodi e fatti che Mutolo aveva narrato quasi vent'anni fa. Si va alla ricerca di quel "quasi nessuno" che sapeva e che di fatto fece da trait d'union tra la mafia e lo Stato, una talpa o forse un'entità in grado di interagire con entrambi gli apparati (dalla prefazione di Edoardo Montolli, p. 11)

Il "quasi nessuno" potrebbe essere stato, secondo quanto dichiarato da Massimo Ciancimino, il misterioso “signor Franco”, che sarebbe stato a tutti gli effetti l’anello di congiunzione tra Cosa nostra e alcune istituzioni italiane, in particolare servizi segreti e alcuni politici che ancora oggi tacciono o ricordano solo vagamente.

C'è dunque un filo rosso che collega sempre, in ogni strage e delitto o suicidio, elementi di Cosa Nostra ed elementi dei segreti, ufficiali o ufficiosi. Un filo che si manifesta sin dal 1989 e che fa pensare che tutto sia cominciato molto prima e non certo per iniziativa dei caprai corleonesi. (ib., p.13)

GLI AUTORI

Francesco Viviano, inviato di «Repubblica», ha seguito tutti i maxiprocessi di mafia, analizzando l’evoluzione di Cosa nostra dalle stragi a oggi. Inviato in Iraq e in Afghanistan, è stato insignito di numerosi riconoscimenti e nominato Cronista dell’anno nel 2004, 2007 e nel 2008. Per Aliberti ha pubblicato Michele Greco, il memoriale (2008), Mauro De Mauro. Una verità scomoda (2009), Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni (2010) e I maledetti e gli innocenti (2010).

Alessandra Ziniti, inviata di «Repubblica», ha seguito tutte le grandi inchieste di mafia e di cronaca in Sicilia. Insieme a Francesco Viviano ha vinto il premio Cronista dell’anno nel 2008 e sempre con lui ha pubblicato per Aliberti Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni (2010) e I maledetti e gli innocenti (2010).

Il CURATORE
Edoardo Montolli dirige Yahoopolis, la collana di Aliberti, in cui è inserito il volume di Viviano e Ziniti. E' autore, oltre che di numerosi saggi e romanzi, di un corposo studio sul Caso Genchi.

giovedì 29 luglio 2010

In Solomon Kane un personaggio partorito dalla fervida fantasia di Robert Ervin Howard


Solomon Kane, il film di Michael J. Bassett (2009), porta sul grande schermo un personaggio partorito dalla fervida fantasia di Robert E. Howard, creatore della più nota saga di Conan il Barbaro. Solomon Kane, benchè protagonista d'una saga molto meno corposa di quella di Conan (Howard scrisse su di lui una sequenza di racconti, alcune composizioni poetiche ed un romanzo breve), ha avuto molta parte nell'immaginario dei cultori del genere fantasy, con delle sue originalità. Solomon Kane, infatti, è uno spadaccino che vive ai tempi dell'Inghilterra di Elisabetta I, un'Inghilterra cupa, triste, oppressa dalla pioggia e dal fango, in cui - lontano dalle grandi città - il confine tra la vita e la morte è estremamente labile e in cui con estrema facilità si aprono le porte a pratiche di stregoneria radicate in culti arcaici. Quindi la storia fantasy con il suo intreccio non è proiettata in un lontano passato arcaico oppure in un artefatto Nord scandinavo, come si può supporre per il cimmeriano Conan.
Solomon Kane, inoltre, viene considerato dai critici letterari e dai conoscitori dell'opera di Howard un personaggio più maturo e di maggiore spessore di quanto non sia Conan: dopo aver vissuto una vita violenta ed avere appreso che qualcuno, a sua insaputa, ha vincolato la sua anima ad un patto con il diavolo, comprende che deve cambiare strada e diventare un uomo di pace, portatore di un codice morale, il cui rispetto deve essere difeso sopra ogni cosa.
Dopo avere trascorso un periodo di "purificazione" in un convento, è costretto a lasciarlo e a riprendere la sua erranza sulle vie del mondo, questa volta nella veste rinnovata di uomo pacifico (almeno questa sarebbe la sua intenzione).
Ma, di fronte al dilagare del Male, perpetuato da orde di schiavi del perfido Malachia, uno stregone che si è asservito ad un demone, e per assicurare la salvezza della figlia di alcuni pellegrini puritani che lo hanno soccorso, Kane impugna di nuovo le armi, ma questa volta per una giusta causa, diventando così uno "spadaccino puritano", votato al Bene.
Questa, dunque, è la storia delle origini di Solomon Kane che poi si dipana in numerose avventure ciascuna delle quali è stata narrata da Howard in un singolo racconto.
Di questo film, in un recente comunicato stampa il regista-soggettista ha dichiarato che accordi definitivi sono stati presi per due sequel dell'opera per i quali, questa volta, si attingerà più direttamente al corpus dei racconti howardiani che, per inciso, sono stati pubblicati in edizione italiana da Fanucci nel lontano 1998, con l'aggiunta di due racconti apocrifi per mano di Gianluigi Zuddas (Robert E. Howard, Le avventure di Solomon Kane, Fanucci, 1998, e ora riedita, proprio nel 2010, in forma di annunciato "ciclo completo" da Coniglio editore ).
Il film ha le caratteristiche del film d'azione, con sequenze rapide e violente, molti gli effetti speciali che fanno sobbalzare. Il piatto forte sono, ovviamente, le scene di battaglia tra Solomon Kane e i rappresentanti delle forze del Male, le cui orde assomigliano tanto ai servitori di Sauron nel Signore degli Anelli, così come la trama di base di tale acerrimo confronto, in definitiva - fatte salve le differenze - è molto simile.
Quindi, benchè per tali aspetti il film procuri indubbiamente una sensazione di déjà vu, si lascia tuttavia guardare, senza lasciare troppi spazi per la noia della ripetitività.
L'aspetto e i costumi di Kane sono ampiamente plasmati sull'iconografia del personaggio, fondata sia sulle rappresentazione pittoriche di Frazetta, uno dei più grandi pittori e disegnatori Fantasy, ma anche delle successive rappresentazioni nella serie a fumetti creata dalla Marvel.
Un piccolo cameo è la fugace comparsa di Max von Sydow nei panni del nobile padre di Solomon che, per salvare l'altro figlio da una morte certa, accetta di sottoscrivere un patto scellerato con un demone, per il tramite del malvagio Malachia che lo rappresenta.

