martedì 27 maggio 2008

Dietro le quinte del porno

Qualche tempo fa, in uno dei tanti cataloghi remainder che mi arrivano, mi sono imbattuto in un titolo che mi ha intrigato, Pornoland (foto di Stefano De Luigi, con un testo di Martin Amis). Un volume che nel mercato librario ha avuto poca fortuna, visto che, pur uscito nel 2004, è già passato al circuito dei metà-prezzo. L'ho ordinato, anche perchè apprezzo molto il modo di scrivere di Martin Amis, uno dei grandi narratori e saggisti inglesi della nuova generazione assieme a Ian McEwan e a pochi altri [Martin Amis (25 agosto 1949), figlio del prolifico scrittore Kingsley Amis, è autore di alcuni dei lavori più conosciuti della letteratura inglese moderna, in particolare di Money (1984) e di Territori londinesi (1989)].
Appena l'ho ricevuto, ho avuto la sorpresa di constatare che era un libro fotografico di grande formato, in carta patinata, con un saggio appunto di Martin Amis - dal titolo "Uno sporco lavoro" - contenuto nelle pagine centrali. L'ho sfogliato con piacere, trovandolo interessante: nella sua semplicità mi è parso un libro-denuncia - senza peraltro l'espressione di alcun giudizio moralistico facile e scontato - sul mondo del porno che è, di fatto, iperbolico e paradossale, sostanzialmente finto, ma anche crudele e "vampirico" nei confronti dei suoi adepti. E qui non si parla dei fruitori del porno che hanno modo di osservare il prodotto finito (e sostanzialmente finto, salvo rare eccezioni) da cui in seguito possono essere a loro volta "vampirizzati" (nel senso che poi finiscono per diventare dipendenti di questo tipo di rappresentazione), ma di quelli che il porno lo realizzano, come "nuovi" schiavi, veri cottimisti dell'eiculazione e dell'orgasmo.
Le belle foto di Stefano De Luigi e il testo di Martin Amis, offrono, infatti, un'impietosa carrellata su questo mondo. "Pornoland" non è un libro in sé "pornografico" ma un'incisiva inchiesta sul porno. Le foto, presentate in sequenza e senza spiegazioni sul luogo in cui sono state scattate, hanno sul lettore un forte impatto, perchè parlano del porno senza essere "pornografiche". Una delle caratteristiche del "porno" è che le cose, al suo interno, vengono presentate in maniera diretta e concreta, senza alcuno spazio per l'elaborazione simbolica da parte del fruitore, con l'utilizzo rigido di alcuni stilemi che devono sempre ricorrere per non disorientarlo.
Qui, invece, le immagini parlano simbolicamente: si tratta di dettagli, di istantanee di scena mosse apparentemente casuali, di fuoricampo che danno l'idea di ciò che, solitamente, sta dietro le quinte e che non deve essere mostrato. I colori fortemente saturi e la voluta sfuocatura rendono queste foto fortemente "esistenziali", spingendo il lettore ad intravedere un mondo di relazioni cupo e angosciato, senza gioia, senza felicità, ma dominato da un'intera gamma di solitudini e sostanzialmente dominato da un "vuoto" di parola. E ancora una volta all'occhio del fotografo non interessa cogliere foto di scena di performance sessuali, ma immagini di uomini e le donne che interagiscono oppure che se ne stanno sul set chiusi in un angosciato isolamento (e che forse hanno anche un po' perso la loro anima). In altri passaggi, le figure intere scompaion, per lasciare spazio ad ambienti vuoti in cui le presenze umane si sono fatte periferiche ed inessenziali, oppure prendono campo singoli dettagli, parti anatomiche estrapolate dal resto (una mano, un pezzo di volto - ma sempre e rigorosamente - niente di sessuale) estremamente eloquenti e tali da raccontare ciascuno di essi una storia complessa, ma anche per sottolineare la rapacità di un sistema che annienta gli essere umani, frammentandoli e riducendoli al rango di "pezzi" anatomici.
Solo alla fine, accanto alle icone di ciascuna delle fotografie presentate prima in grande formato, compare l'indicazione di "location" e data di scatto, com a dire che di luoghi reali si tratta e che le foto sono "documento" e non la costruzione di un mondo fantastico.
Il commento di Martin Amis è illuminante, sia perchè fornisce delucidazioni preziose sulle nuove frontiere dell'industria del porno sia perchè - senza veli e senza compiacimenti - dà voce ad alcuni personaggi che si muovono in un mondo "al limite" in cui - al di là dell'apparenza di vitalità e di gioiosa disponibilità (che appare nei prodotti finiti) - i personaggi femminili, pur dominati da un tono crepuscolare e depressivo dell'esistenza, non cessano di nutrire la speranza di conqistare un modo diverso di vivere.
Martin Amis illustra - tra le tante cose - la differenza tra il cinema porno "feature" (porno con un accenno di storia ed una sceneggiatura-canovaccio che impone agli attori una forma embrionaria di recitazione) e il genere "gonzo" (che sembra si stia imponendo nel gusto dei fruitori contemporanei) in cui scene sessuali estreme sono presentate senza alcun pretesto.
E' come se - mentre il porno "feature" rimane come un prodotto pornografico "gentile" e dai toni attenuati, il "gonzo" (di cui i massimi rappresentanti sono John Stagliano, Rocco Siffredi e
Nacho Vidal, rispettivamente USA, Italia e Spagna), fosse sempre più orientato ad offrire una forma di intrattenimento estremo in cui è di scena la rappresentazione coatta e claustrofobizzante d'una sessualità feroce e violenta, in cui non c'è più spazio nemmeno per un'abbozzata pantomima dei sentimenti.
C'è da chiedersi quale tipo di impatto possano avere sui più giovani simili immagini (soprattutto quelle del genere "gonzo"), quasi liberamente disponibili in DVD per l'acquisto o per il noleggio, o direttamente attraverso la rete.

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