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mercoledì 7 luglio 2010

Ho corso sulla sabbia in una sera d'inverno


Scrissi questa composizione dopo aver corso lungo la spiaggia di Mondello in un giorno d'inverno all'imbrunire. Queste le impressioni che mi rimasero e che raccolsi in questo scritto pochi giorni dopo, mentre mi trovavo in viaggio qualche giorno dopo nell'inverno del 2006.
Ogni tanto mi ritrovo a ripescare oggetti "meravigliosi" dal PC.
Cose scritte tempo addietro e dimenticate, che in quanto oggetti della memoria sono meravigliosi da contemplare perchè evocano un momento trascorso della mia storia personale, quasi fossero la fotografia di un istante.
Ovviamente, non entro nel merito della questione se abbiano un valore letterario.
Molto probabilmente, no. Anzi, sicuramente nessuno!
Ma certamente rappresentano un veicolo della memoria e dell'immaginazione eidetica.
A volte andare ad aprire vecchi file è come soffermarsi a guardare una vecchia istantanea in un album di fotografie, solo che, oggi, al tempo della fotografia digitalie quasi nessuno più coltiva la consuetudine dell'album di fotografie dove riporre le immagini più care...

Il vento è gelido
tagliente

ulula e sibila,

trascinando con forza

minuti granelli silicei


Pur squassato da brividi di freddo,

ingobbito e avvolto nei miei panni,
procedo nella mia corsa:

la superficie della sabbia è dura

per la pioggia insistente

(che ha bevuto nei giorni passati)

Ed è resa levigata
dalla continua
carezza delle raffiche

Passeggiatori solitari

indugiano sulla banchina di cemento

guardando l’ampio orizzonte vuoto,
le creste di spuma,
i gabbiani che planano

accompagnati
dal coro dissonante

di strida quasi umane;

altri, pensosi,
si spingono
sino al limitare della risacca,
attenti a sfuggire alla sua risalita

su per il lieve pendio della spiaggia,

in armonia con il ritmico respiro del mare

Detriti d'ogni genere,
oggetti di plastica

pezzi di vetro colorato

levigati dallo struscio della sabbia

sino a diventare dei ciotoli preziosi

(I "gioielli" li chiamava mio figlio piccino

raccogliendo con dedizione
tutti quelli che trovava
- ma la bellezza è nell'occhio di chi guarda),
alghe morte,

resti di poseidonie
strappate dai fondali,
aggrovigliate e affastellate
dalla furia dei marosi,
conchiglie
- di queste ormai ben poche,
perchè il mare s’è impoverito

(ma quelle che occhieggiano
dalla coltre di sabbia,
mista a rossi frammenti corallini,
appaiono come pezzi unici e di grande pregio,
forse per la loro rarità),

un'ala piumata
semi-sepolta
emerge inquietante

ricordando
che anche la vita aerea
delle creature del cielo è effimera

e che alla terra deve fare ritorno


Impronte lasciate da altri corridori
più scavate sulla punta

s’alternano con quelle di passeggiatori

meglio disegnate
con l'intera forma di suola e tacco,
tracce di gabbiani che sono stati a riposare:

impronte e tracce disegnano
con le loro intersezioni
complicati ghirigori e arabeschi

sulla superficie bigia,

e misteriosi percorsi


Il cielo si va oscurando:
mentre si affacciano con nitore
la luna e le prime stelle,

Il vento continua ad ululare


La corsa è finita
la notte avanza a grandi passi


Fa ancora più freddo:

i frequentatori della spiaggia,
uno per volta,
alla spicciolata,
se ne vanno a testa china

immersi nella propria solitudine,

macinando pensieri
o senza pensieri del tutto:

ognuno di loro,

senza saperlo con precisione,

è una monade

la cui traiettoria di vita
soltanto per caso
s’è incrociata con quella di altri

mercoledì 5 maggio 2010

The way I was - Giochi di sabbia, da piccolo e da grande

Estate 1952. Io e i miei legni

Questa foto ha una sua storia ed apre uno scenario sui miei giochi da spiaggia quando ero piccino.
Ovviamente, secchiello, paletta ed innaffiatoio erano immancabili.
Ma io volevo di più...
Non mi bastavano questi semplici strumenti...

Volevo costruire con la sabbia e dare forma alle mie fantasie.
E, dunque, assecondato da mia madre, tenevo con me un'intera scorta di legni (tutti raccolti in spiaggia) che servivano da materiali da costruzione, per fare ponti rampe, ponti levatoi, palizzate, perfino pavimenti sospesi in modo da poter realizzare nelle costruzioni di sabbia (castelli ed altro) concamerazioni su più livelli.
Di questi pezzi di legno di varia foggia io ero assolutamente geloso: erano un mio patrimonio personale e viaggiavano sempre con me, contenuti in una vecchia borsa di stoffa verde con manici di legno che mia madre mi aveva dato, proprio per questo scopo.