Una scheda wikipediana su Solomon Kane
Solomon Kane è un personaggio letterario creato dallo scrittore Robert Ervin Howard, maestro della heroic fantasy., che morto suicida a soli 30 anni, cominciò a scriverne sin da quando era appena quindicenne.
Abilissimo spadaccino puritano del XVI secolo, convinto di essere al servizio divino contro le forze del male, Kane gira il mondo affrontando quelle che considera manifestazioni del diavolo: pirati, briganti, mercanti di schiavi ma anche fantasmi, vampiri e antiche e malvagie civiltà perdute antidiluviane. Kane è alto, magro, pallido e vestito interamente di nero, in tutte le situazioni. A differenza di altri personaggi di Howard, come Conan il barbaro e Kull di Valusia, Solomon Kane non vive in tempi remoti e fantastici, non è amorale e ha una psicologia più complessa.
Il ciclo dei racconti di cui è protagonista, ambientato in Europa, Africa e America, é composto da sedici opere tra racconti, romanzi, poesie e frammenti (questi pubblicati postumi), che sono state ordinate in maniera cronologica da Fred Blosser:

  1. Teschi sulle stelle (Skulls in the stars, Weird Tales, gennaio 1929)
  2. La mano destra del giudizio (The Right Hand of Doom, postumo, su Red Shadows della Grant, 1968)
  3. Ombre rosse (racconto) (Red Shadows, Weird Tales, agosto 1928)
  4. I neri cavalieri della morte (Death's Black Riders, postumo, breve frammento, REH: Lone Star Fictioneer, 1967)
  5. Lo scricchiolio delle ossa (Rattle bones, Weird Tales, giugno 1929)
  6. Il Castello del Diavolo (The Castle of the Devil, postumo, breve frammento, Red Shadows)
  7. La Luna dei Teschi (The Moon of Skulls, Weird Tales, giugno/luglio 1930)
  8. L'unica macchia nera (The One Black Stain, postumo, poesia, The Howard Collector, 1962)
  9. Le lame della Fratellanza (Blades of Brotherhood, postumo, Red Shadows. Noto anche come The Blue Flame of Vengeance, anche se questa è una versione, apparsa su Over the Edge del 1964, profondamente riscritta da John Pocsik)
  10. Le colline dei morti (The Hills of Dead, Weird Tales, agosto 1930)
  11. Hawk di Basti (Hawk of Basti, postumo, Red Shadows)
  12. Il ritorno di sir Richard Grenville (The return of sir Richard Grenville, postumo, poesia, Red Shadows)
  13. Le ali notturne (Wings in the night, Weird Tales, luglio 1932)
  14. I passi all'interno (The footfalls within, Weird Tales, settembre 1931)
  15. I figli di Asshur (The children of Asshur, postumo, Red Shadows)
  16. Solomon Kane ritorna a casa (Solomon Kane's homecoming, postumo, poesia, Fanciful Tales of Space and Time, autunno 1936)
Il personaggio è stato anche adattato come serie a fumetti pubblicato da Marvel Comics. Tra il settembre 2008 e il febbraio 2009 Dark Horse Comics ha pubblicato una miniserie a fumetti scritta da Scott Allie basata sulla storia Castle of the Devil.
Gianluigi Zuddas ha completato il ciclo di Solomon Kane scrivendo due racconti: L'isola del serpente piumato e La corona di Asa, rispettivamente prima ed ultima avventura di Kane.
Recentemente un film di Solomon Kane con budget medio-alto scritto e diretto da Michael J. Bassett è stato girato ed è in attesa di distribuzione internazionale. La pellicola, che si avvale dell'interpretazione di James Purefoy nel ruolo principale e di una breve apparizione di Max von Sydow narra una storia originale ma descritta come filologicamente fedele all'universo dello spadaccino puritano. In un recente comunicato stampa[senza fonte] il regista-soggettista ha dichiarato che accordi definitivi sono stati presi per due seguiti dell'opera i quali, questa volta, attingeranno più direttamente al corpus dei racconti howardiani.

martedì 27 luglio 2010

Giovani vite spezzate: "Albi, resterai sempre con noi!"


Alberto Licata era il giovane ventenne alla guida della KIA Pikanto, schiantatasi pochi giorni fa, a Palermo, contro un SUV parcheggiato nei pressi della centrale Villa Sperlinga, dopo essere stata lanciata in una pazza corsa nel cuore della notte.
Albi, per gli amici come recita la dolente scritta tracciata a grosse lettere sul grande lenzuolo bianco disteso proprio nel punto del tragico impatto: "Albi resterai sempre con noi".
E ciascuno di loro, poi, ha aggiunto il proprio nome, corredandolo con una frase di affetto o un ricordo di brevi momenti trascorsi assieme.
Una vecchia ciotola di plastica sbrecciata appoggiata al tronco di un albero accoglie dei pennarelli per stoffa e una bomboletta di vernice spray per chi abbia qualcosa da dire.
Due vasi pieni di fiori sempre freschi fanno la guardia al lenzuolo scritto.
Qualcuno ha incollato sulla sua stoffa anche delle foto che rievocano momenti di vita normali, istanti di spensieretazza condivisi da Albi con gli amici.
Una foto di gruppo al mare, davanti all'Antico Stabilimento dei Bagni di Mondello, mentre un'altra - realizzata con un angolo di ripresa dal basso - raccoglie assieme le teste unite a cerchio di un gruppetto di amici.
Se ne trae l'idea di spensieratezza e d'innocenza, di slancio vitale, di gioia e fiducia nel futuro.
Fa piangere il cuore guardare queste foto: potrebbero essere quelle del giglio ventenne di ciascuno di noi.
Fa piangere il cuore fermarsi a riflettere sugli sbeffeggiamenti della sorte che decide di prendere vite giovani e ancora cariche di speranze.
Non importa più di come sia accaduto l'incidente, quello che emerge è il sentimento dell'insensatezza della vita.
E perchè, poi, accadono cose simili?
Gli antichi - molto più saggi di noi - parlavano di Fato e Destino: i Greci, con la loro fervida immaginazione e nel tentativo di spiegare l'inspiegabile, avevano concepito nella loro cosmogonia anche la presenza delle Parche, sottodivinità deputate appunto al vivere e al morire.
Sul marciapiedi sempre a caratteri cubitali qualcuno ha scritto "Albi, ti vogliamo bene!", mentre sul muretto che delimita la villa "Me cumpà ci mancherai!".
Gli amici, sbigottiti, stazionano nei pressi del luogo della morta di Albi a tutte le ore del giorno e della notte, dialogando tra loro a voce bassa.
Questo è il luogo da cui è passato Albi, frazioni di secondo prima di non essere più, travolto dal suo appuntamento con la morte, ed è dunque l'ultimo luogo che lo ha visto vivo: è qui che i suoi amici si raccolgono, proprio per stare accanto a quel che resta delle tracce psichiche di quel passaggio.
E, in qualche modo, con il loro stare caparbiamente sul luogo dell'incidente e del trapasso, lo tengono in vita nel ricordo, quantomento.
E chi crede nell'aldilà e in un luogo in cui le anime dei defunti si intrattengono potrebbe pensare che l'anima di Albi si intrattenga là dove stanno i suoi amici a rimemorarlo, anche se materialmente Albi non può dialogare con loro.
Si potrebbe pensare che questo luogo, proprio perchè qui è avvenuto il transito dalla vita alla morte sia vissuto dai vivi, da coloro che sono rimasti, come una "soglia" che separa i due mondi e, che ciò in modo inconsapevole alimenti la convinzione che proprio stando su quella soglia, si possa stare in qualche mondo in contatto con Albi che non è più. In più, si potrebbe pensare - ragionando in termini metafisici - che la presenza degli amici sulla soglia trattenga Albi dall'andarsene per sempre.
Perfino, Nerina - un cane randaggio adottato da tutti i propietari di cani che frequentano Villa Sperlinga - si ferma quasi attonita vicino al grande telo scritto e annusa con insistenza i fiori lasciati per Albi. Anche lei sembra essere calamitata dal campo di forza che sembra sprigionarsi da questo piccolo spazio.
Sicuramente, questo sito - come tanti altri di cui è disseminata la nostra città - diventerà il luogo del culto e del ricordo, il luogo della perpetuazione della vita e del mantenimento di un dialogo aperto, a differenza del cimitero e della sepoltura delle spoglie mortali, troppo definitivamente consegnati all'idea lugubre della morte e dell'impermanenza, troppo legato alla concezione cattolica della morte.
Qualche mattina dopo, fa impressione vedere transitare lentamente un uomo anziano che incede faticosamente, appoggiandosi ad un bastone nei pressi del grande lenzuolo, superandolo lentamente, con il busto proteso in avanti preso dall'ansia di raggiungere una meta che ogni giorno si va facendo più lontana.
Due diverse traiettorie di vita: una, giovane e ancora acerba, che si è consumata come una fiamma ardente in pochi attimi ed una che invece continua a brillare con una luce che, ogni giorno, si va facendo più fioca e che, alla fine, senza traumi e in assenza di eventi eclatanti, si spegnerà per assenza di combustibile.

