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venerdì 30 luglio 2010

I misteri dell'agenda rossa: Viviano e Ziniti rintracciano un filo conduttore nella palude delle collusioni tra le istituzioni e Cosa nostra


Alcuni giorni fa (poco prima del ricorrere della strage di Via D'Amelio) è uscito, per i tipi di Aliberti, il libro "I misteri dell'agenda rossa" (Aliberti) degli inviati di Repubblica Viviano e Ziniti che riporta l'attenzione sulla scomparsa della "agenda rossa" da cui il giudice Borsellino, secondo le testimonianze di quanti conoscevano i suoi metodi di lavoro, non si staccava mai (perché lì - non amando particolarmente l'utilizzo dei moderni sistemi di scrittura - egli annotava i suoi pensieri, le sue intuizioni, spunti da sviluppare successivamente) .

Benchè la sua borsa sia stata rinvenuta intatta sul luogo dell'esplosione, l'Agenda rossa era scomparsa.

L'Agenda rossa avrebbe avuto nello svilupparsi delle indagine un'importanza cruciale in quanto avrebbe consentito di collegare Falcone e Borsellino alle dichiarazioni che entrambi, in momenti diversi, avevano raccolto da Gaspare Mutolo e che avevano ambedue solo annotato infomalmente, poichè non c'era stato il tempo di verbalizzarne ufficialmente, ne ve ne era stato il contesto.

Infatti, facendo un passo indietro, risulta che dell'incontro "segreto" (un colloquio "fondamentale") che Giovannni Falcone ebbe con Gaspare Mutolo nel Carcere di Spoleto nel 1991, Riina era venuto a sapere. Di quell'incontro non verbalizzato ufficialmente, Falcone aveva fatto sicuramente delle annotazioni nella sua agenda elettronica e forse nel suo PC (ma a parte una traccia in un appunto digitale rinvenuta da Giovanni Genchi), i file contenuti nei PC del giudice era stati manomessi e l'agenda elettronica si era (o era stata) smagnetizzata.
Mutolo dopo la morte di Falcone ritornò alla carica e volle parlare con Borsellino.

Anche in questo caso (si incontrarono per ben tre volte) il contenuto delle dichiarazioni di Mutolo non venne verbalizzato, ma sicuramente Borsellino ne trascrisse alcune annotazioni sulla sua agenda.

"Sicchè le morti di Falcone e Borsellino si portano dietro due singolari coincidenze: la scomparsa delle loro annotazioni e, e l'argomento prinicipale di quelle stesse annotazioni. E cioè le dichiarazioni di Mutolo sulla connivenza tra istituzioni e mafia. Dichiarazioni di cui nessuno o quasi nessuno doveva sapere nulla.(dall'introduzione di Edoardo Montolli, dal titolo "Le troppe verità ignorate", p. 10).

Il libro contiene due esclusive interviste inedite, una a Gaspare Mutolo, il quale (le sue testimonianze sono considerate addirittura più importanti di quelle di Tommaso Buscetta, che spiegò Cosa nostra a Giovanni Falcone) ribadisce l'esistenza di forti connessioni tra stato e mafia, e al giudice Luca Tescaroli che - sostituto procuratore a Roma e pubblico ministero nel processo per la strage di Capaci - ha condotto le indagini sui mandanti occulti per gli eccidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Nel volume inoltre viene riportato un manoscritto di Vito Ciancimino in cui è indicato per la prima volta il nome del misterioso “signor Franco” in una lista insieme a ex alti commissari per la lotta alla mafia, ex capi della polizia, ex dirigenti del Sisde.
Il volume contiene altri importanti documenti: quali, ad esempio, l'elenco di annotazioni scritte a mano, in allegato agli atti sulle stragi, in cui sono elencati i punti da dettare a Scarantino per la verità che il “falso” pentito doveva raccontare su via D’Amelio, e il documento in cui Massimo Ciancimino, ipotizzando la sua prematura scomparsa, nomina Francesco Viviano depositario del suo testamento.
Nel libro è contenuta anche la lettera inviata da Vito Ciancimino alla Commissione parlamentare antimafia il 29 ottobre 1992 in cui l’ex sindaco di Palermo chiede nuovamente di essere ascoltato in merito all’omicidio dell’onorevole Lima, lettera che non ebbe alcun esito perchè nessuno lo volle ascoltare.

Oggi a Caltanissetta hanno riaperto le indagini sui mandanti occulti delle stragi del '92. Si ipotizza che Borsellino sia stato ucciso perché si pponeva a una trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra per far cessare una scia di sangue mai vista prima: E un sacco di gente sembra avere ritrovato la memoria, ricordando episodi e fatti che Mutolo aveva narrato quasi vent'anni fa. Si va alla ricerca di quel "quasi nessuno" che sapeva e che di fatto fece da trait d'union tra la mafia e lo Stato, una talpa o forse un'entità in grado di interagire con entrambi gli apparati (dalla prefazione di Edoardo Montolli, p. 11)

Il "quasi nessuno" potrebbe essere stato, secondo quanto dichiarato da Massimo Ciancimino, il misterioso “signor Franco”, che sarebbe stato a tutti gli effetti l’anello di congiunzione tra Cosa nostra e alcune istituzioni italiane, in particolare servizi segreti e alcuni politici che ancora oggi tacciono o ricordano solo vagamente.