In una fase successiva, crescendo la mia capacità di movimentazione di carichi più ingenti e avendo ricevuto in dono dai miei una bella pala di metallo, scavavo profonde ed articolate trincee. Oppure fossi profondi con l'obiettivo di raggiungere il livello del mare e creare, al fondo della buca, una polla di acqua salmastra.
Raggiungere l'umido era una meta ambita, ma anche la fine del gioco perchè l'acqua corrodeva le pareti del fosso che cominciavano a franare, compromettendo tutto il lavoro fatto.

Poi, sono passato alla fase delle grandi buche che venivano mascherate con una copertura distecchi leggeri e di sabbia: delle vere e proprie trappole...
E fu una fortuna che nessuno si sia mai fatto male.
..

Con mio padre - ma questa è stata una cosa che facemmo soltanto due o tre volte - costruivamo sulla spiaggia il "vulcano".
Si faceva così: formavamo una grande montagna di sabbia, prediligendo all'inizio quella umida, ma non bagnata, perchè si compattava meglio per creare la camera di combustione e il camino.
Quando la montagna era sufficientemente alta - e in genere veniva di foma conica, come l'Etna - mio padre scavava un cunicolo orizzontale nella sua base, sino al centro. Quindi, partendo dalla sommità faceva un secondo cunicolo sino a congiungerlo con la cavità centrale: e così il vulcano era pronto. A questo punto, bisognava soltanto riempire il punto di congiunzione di materiale combustibile e dargli fuoco.
Di tutti questi aspetti "tecnici" si occupava mio padre...

Se il tiraggio era buono e se si aveva l'accortezza di aggiungere anche molta carta, dal cratere del vulcano cominciava a venire fuori un bel fumo bianco, con grande delizia di tutti i bagnanti presenti.
Era questo il motivo per cui il "vulcano" non si poteva fare ogi volta che avrei voluto: ma io, a mio padre, glielo ricordavo sempre perchè il divertimento era davvero troppo grande...

La nostalgia dei giochi di sabbia è rimasta dentro di me molto forte.
Sino a quando mio figlio ha avuto voglia di farlo costruivo con lui - per lui, perchè dopo un po' lui si stancava di lavorare a spostare e a compattare sabbia - grandi castelli che poi venivano ammirati da tutti gli altri bambini, che chiamavano il proprio padre per mostrarglieli e dire loro:
"Papà, costruiscine uno così anche per me!".
Anche adesso che mio figlio è cresciuto e si vergognerebbe a indulgere in questi giochi, se mi ritrovo su di una spiaggia si manifesta quasi sempre irrefrenabile l'impulso a scavare e ad ammucchiare la sabbia che viene fuori dallo scavo e finisce con l'assumere forme diverse; in genere fortificazioni, castelli, città, dighe...
Potrei passarci ore a occuparmi così...

domenica 15 novembre 2009

Ricordi d'infanzia... Quelle panchine rosa di Mondello

Mondello, lungomare - Panchina sbroccata davanti al cielo e al mare
(foto di Maurizio Crispi)

Alcune delle panchine che popolamo il lungomare di Mondello le hanno rifatte, cercando di ricalcare la foggia di quelle antiche (e queste "modernizzate" non sono certo la stessa cosa, perchè hanno un che di finto e di artefatto), ma quella della foto è proprio una di quelle che anche io ho frequentato nella mia infanzia: autentica! DOC! con tutti i segni del tempo che è trascorso, compresi quei ferri arrugginiti che vengono fuori dal granigliato di cemento corroso dal tempo...!!!
Il bello di adesso è che, oggi, soprattutto nel periodo di chiusura della stagione balnerare vengono rimosse quelle odiose inferriate di ferro con la bordura di minacciosi spuntoni (che sottlineavano lo strapotere della Società italo-belga sul litorale) e, quindi, fermandocisi a riposare, lo sguardo verso il mare può correre più libero a perdersi verso l'orizzonte...
La sosta sulla panchina all'uscita dalla spiaggia era d'obbligo: ci si sedeva, ci si spolveravano dalla sabbia i piedi con un apposito scopino (che era parte obbligata del corredo da mare ospitato nella capiente borsa di mia madre) e, quindi, ci mettevamoo i sandali (a quei tempi, di tipo rigorosamente francescano, in cuoio).
Questo era quasi un rito giornaliero che chiudeva quelle ore al mare: ma anche un modo per ricomporsi prima del ritorno a casa e un metodo per evitare di importare la spiaggia in città...
Credo di aver fotografato, in maniera assolutamente casuale, proprio la panchina delle mie soste d'infanzia.
Siamo, infatti, all'altezza del Commissariato PS Mondello Valdesi e la cabina della mia famiglia era proprio qui...
Intere giornate al mare, la classica pasta al forno o gli arancini o i semprefreschi imbottiti per pranzo, pane e uva per merenda...
Ricordi d'antan...
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