lunedì 26 luglio 2010

A Palermo, la Santuzza in vetro di Murano


Il 10 luglio scorso è stata presentata alla Galleria d'Arte Moderna (GAM) all'interno del Complesso monumentale Sant'Anna (piazza Sant’Anna) da Philippe Daverio, insieme a Jean Blanchaert e Silvano Signoretto una statua di Santa Rosalia, realizzata in vetro di Murano e regalata alla città di Palermo. La statua, ideata e disegnata dall'artista belga Jean Blanchaert, è stata realizzata dal maestro vetraio Silvano Signoretto con cui da anni Blanchaert collabora.

La statua, che avrebbe dovuto sfilare per le vie della città in occasione della tradizionale processione della Santuzza, ma che è stata poi sostituita, è alta circa due metri e venti, ha un abito in vetro lattimo incastonato di rose e una parte superiore composta da una mantellina blu. Le medesime rose dell’abito si ritrovano sulla corona. I capelli sono dorati, gli occhi azzurri (a memoria del fatto che la nobildonna Rosalia Sinibaldi fosse normanna). L’incarnato, volto, mani e piedi, è rosa. La mano destra tiene una croce in vetro ametista, mentre la sinistra la Bibbia e un teschio. Alla base, il piede, che fuoriesce dall’abito, schiaccia la testa di un serpente. La base, sempre in ferro, ha un diametro di 130 cm. Sulla mantellina blu è stata incisa una strofa tratta da Triunfi e nuveni di Santa Rosalia, calligrafata da Blanchaert e incisa da Luigi Camozzo: «Nun vogghiu curuna ca li cosi ‘ntra ’stu munnu ‘un sunnu nenti. Vurria alautra vita la furtuna di rignari ‘ntra lu cielu eternamenti».

La statua, attualmente collocata nel chiostro del Monastero di Sant'Anna, appare imponente e singolare, provocatoria, ma indubbiamente interessante, perchè pur creando una cesura nella rappresentazione tradizionale della "Santuzza" tuttavia contiene tutti gli elementi della sua specifica iconografia.
In ogni caso, da vedere.

La statua rimarrà in mostra fino al 31 luglio dalle 9:30 alle 18:30 da martedì a domenica.

L'ingresso è libero

sabato 24 luglio 2010

L'Area di emergenza dei moderni ospedali: non luogo dell'attesa e dell'incrocio di destini diversi


Nel Pronto soccorso di un ospedale (oggi il termine è stato sostituito dalla più appropriata dizione di "Area di emergenza") Le ore delle notte non passano mai, mentre si è in attesa di qualcosa.
Il più delle volte non si sa cosa.
A volte, è il sollievo dall'ansia.
A volte, si attende un tenue raggio di speranza.
A volte, un responso.
A volte, semplicemente niente, si attende e basta.
In certi casi, non resta altro da fare che dormire ed attendere...
L'area di emergenza degli ospedali è una sorta d'interfaccia con il mondo esterno: un'interfaccia deputata a filtrare la sofferenza e spesso ansie senza nome.
E' un luogo senza tempo, svincolato dalle comuni coordinate spazio-temporali.
A volte, il tempo vi scorre velocissimo, quasi frenetico; altre volte il flusso temporale sembra arrestarsi e procedere con spaventosa lentezza o addiritura fermarsi...
Senza che uno se ne sia minimamente accorto, sono passate delle ore. Oppure un minuto si dilata intollerabilmente in un'ora intera.

Il paradosso è che vi convivono l'"emergenza" che sembra sempre richiedere massima velocizzazione, rapidità delle decisioni e delle azioni, con improvvisi rallentamenti e tempi di attesa che si dilatano.
In altri casi, l'Area di emergenza, la si può considerare a tutti gli effetti un "non-luogo", perchè tutto è fluido, continuamente mutevole, sempre in movimento, senza che ci sia mai alcun elemento che rappresenti la continuità e la permanenza: persino le squadre di chi ci lavora ruotano con una composizione sempre diversa.
Si tratta di uno spazio che sembra dare corpo all'idea dell'impermanenza, con un'interfaccia fluida tra il vivere e il morire, l'esserci e il non esserci...
UIn luogo di transito e di passaggio per eccellenza...
Un luogo senza storia e senza tradizioni in cui ciascuna vita che transita è presto dimenticata appena ne giunge un'altra con il suo carico di pena e di dolore, un luogo in cui ciascun momento a eguale a tanti altri precedenti eppure diversi, ma dove non si sviluppa mai una storia unitaria e dove si vive un eterno presente...
Come le stazioni ferroviarie o gli scali aerei, per alcuni versi: anche quelli non luoghi, in cui vite diverse transitano e occasionalmente si incrociano e dove tempi di attesa ordinari dsi dilatano all'improvviso sino alla percezione del tempo fermo.

