"Graffiti di ultramaratona" (2010) è l'opera prima di Antonello Martucci, trentaquattrenne di Cuneo, laureato in Scienze Politiche, di mestiere impiegato, atleta di endurance podistica (le cui esperienze si sono avviate nel 2008, con una prima partecipazione alla 100 km del Passatore di quell'anno) e Tecnico federale di Atletica leggera.
Correndo sulle lunghe distanze si attivano i pensieri: è un processo strano che accade a tutti quelli che praticano la corsa di endurance, anche se con intensità diverse e in forme diverse, a volte senza consapevolezza.
Murakami Haruki, un grande scrittore giapponese contemporaneo che, da decenni, pratica la corsa lunghissima (maratona, con qualche sporadica incursione nel territorio delle ultramaratone e del triathlon) ha descritto in un suo libro autobiografico (L'arte di correre, Einaudi, 2009) questo singolare fenomeno, specificando che i pensieri che passano per la mente, mentre si corre, sono come le nuvole che - e qui viene naturalmente in mente la famosa canzone "recitata" del nostro Fabrizio De André - "vanno, vengono, indugiano, poi se ne vanno e talvolta ritornano".
Non c'è mai alcuna preordinazione in questi pensieri, sogni, visioni. che non possono essere controllati, né decisi in anticipo. Per alcuni aspetti, come sa chi ha praticato la corsa in solitudine, sono come dei ghirigori o arabeschi, tracciati su di uno sfondo bianco, o come ombre proiettate da una sorgente di luce su una superficie di stoffa, ombre che s'allungano, diventando gigantesche, o che si rimpicciolliscono a seconda della distanza interposta tra la figura, la sorgente luminosa e lo schermo, come ben sa chi ha avuto modo di assistere ad uno spettacolo di teatro delle ombre.
Correre ci predispone ad un'esperienza intensa di interiorità e meditazione, rendendoci più propensi - anche se in modi decisamente più intuitivi che razionali, ad entrare in contatto con la trascendenza o con il divino immanente nelle cose che ci circondano: la nostra mente si fa più permeabile, trasformandosi in un canale di comunicazione energetica tra la nostra singolarità e l'immensità dell'universo e, nello stesso tempo, ci consente di entrare in contatto pulsante con l'interiorità e con i nostri serbatoi pù riposti e profondi di ricordi.
Qualche volta una simile esperienza può diventare tanto intensa da sfociare in forme assimilabili alle cosiddette "estasi selvagge", quegli stati alterati di coscienza che, senza la mediazione di sostanze chimiche esogene, possono verificarsi in individui comuni al di fuori delle cornici epistemiche delle religioni codificate.
Alcuni, tornando dalla loro corsa, arricchiti da questa esperienza interiore possono sentire l'esigenza di scriverne, per comunicarla meglio a se stessi, innanzitutto, per evitare che questo "tesoro" di pensieri ed emozioni vada disperso. E, secondariamente, per cercare di comunicarlo ad altri, nell'ottica della condivisione della propria esperienza.
E' quello che ha fatto, appunto, Antonello Martucci, prima scrivendo i suoi ghirigori mentali ed emozionali, poi dandoli alle stampe in questa forma. I ghirigori di pensieri, riflessioni ed emozioni, tracciati grazie a migliaia di chilometri percorsi in gara e in allenamento, sono potenzialmente infiniti e dai mille volti.
La scrittura e la costruzione d'un volume impongono a chi scrive, tuttavia, di dare una struttura ai mille volti dei propri graffiti mentali, tracciando una strada che faccia da filo conduttore all'interno di una struttura che rischierebbe di essere altrimenti labirintica.
E' stato così che Antonello Martucci ha scelto come elemento selezionatore e "ordinatore" un criterio temporale che è quello della cronologia del suo approccio all'esperienza dell'ultramaratona.
Cos'è l'esperienza del runner di endurance, come è descrivibile?
Antonello Martucci, avvalendosi di diversi riferimenti letterari o anche citando la parola scritta di altri runner (come ad esempio, quella di "Diavolo Rosso" Vitaliano Grassi), mette in campo diverse metafore: quella dell'eremita/anacoreta, quella del pellegrino, del guerriero, superuomo, ma anche quella dell'uomo "eguale tra eguali" (che propone l'immagine dell'ultramaratona come "incubatore" di democrazia non teorizzata ma vissuta concretamente attraverso l'empatia, la solidarietà e la condivisione, di gioie, passione, sangue, sudore e lacrime.