C'è dunque un filo rosso che collega sempre, in ogni strage e delitto o suicidio, elementi di Cosa Nostra ed elementi dei segreti, ufficiali o ufficiosi. Un filo che si manifesta sin dal 1989 e che fa pensare che tutto sia cominciato molto prima e non certo per iniziativa dei caprai corleonesi. (ib., p.13)

GLI AUTORI

Francesco Viviano, inviato di «Repubblica», ha seguito tutti i maxiprocessi di mafia, analizzando l’evoluzione di Cosa nostra dalle stragi a oggi. Inviato in Iraq e in Afghanistan, è stato insignito di numerosi riconoscimenti e nominato Cronista dell’anno nel 2004, 2007 e nel 2008. Per Aliberti ha pubblicato Michele Greco, il memoriale (2008), Mauro De Mauro. Una verità scomoda (2009), Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni (2010) e I maledetti e gli innocenti (2010).

Alessandra Ziniti, inviata di «Repubblica», ha seguito tutte le grandi inchieste di mafia e di cronaca in Sicilia. Insieme a Francesco Viviano ha vinto il premio Cronista dell’anno nel 2008 e sempre con lui ha pubblicato per Aliberti Morti e silenzi all’università. Il laboratorio dei veleni (2010) e I maledetti e gli innocenti (2010).

Il CURATORE
Edoardo Montolli dirige Yahoopolis, la collana di Aliberti, in cui è inserito il volume di Viviano e Ziniti. E' autore, oltre che di numerosi saggi e romanzi, di un corposo studio sul Caso Genchi.

sabato 17 luglio 2010

A Palermo, atto di vandalismo contro un'opera scultorea raffigurante i magistrati Falcone e Borsellino

Questa la notizia di agenzia.

Danneggiate le due statue in gesso raffiguranti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, posizionate ieri pomeriggio nel centro di Palermo, tra piazza Castelnuovo e via Quintino Sella. La scoperta e' stata fatta questa mattina, verso le 9.30, da una pattuglia dei carabinieri in transito in via Liberta. Le statue, realizzate dallo scultore palermitano Tommaso Domina, erano state posizionate sul marciapiede, parallelamente a via Libertà, insieme ai rappresentanti dell'Associazione Falcone-Borsellino di Palermo. Indagano i carabinieri della Compagnia Piazza Verdi. Sul posto sono intervenuti personale della Sezione investigazioni scientifiche del Comando provinciale per i relativi rilievi tecnici. (AGI).

Lungo via Libertà, nel tratto più prossimo a Piazza Castelnuovo, attorno a mezzogiorno, si accalvava una piccola folla nel cui mezzo si intravedevano le divise dei carabinieri e dei Vigili Urbani, oltre ai loro mezzi parcheggiati lì presso.

Tra le persone assiepate si potevano scorgere due inquietanti masse scure distese per terra: dei corpi si sarebbe detto, immaginando subito che qualcosa di grave fosse accaduto.

Invece, avvicinandosi e sbirciando tra i passanti assiepati, con un certo sollievo - ma ciò nondimeno con indignazione - si poteva constatare che si trattava di due statue, apparentemente bronzee, ma in realtà di gesso, come si indovinava dalla profonda spaccatura che aveva parzialmente recisa la testa dal corpo di una delle due e dai numerosi frammenti sparsi attorno.

Uno dei militi dell'Arma, interpellato, spiegava che le due statue facevano parte di un'installazione scultorea: un soggetto seduto sulla panchina, l'altro in piedi davanti a quello seduto a simulare una conversazione.

Insomma, un'installazione scultorea alla maniera dell'americano Seward Johnson che abbiamo imparato a conoscere per le numerose sue sculture esposte a cielo aperto a Mondello, tre estati fa.

Sempre dal Carabiniere apprendevo che le due statue era state vandalizzate proprio poco tempo prima, quindi, alla piena luce del giorno, così come era stato danneggiato il cartello esplicativo parzialmente strappato.

Il fatto era stato sottoposto all'attenzione degli inquirenti attorno alle 9.30 del mattino.

Il vandalo si era accanito in particolar modo su una delle statue - quella dell'uomo seduto - che risultava - come già detto - spaccata in più punti.

Poco più tardi, è arrivato un nucleo della Compagnia dei Carabinieri di Palermo per delimitare la "scena del crimine" e per compiere tutti i rilievi necessari di prammatica (impronte digitali, tracce biologiche) nel caso si ponga la necessità di effettuare dei confronti con eventuali sospetti.

Anche se, al momento, a quanto pare non vi è nessun testimone dell'atto vandalico.

Poco dopo, concitato e visibilmente affranto, è arrivato lo scultore Tommaso Domina.

"In tutte le città d'Europa si espongono opere d'arte di questo tipo - ha detto - e nessuno agisce in modo così barbaro", aggiungendo poi: "Quando mi è stato chiesto se ero disposto a collocare questa installazione lungo via Libertà, ho detto di sì; ho voluto dare fiducia alla città. Ed eccoci qua".

Il cartello parzialmente strappato riportava queste parole:

Giovanni, Paolo - si leggeva nella parte risparmiata - due uomini liberi come le loro idee nel sole nell'allegria nell'amicizia (l'ultima frase incompleta)

Ecco: le due statue rappresentavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, intenti in conversazione nel cuore della loro città! Paolo Borsellino seduto, Giovanni Falcone in piedi davanti a lui.

Il gesto di un vandalo anonimo assume, dunque, un carattere più mirato, tingendosi delle qualità proprie di un'azione vile (forse commissionata da mandanti che stanno nell'ombra, anche se potrebbe trattarsi solo di uno squilibrato) che, ancora una volta, offende le istituzioni democratiche e il sistema della Giustizia, proprio due giorni prima della ricorrenza della strage di Via D’Amelio in cui si spensero le vite di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Come se la mano del vandalo avesse trucidato di nuovo, in effige, i due eroi della lotta contro la Mafia.

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