mercoledì 21 luglio 2010

Toy story 3: la fuga e il ritorno, molte avventure, tante emozioni


Con Toy story 3 - La grande fuga (3D) continua la grande saga della Pixar-Walt Disney di Woody & Co.
In questo nuovo capitolo della serie Buzz Lightyear, Woody (il simpatico cowboy), mister e mistress Potato e tanti altri giocattoli sono a rischio o di andare in soffitta oppure di essere buttati nella spazzatura.
Il loro Andy, infatti, è cresciuto e sta per andare al college: s'impone la necessità di sgombrare del tutto la stanza che ha sinora occupato. A partire da questa "emergenza" si sviluppano una serie di avventure che tuttavia ricalcano lo schema del film precedente, pur cambiando i personaggi e le location e con l'aggiunta di tanti personaggi nuovi tra i quali anche un Ken e una Barbie.
Nel loro tentativo di rimanere vicini ad Andy, vanno a finire molto lontano, in un asilo nido, il "Sunnyside" che, dietro una facciata meravigliosa, è organizzato per quanto riguarda i giocattoli "nuovi giunti" come un campo di concentramento con tutte le sue regole crudeli di sopraffazione e privilegio. Non a caso, il sottotiolo "La grande fuga" rimanda ad un classico della cinematografia di guerra.
Attraversando molte avventure e nel confronto con giocattoli "cattivi" deviati da crudeli esperienze di abbandono (e soprattutto quelli che compongono la cricca di personaggi che governano il Sunnyside sono chiaramente ispirati a personaggi dell'universo carcerario-concentrazionario), i giocattoli di Andy alla fine riusciranno a sopravvivere alla loro piccola odissea e, alla fine, dopo aver coronato il sogno d'un ritorno a casa a prezzo di molte avventure er rischiando la fine, troveranno collocazione in una nuova casa, dove abita una bimba piccina con cui potranno essere felici.
La vera felicità, infatti, per i giocattoli "pensanti" e "senzienti" della saga di Toy story è quella di essere usati e di fare felici il proprio "padroncino": il loro vero ruolo è essere usati da un bambino che li faccia vivere o essere fedeli al proprio padrone storico? E' possibile per loro un passaggio di mano senza per questo sentirsi traditori e avere l'impressione di venir meno all'affetto silenzioso che li lega alla persona che ha giocato con loro e che loro hanno visto crescere?
Malgrado il fenomeno del déjà vu relativamente all'impianto narrativo, Toy story - La grande fuga rimane un film pienamente godibile che, soprattutto quando si parla di lutto e abbandoni, regala agli spettatori il lusso di qualche emozione, perchè vengono toccate le corde del cuore con il linguaggio universale dei sentimenti espresso per immagini, suoni e colore piuttosto che con le parole.
Il film di Lee Unkrich si avvale per le voci dei diversi personaggi di un grande cast di attori, in primo luogo Tom Hanks che dà la sua voce a Woody e Tim Allen per Buzz Lightyear.

Un discorso a parte merita il 3D.
Sempre più si fa strada la convinzione che il 3D sia uno spechietto per le allodole: usato ampiamente per allestire i trailer, salvo rare eccezione, è praticamente assente nel film vero e proprio.
Pare quasi che il costo non indifferente degli occhiali speciali €2.50) per usufruire dell'effetto tridimensionale, lo si debba pagare esclusivamente per vedere i trailer dei prossimi film in programmazione in 3D e per gli spot pubblicitari che adesso, vista la grande opportunità tecnologica, cominciano ad essere presentati in tridimensionale.

lunedì 19 luglio 2010

L'Aquila post-terremoto: passeggiando ai margini della Zona rossa


L’Aquila è una città antica di impianto medievale e, soprattutto, omogenea nel suo tessuto urbanistico: una cosa che la rende pressoché unica nel panorama delle città edificate in quel periodo. Secondo la leggenda tramandata, la città nacque da un patto stilato tra 99 cavalieri abruzzesi (secondo altre fonti furono molto di meno: forse una sessantina) che, stanchi delle vessazioni cui erano sottoposti da parte di Signori più potenti che volevano estendere la loro supremazia anche a queste terre, decisero di coalizzarsi e di trasferirsi a vivere in un’unica grande città fortificata.

Dopo il patto giurato dai cavalieri fondatori, quindi, la città si originò dalla giustapposizione di tanti villaggi contigui, ciascuno dei quali ebbe la sua chiesa, una sua piazza ed una sua fontana, come ricorrente cifra architettonica.

Da qui, la molteplicità delle chiese, delle piazze e delle fontane aquilane.

Il numero “99” che ricorda la leggenda delle fondazioni, peraltro, venne definitamene consegnato alla storia con la costruzione della “Fontana dalle 99 cannelle” e statuito dai 99 rintocchi di campane che giorno per giorno presero a risuonare per le vie de L’Aquila.

La città venne devastata da catastrofi naturali nel corso dei secoli.

La maggiore, il grande sisma avvenuto nel 1703, portò alla quasi completa distruzione della città e alla sua integrale ricostruzione nello stesso sito in un arco di circa di quarant’anni. Se allora ciò fu possibile, con i limitati mezzi tecnologici a quel tempo disponibili, ciò dovrebbe essere a maggior ragione possibile oggi, in un tempo radicalmente più breve.

Ma i progetti di ricostruzione fortemente desiderati (ed auspicati) dagli Aquilani, che – giustamente – vogliono rimanere saldamente ancorati alla loro terra (e alla loro città “storica”), non sono caldeggiati dagli attuali politici, favorevoli invece a soluzioni di tipo “affaristico”. Quindi per il momento – purtroppo e con il giustificato sdegno dei cittadini de L’Aquila che si sentono abbandonati e traditi rispetto alle promesse a suo tempo formulate – tutto tace sul fronte della ricostruzione.

Come concordano tutti quelli che si sono trovati a visitare L’Aquila prima del recente terremoto, si trattava di una città splendida e affascinante, soprattutto “vissuta” pienamente dai suoi abitanti in ogni sua parte.

In un caldo mattino di luglio mi sono ritrovato a vistare il centro de L’Aquila, al limitare della cosiddetta “zona rossa” – quella maggiormente devastata dal sisma e i cui edifici sono interamente destinati alla demolizione (e gli Aquilani si chiedono cosa seguirà alla demolizione? Perché non dovrebbe essere possibile ricostruire gli edifici così com’erano, ripristinando l’aspetto urbanistico originario?).

Nel corso della mia visita è sembrato di aggirarmi in una città fantasma.

Strade semideserte, finestre senza infissi come occhiaie vuote, buchi nei muri sbrecciati, pareti sventrate che mostrano degli interni domestici, ordinari; edifici incastellati dentro impalcature di alluminio, a volte di legno; pilastri di cemento costruiti di fretta per puntellare un angolo prossimo a cedere, putrelle di legno a sostenere la volta dei vicoli.

Cinema sbarrati, all’ingresso ancora le locandine dei film in programmazione al momento del terremoto:per esempio, “Gli amici del bar” con Neri Marcoré oppure “The Millionaire”, Oscar 2009.

Pompe di benzina deserte, semicoperte di macerie, che ancora occhieggiano con i loro display luminosi e le insegne sgargianti con i loghi delle maggiori compagnie petrolifere.

Tutte cose esattamente corrispondenti a ciò che ci si aspetterebbe di vedere in uno scenario post-apocalittico e, invece, qui c’è stato un terremoto e l’umanità non è scomparsa, né è stata decimata: attorno a L’Aquila c’è una nazione piena di risorse e uno stato con il suo apparato amministrativo: nulla giustifica questo stato di abbandono.

Lasciando affondare lo sguardo nella buia profondità dei vicoli, si intravede un mezzo dell'esercito che presidia il cuore della zona rossa oppure qualche sporadico mezzo della Protezione civile, ma quasi nessuno al lavoro per il "risanamento".

Mi dicono che tanti degli edifici ancora in piedi sono stati catalogati "C" e che quindi sono destinati alla demolizione totale.

Davanti alla Casa dello Studente, tutta recintata, molta tristezza e commozione.

La strada dove si erige ciò che rimane della palazzina - come tante altre - è deserta: qui si avventura soltanto qualcuno di fuori che vuole vedere quel che rimane di un edificio che è diventato il simbolo chiave del malgoverno e dell'affarismo che, colposamente, hanno portato alla morte di tutti quegli studenti.

L'edificio è recintato, alla grata che lo delimita dalla sede stradale sono state attaccate pagine scritte, di pensieri e poesie, le foto delle vittime, cartelli di protesta, tutti documenti che trasmettono il lutto, il cordoglio, le emozioni (rabbia compresa), il dolore inconsolabile.

Da un grande cartello sotto le tante foto (e fiori) parlano gli studenti morti (uccisi). “Ci avete tolto il futuro. Non toglieteci con il processo breve anche la giustizia”

La città, anche procedendo verso il centro storico e sino al cuore della città, dov’è ubicata l’elegante piazza del duomo, sembra svuotata, anemica, esangue, eppure le vie e le piazze hanno un aspetto maestoso e rivelano di essere state vissute sino a pochi momenti prima del sisma.

E molti continuano a stare abbarbicati qui, pochi caparbi rappresentanti d’una popolazione prima rigogliosa e contenta di esserci.

Non vogliono arrendersi all'insensibilità e al disinteresse del governo, che sarebbe pronto ad investire per la costruzione di una nuova città o di tante città “residenziali” satellite” (perchè tanti ci guadagnerebbero - o ci mangerebbero), mentre è scarsamente interessato alla ricostruzione perchè i margini di guadagno sarebbero irrisori e tante invece le spese (dare lavoro alla popolazione locale nella ricostruzione è pure considerato uno spreco, evidentemente).

Dovunque fiori appesi ai reticolati, alle delimitazioni, alcuni di plastica, altri veri, ricordano i luoghi in cui tante delle vittime sono state trovate e servono a tenere viva la dolente rievocazione di chi non è più. Nelle vie secondarie, alle quali l’accesso è sbarrato da reticolati, saracinesche serrate, piante in vaso che si sono rinsecchite per mancanze di cure: ed anche questo piccolo segno di incuria attanaglia il cuore di tristezza.

Tanti, troppi, i cartelli e le "lenzuola" di protesta appese qua e là: la gente è delusa, adirata, incazzata.

Non tollera di vedere la sua bella città, così abbandonata: e ciascuno, nel suo piccolo, standovi abbarbicato, con la tenacia della patella che si avvince alla sua roccia, cercano di mantenerla in vita.

Questa è una piccola antologia di tutti i cartelli, graffiti, lenzuoli di protesta che ho fotografato nel corso della mia visita.

“Se l’umanità dovrà crepare non sarà per un terremoto ma per un post-terremoto!”

“2010. Riprendiamoci la città!”

“Cancellata dall’elenco ‘Assegnazione alloggi’ perché pubblicate su ‘Il Centro’ mie dichiarazioni non gradite alla ‘Protezione Civile’. Il reato è: ABUSO D’UFFICIO”.

“Dopo il 1703 L’Aquila è stata ricostruita in circa 40 anni con tutti i mezzi e le tecnologie [allora disponibili]. Nel 2010 dovremmo impiegare max 10 anni. A guardare e a percorrere le vie de L’Aquila, oggi si può solo pensare che ci vorranno millenni. Che miracolo!”

“Perché non c’è trasparenza e partecipazione?”

“Il cielo stellato sopra di me. La legge morale dentro di me”.

“Missing Franca Zona…”

“L’Aquila è nostra”

“Ridiamo acqua alla fontana delle 99 cannelle!”

“1000 chiavi per riaprire la città”, dice il cartello attaccato ad un graticolato che delimita una facciata pericolante su cui sono state attaccate centinaia di chiavi diverse.

“Difendiamo i nostri 800 anni di storia! E’ un nostro diritto. Sono nostre anche le macerie!”

L'Aquila è una bellissima città e non deve morire!!!

Aiutiamo L’Aquila!

Aiutiamo L’Aquila a risorgere!

Una nota wikipediana sulle origini de L’Aquila
Il territorio dove sorge L'Aquila fu abitato fin nei tempi più antichi. Prima della conquista da parte di Roma, tutta la valle dell'Aterno fu luogo di insediamento per i Sabini e per i Vestini, i cui territori confinavano proprio nel punto dove in futuro sarebbe sorta la città.
Dopo la conquista dei Romani, avvenuta nel III secolo a.C., nella località che corrisponde all'odierna San Vittorino, pochi chilometri ad ovest dell'Aquila, venne fondata la città di Amiternum, di cui, ancora oggi, possiamo ammirare i resti: un teatro e un anfiteatro che testimoniano l'importanza assunta nel tempo dalla città.
Qui nacque uno dei maggiori storici romani, Sallustio, di cui oggi è presente una statua in Piazza Palazzo; fu sede di diocesi insieme alle vicine città di Forcona e Pitinum. In seguito, sopravvissuta alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Amiternum visse un periodo di grande decadenza, fino a scomparire completamente nel X secolo.
Nel frattempo, il territorio aquilano era stato inglobato nel longobardo Ducato di Spoleto e venne per la prima volta scisso dall'Abruzzo meridionale che era, invece, sotto il controllo del Ducato di Benevento, con numerose ripercussioni sull'economia della zona. Una delle attività economiche principali delle terre che costituiranno la futura città era, infatti, l'allevamento ovino, che comportava la transumanza, cioè l'annuale spostamento delle greggi, che venivano portate a svernare nel Tavoliere delle Puglie.
Con la divisione dell'Abruzzo la transumanza diventò una pratica certamente meno agevole, provocando la decadenza economica del territorio.
La rinascita economica del territorio avverrà solo dopo l'anno mille con l'arrivo dei Normanni.
Si assiste ad una ritrovata stabilità, grazie anche alla riunificazione di tutto l'Abruzzo (conquistato da re Ruggero II tra il 1139 e il 1153).
Durante il periodo normanno si assiste al fenomeno dell'incastellamento, di cui sono esempio e testimonianza, ancora oggi visibili, il castello di San Pio delle Camere e il castello di Ocre; quest'ultimo occupava una posizione strategica nella vallata dell'Aterno ed era proprietà dei conti dei Marsi. Un altro importante fattore di sviluppo economico fu la diffusione delle abbazie cistercensi, tra cui quella di Santo Spirito d'Ocre.
Questo lo sfondo storico, mentre così venne fondata la città.
Nel 1229 gli abitanti dei castelli del territorio decidono di ribellarsi alle vessazioni dei baroni feudali. Rivoltisi a papa Gregorio IX, ottengono, l'anno successivo, il permesso di Federico II per la costruzione di una nuova città.
Di questo permesso è rimasta testimonianza nel Diploma di Federico II, un documento conservato in duplice copia negli archivi cittadini, in cui si esortano i castelli degli antichi contadi di Amiternum e Forcona a unirsi per formare un unico centro.
Le vicende della fondazione dell'Aquila sono raccontate da Buccio di Ranallo da Poppleto (autore di una "Cronica" rimata che narra la storia della città dal 1254 fino al 1362, l'anno precedente la sua stessa morte) e Anton Ludovico Antinori, uno storico che descrisse dettagliatamente gli eventi, accludendovi riferimenti documentari.
Controverse sono le notizie riguardanti il numero dei castelli che contribuirono alla fondazione della città: la tradizione vuole che siano stati novantanove, ma è più probabile che il numero effettivo si aggirasse intorno alla sessantina. A ricordo della fondazione, la campana della Torre Civica (la Reatinella) batte ancora oggi 99 rintocchi ed il primo grande monumento della città, la fontana delle 99 cannelle, sembra contribuire all'alimentazione di questa leggenda.
La città venne chiamata Aquila dal toponimo del luogo in cui fu fondata (Accula) e perché il nome richiamava l'insegna degli Hohenstaufen (un'aquila, appunto). Successivamente divenne Aquila degli Abruzzi e infine, nel 1939, per decreto del Ministero dell'Interno, prese il nome odierno di L'Aquila.

sabato 17 luglio 2010

A Palermo, atto di vandalismo contro un'opera scultorea raffigurante i magistrati Falcone e Borsellino

Questa la notizia di agenzia.

Danneggiate le due statue in gesso raffiguranti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, posizionate ieri pomeriggio nel centro di Palermo, tra piazza Castelnuovo e via Quintino Sella. La scoperta e' stata fatta questa mattina, verso le 9.30, da una pattuglia dei carabinieri in transito in via Liberta. Le statue, realizzate dallo scultore palermitano Tommaso Domina, erano state posizionate sul marciapiede, parallelamente a via Libertà, insieme ai rappresentanti dell'Associazione Falcone-Borsellino di Palermo. Indagano i carabinieri della Compagnia Piazza Verdi. Sul posto sono intervenuti personale della Sezione investigazioni scientifiche del Comando provinciale per i relativi rilievi tecnici. (AGI).

Lungo via Libertà, nel tratto più prossimo a Piazza Castelnuovo, attorno a mezzogiorno, si accalvava una piccola folla nel cui mezzo si intravedevano le divise dei carabinieri e dei Vigili Urbani, oltre ai loro mezzi parcheggiati lì presso.

Tra le persone assiepate si potevano scorgere due inquietanti masse scure distese per terra: dei corpi si sarebbe detto, immaginando subito che qualcosa di grave fosse accaduto.

Invece, avvicinandosi e sbirciando tra i passanti assiepati, con un certo sollievo - ma ciò nondimeno con indignazione - si poteva constatare che si trattava di due statue, apparentemente bronzee, ma in realtà di gesso, come si indovinava dalla profonda spaccatura che aveva parzialmente recisa la testa dal corpo di una delle due e dai numerosi frammenti sparsi attorno.

Uno dei militi dell'Arma, interpellato, spiegava che le due statue facevano parte di un'installazione scultorea: un soggetto seduto sulla panchina, l'altro in piedi davanti a quello seduto a simulare una conversazione.

Insomma, un'installazione scultorea alla maniera dell'americano Seward Johnson che abbiamo imparato a conoscere per le numerose sue sculture esposte a cielo aperto a Mondello, tre estati fa.

Sempre dal Carabiniere apprendevo che le due statue era state vandalizzate proprio poco tempo prima, quindi, alla piena luce del giorno, così come era stato danneggiato il cartello esplicativo parzialmente strappato.

Il fatto era stato sottoposto all'attenzione degli inquirenti attorno alle 9.30 del mattino.

Il vandalo si era accanito in particolar modo su una delle statue - quella dell'uomo seduto - che risultava - come già detto - spaccata in più punti.

Poco più tardi, è arrivato un nucleo della Compagnia dei Carabinieri di Palermo per delimitare la "scena del crimine" e per compiere tutti i rilievi necessari di prammatica (impronte digitali, tracce biologiche) nel caso si ponga la necessità di effettuare dei confronti con eventuali sospetti.

Anche se, al momento, a quanto pare non vi è nessun testimone dell'atto vandalico.

Poco dopo, concitato e visibilmente affranto, è arrivato lo scultore Tommaso Domina.

"In tutte le città d'Europa si espongono opere d'arte di questo tipo - ha detto - e nessuno agisce in modo così barbaro", aggiungendo poi: "Quando mi è stato chiesto se ero disposto a collocare questa installazione lungo via Libertà, ho detto di sì; ho voluto dare fiducia alla città. Ed eccoci qua".

Il cartello parzialmente strappato riportava queste parole:

Giovanni, Paolo - si leggeva nella parte risparmiata - due uomini liberi come le loro idee nel sole nell'allegria nell'amicizia (l'ultima frase incompleta)

Ecco: le due statue rappresentavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, intenti in conversazione nel cuore della loro città! Paolo Borsellino seduto, Giovanni Falcone in piedi davanti a lui.

Il gesto di un vandalo anonimo assume, dunque, un carattere più mirato, tingendosi delle qualità proprie di un'azione vile (forse commissionata da mandanti che stanno nell'ombra, anche se potrebbe trattarsi solo di uno squilibrato) che, ancora una volta, offende le istituzioni democratiche e il sistema della Giustizia, proprio due giorni prima della ricorrenza della strage di Via D’Amelio in cui si spensero le vite di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Come se la mano del vandalo avesse trucidato di nuovo, in effige, i due eroi della lotta contro la Mafia.

venerdì 16 luglio 2010

Davanti all’Isola delle correnti


Spigolature: anche lo scritto che segue è il frutto di un mio vagabondaggio alle interno della cartella documenti di uno dei miei PC.
Ogni tanto scritti dimenticati possono così risorgere e catturare la mia attenzione.
Sono un po' come i sogni: se non li trascrivi subito, quando sono ancora freschi, poco tempo dopo li hai bell'e dimenticati.
Questi scritti, letti a distanza di tempo e scollati dalla contingenza degli eventi che li hanno ispirati, sono proprio come i sogni, quando avendoli trascritti li rileggi a distanza di tempo.
Evocano in te una sensazione di estraneità, al punto di chiederti se sei proprio tu quello che ha vissuto quelle esperienze.

Una piccola nota nota esplicativa meriterebbe il riferimento al "tronco cavo dell'eucalipto" ma ometto di dare spiegazione lasciando in sospeso la curiosità di chi vorrà leggere queste mie parole sino alla fine...

In questo luogo,
al termine delle terre,
a far compagnia ci sono
il costante rumore della risacca,
il fruscio del vento,
gli schiocchi irregolari
di un lembo di tenda

Immutabile
nel suo andare,
il sole,
all'orizzonte lontano,
sorge e tramonta,
incendiando cielo e nuvole
di colori sontuosi
Lungo il suo corso
picchia con i suoi raggi
la fine terra sabbiosa
le rocce scavate dal mare
le rade case sparse

I cargo lontani
evanescenti
nella bruma indistinta tra cielo e mare
transitano lenti,
di giorno
sagome azzurrine,
isole luminescenti
di notte
Senza sosta
percorrono
le loro rotte
guidati
nel buio della notte
dalle stelle luminose
e dal lampeggiare di un faro
al centro d’un edificio diruto

Qui,
nello stesso punto,
si può contemplare il calar del sole
e il suo sorgere

Basta volger le spalle e lo sguardo
da un lato dell'orizzonte
a quello opposto

L’intervallo,
è un tempo infinito
di ozio
di letture
di pensieri intrecciati,
colmato dai venti incessanti
che levano nugoli di polvere
dalle onde mugghianti
dai suoni struggenti
esalati dal tronco cavo dell’eucalipto

Capo di Isola delle Correnti,
il 5.8.2005

giovedì 15 luglio 2010

No sex, please: solo negli orari pattuiti e rispettando il regolamento condominiale


Due interessanti notizie di cronaca portano l'accento sul fatto che un atteggiamento analogo a quello attivato nei confronti dei fumatori tende ad estendersi nei confronti di chi, nel propèrio spazio privato indulge a "normali" rapporti sessuali con il proprio partner. Francamente, mi sembra un'esagerazione che si debba arrivare a tanto. C'è la sensazione che i denuncianti possano essere stati così disturbati dalle attività sessuali dei propri vicini, proprio per il fatto che loro, invece, non facevano sesso con la stessa frequenza o nello stesso modo appassionato.
Si tratta d'un ulteriore indicatore della tendenza in atto di sottoporre i comportamenti privati sempre più invasivamente sottoposti ad un controllo esterno.

Ecco i due episodi riportati online e occasionalmente rimbalzati anche sui mezzi di stampa tradizionali.

Le due storie d'intolleranza si sono concluse nel primo caso con un arresto e con una pena detentiva, mentre - nel secondo - con lo sfratto della coppia, incriminata di aver fatto sesso "selvaggio", dallo stabile dove abitava.

Una donna inglese di 48 anni, Caroline Cartwright, è finita in carcere per aver ignorato un'ordinanza che le imponeva si smetterla di fare eccessivamente rumore durante i rapporti sessuali con il marito.
I suoi vicini a Washington, nel nord est dell'Inghilterra si erano lamentati molte volte con le autorità del fatto che il letto sbattesse rumorosamente contro il muro durante gli amplessi, conditi con urla e gemiti ad alto volume. Il 17 aprile, un giudice aveva emesso un «asbo» (ingiunzione contro i comportamenti antisociali), che le imponeva di non fare rumore in quei momenti per quattro anni, ovunque si trovasse in Inghilterra.
Ma in soli 10 giorni, per ben tre volte Caroline ha turbato i vicini con pratiche rumorosissime insieme al marito Steve nelle prime ore del mattino: la polizia ha constatato la violazione dell'ordinanza e l'ha arrestata. Resterà in cella fino al 5 maggio, poi ci sarà il processo. (Fonte:Il messaggero.it)

Una coppia di venticinquenni di Zwickau, in Germania, è stata sfrattata dall'appartamento nel quale viveva a causa di una vita sessuale troppo rumorosa. I due sotto le coperte sarebbero troppo scatenati, tanto da disturbare l'intero vicinato che, stanco delle grida e dei gemiti, si è rivolto all'amministrazione cittadina. La coppia dovrà lasciare la casa entro metà aprile, ma avrebbe già trovato una nuova sistemazione con le pareti di spessore doppio.
Quando è troppo, è troppo anche a letto. Per i vicini di casa dei due la situazione è diventata ben presto insostenibile. I condomini si sono uniti e hanno chiesto aiuto all'amministrazione cittadina che, dopo aver ricevuto decine di reclami, non ha potuto far altro che intervenire sfrattando i due giovani e i loro due bambini.
"La frequenza e l'esagerato volume delle grida e dei gemiti sono udibili nell'intero edificio e non sono più accettabili" si legge nella motivazione di sfratto. La coppia, assegnataria di un alloggio popolare a Zwickau, in Sassonia, dovrà abbandonare l'appartamento entro metà aprile, ma sembra che la soluzione sia dietro l'angolo. I due avrebbero trovato un nuovo appartamento, ma questa volta con le pareti di spessore doppio. (Fonte: Tgcom)
Evidentemente, l'urlo di Tarzan e i gemiti di Jane, per quanto liberatori possano essere, non sono più bene accetti.
Disturbano la quiete pubblica e la pace condominiale...
Tra le tante cose, anche il sesso nella sfera privata diventa oggetto delle attenzioni e del controllo dei moralisti e di occhiuti ed improvvisati censori, i quali probabilmente non fanno sesso, pur alimentando nella propria mente morbose fantasie sessuali. Chi scopa e trae piacere da ciò, se dovesse sentire dei vicini di casa che fanno sesso in modo piuttosto movimentato, potrebbe al massimo sorridere e, cameratescamente, essere contento per loro.
Il Grande Fratello avanza imperterrito e lo spazio delle libertà individuali si va riducendo sempre di più...
Forse, oggi, per fare sesso tranquillamente, senza doversi preoccupare dei propri gemiti e, quindi, della necessità di tapparsi la bocca per non emettere suono, occorrerebbe trasferirsi su di un'isola deserta oppure sul cocuzzolo d'una montagna.
Oppure, prima di iniziare a fare sesso a casa propria, inserire come sfondo sonoro il suono di un migliaio di vuvuzelas a far da cortina fumogena...

mercoledì 7 luglio 2010

Quel vecchio con la fiatella


Scenario: un ufficio postale affollato
Superaffollato, anzi, malgrado il caldo torrido.
Gente esausta che fa la coda da molte ore.
Chi in piedi.
Chi stravaccato sulle poche panche a disposizione, invariabilmente tutte traballanti.
Si distingue tra i tanti seduti, un'avvenente giovane donna.
Una specie di Sabrina Ferilli nostrana.
Capelli neri, lisci.
Zigomi alti.
Espressione un po' languida.
Ha addosso una canottiera dalle spalline sottili e con una scollatura generosa che consente allo sguardo di spaziare su seni abbondanti e sulla profonda valle che li separa.
Abbronzata, gonna sufficientemente corta da mettere in evidenza gambe piuttosto belle e slanciate.
Come tocco finale, unghie dei piedi smaltate di un bel rosso che non offende lo sguardo.
Nella monotonia dell'attesa, la giovane donna rappresenta una visione piacevole ed attraente.
Si sarebbe tentati, da maschi intraprendenti, di attaccare discorso con un qualsiasi pretesto.
Guardo a più riprese nella sua direzione, mentre lei - senza curarsi di chi la attornia - digita indolente sulla tastiera del telefonino.
Poi mi distraggo per un attimo, anch'io intento a rispondere ad un messaggino.
Un attimo solo ed è quanto basta.

Quando torno a guardare nella sua direzione, scomparsa.
Per andar via, avrebbe dovuto passarmi davanti.
E invece si è volatilizzata, sparita in un batter di palpebra.
Al suo posto, adesso, ci sta seduto un vecchiaccio laido che, con il suo fiato puzzolente, ammorba l'aria ogni volta che apre bocca.
Dov'è finita la bella ragazza?
Penso: "Magari è rimasta vittima di un incantesimo e la strega cattiva delle fiabe l'ha trasformata in quel vecchio laido". Magari, come nelle fiabe, bisognerebbe avere il coraggio di avvicinarsi al vecchiaccio e, turandosi il naso per superare l'orrore di quel fiato, baciarlo sulla bocca per spezzare l'incantesimo e far ricomparire la ragazza.
Questo sì che sarebbe un lieto finale di una favola che si rispetti!
La ragazza, allora, ti cingerebbe il collo con le sue braccia tornite e ti bacerebbe con passione, grata per averla liberata dall'incantesimo.
E se, invece, la situazione fosse diversa?
Se il vecchiaccio fosse uno stregone malvagio in cerca di prede da asservire alla sua volontà?
Se ogni tanto il vecchio stregone andasse incontro ad una subdola metamoformosi, apparendo agli astanti con l'aspetto di quella ragazza seducente per attrarre delle prede e poi catturarle non appena le ignare creature si avvicinano a quella che credono essere una bella ragazza da abbordare?
Morale della favola: all'insegna del principio di precauzione, sarà meglio non mettersi grilli per la testa e lasciare andare quel vecchio con la fiatella al suo destino, rinunciando all'illusione di poter essere protagonista della storia di Re Rospo.

Ho corso sulla sabbia in una sera d'inverno


Scrissi questa composizione dopo aver corso lungo la spiaggia di Mondello in un giorno d'inverno all'imbrunire. Queste le impressioni che mi rimasero e che raccolsi in questo scritto pochi giorni dopo, mentre mi trovavo in viaggio qualche giorno dopo nell'inverno del 2006.
Ogni tanto mi ritrovo a ripescare oggetti "meravigliosi" dal PC.
Cose scritte tempo addietro e dimenticate, che in quanto oggetti della memoria sono meravigliosi da contemplare perchè evocano un momento trascorso della mia storia personale, quasi fossero la fotografia di un istante.
Ovviamente, non entro nel merito della questione se abbiano un valore letterario.
Molto probabilmente, no. Anzi, sicuramente nessuno!
Ma certamente rappresentano un veicolo della memoria e dell'immaginazione eidetica.
A volte andare ad aprire vecchi file è come soffermarsi a guardare una vecchia istantanea in un album di fotografie, solo che, oggi, al tempo della fotografia digitalie quasi nessuno più coltiva la consuetudine dell'album di fotografie dove riporre le immagini più care...

Il vento è gelido
tagliente

ulula e sibila,

trascinando con forza

minuti granelli silicei


Pur squassato da brividi di freddo,

ingobbito e avvolto nei miei panni,
procedo nella mia corsa:

la superficie della sabbia è dura

per la pioggia insistente

(che ha bevuto nei giorni passati)

Ed è resa levigata
dalla continua
carezza delle raffiche

Passeggiatori solitari

indugiano sulla banchina di cemento

guardando l’ampio orizzonte vuoto,
le creste di spuma,
i gabbiani che planano

accompagnati
dal coro dissonante

di strida quasi umane;

altri, pensosi,
si spingono
sino al limitare della risacca,
attenti a sfuggire alla sua risalita

su per il lieve pendio della spiaggia,

in armonia con il ritmico respiro del mare

Detriti d'ogni genere,
oggetti di plastica

pezzi di vetro colorato

levigati dallo struscio della sabbia

sino a diventare dei ciotoli preziosi

(I "gioielli" li chiamava mio figlio piccino

raccogliendo con dedizione
tutti quelli che trovava
- ma la bellezza è nell'occhio di chi guarda),
alghe morte,

resti di poseidonie
strappate dai fondali,
aggrovigliate e affastellate
dalla furia dei marosi,
conchiglie
- di queste ormai ben poche,
perchè il mare s’è impoverito

(ma quelle che occhieggiano
dalla coltre di sabbia,
mista a rossi frammenti corallini,
appaiono come pezzi unici e di grande pregio,
forse per la loro rarità),

un'ala piumata
semi-sepolta
emerge inquietante

ricordando
che anche la vita aerea
delle creature del cielo è effimera

e che alla terra deve fare ritorno


Impronte lasciate da altri corridori
più scavate sulla punta

s’alternano con quelle di passeggiatori

meglio disegnate
con l'intera forma di suola e tacco,
tracce di gabbiani che sono stati a riposare:

impronte e tracce disegnano
con le loro intersezioni
complicati ghirigori e arabeschi

sulla superficie bigia,

e misteriosi percorsi


Il cielo si va oscurando:
mentre si affacciano con nitore
la luna e le prime stelle,

Il vento continua ad ululare


La corsa è finita
la notte avanza a grandi passi


Fa ancora più freddo:

i frequentatori della spiaggia,
uno per volta,
alla spicciolata,
se ne vanno a testa china

immersi nella propria solitudine,

macinando pensieri
o senza pensieri del tutto:

ognuno di loro,

senza saperlo con precisione,

è una monade

la cui traiettoria di vita
soltanto per caso
s’è incrociata con quella di altri

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