L'ultramaratoneta è un po' tutte queste cose e vivendo l'esperienza dell'ultrarunning mette in assetto dinamico la propria vita, vincendo i fantasmi di solitudine profonda e vacuità esistenziale insidiosamente, nascoste dietro il clamore del consumismo sfrenato da cui siamo sollecitati e circondati, e rendendoci più propensi a trovare un Uno da perseguire che, se può essere di volta in volta reificato nel traguardo di un'ultramaratona, assume nello stesso tempo una valenza quasi mistica - come osserva Martucci - attraverso il continuo gioco del due che si fa Uno per poi tornare a scindersi in un due che tende nuovamente ad essere Uno.
Un gioco che finisce con il contaminare profondamente la mente dell'ultramaratonenta predisponendolo a vivere - con il suo esempio vivente - delle forme intense di religiosità spontanea.
Non è un caso che la pratica della corsa di lunga distanza sia stata assunta da alcuni movimenti religiosi orientali per la pratica meditativa: per capire questo concetto è sufficiente citare due esempi.
Quello - indubbiamente occidentalizzato - dello Sri Chimnoy Marathon Team, i cui membri accettando la guida del loro guru Sri Chimnoy vedono nella consuetudine della corsa di lunga distanza un potente strumento per la meditazione e la trascendenza; e quello - forse ancora più cogente - dei cosidetti "marathon monk" (anche conosciuti come monaci Kaihigyo appartenenti alla setta buddista Tendai) che – veri e propri atleti spirituali - dal loro tempio situato sulle pendici del Monte Hiei (che fronteggia Kyoto, antica capitale del Giappone) partono per lunghissime corse (su distanze variabili tra 40 e 100 chilometri in cicli di 100 consecutive per sette anni di seguito, nella forma più completa) a ritmi incredibili, che - se partecipassero a gare competitive, li renderebbero atleti di altissimo livello dell'endurance podistica, ma loro - interessati unicamente all'aspetto meditativo e alla ricerca dell'illuminazione, connessi alla loro pratica della corsa - non sono propensi a mescolarsi alla folla e perseverano nel correre in solitudine, senza avversari e senza spettatori, non essendo esentati nei periodi in cui si susseguono le loro performance giornaliere dal sottostare a tutti i doveri quotidiani inerenti alla loro condizione monastica.
Architettura dell'opera - Il libro di Antonello Martucci è diviso in diversi capitoli tematici, anche se poi in ciascuno di essi ritornano o sono anticipati i contenuti degli altri in un intreccio di tematiche ricorrenti (e anche questo intersecarsi è è anch'esso parte del graffitismo).
Nel primo capitolo (Il deserto della solitudine) si parla della solitudine e dell'esperienza della corsa come approfoondimento dell'esperienza della solitudine, ma anche come superamento di dell'isolamento esistenziale e modo per procedere verso la condivisione; nel secondo (L'ultra storia) Antonello prende le mosse dall'analisi/rievocazione di alcuni miti che fondano l'ultramaratona e soprattutto di alcune immagini metaforiche che consentono di rappresentare l'ultrarunner contemporaneo, spiegando alcuni "perché" della sua scelte sportive che naturalmente - in un unicum di sfumature - sono anche esistenziali e che - riportandolo alle origini - lo fanno un po' pellegrino, un po' guerriero, un po' "cercatore" e sempre nomade; nel terzo (Ultra filosofia) vengono presi in considerazione alcuni aspetti numerologici (e - per quel che concerne l'ultramaratoneta - l'Uno e il Due) e l'immagine primigenia della spirale come fondazione dell'esistere che porta, poi, alla riflessione sull'abbraccio (delle persone che ti abbracciano dandoti forza, ma anche da parte dei luoghi che - a volte - ti avvolgono in un loro abbraccio e ti trasmettono così la loro forza rinvigorente); nel quarto (Ultra emozioni) viene raccontato con brevi ed intensi flash, ricchi di emozioni, l'immergersi di Antonello nel mondo delle ultramaratone e il dipanarsi delle sue successive esperienze nell'arco di un anno all'incirca (dalla 100 km del Passatore 2009 alla 100 km di Seregno 2010), un periodo che ha visto il crescere e l'affinarsi delle sue attitudini di ultramaratoneta, assieme all'intrecciarsi e il crescere dei contatti con altri ultrarunner, fondando in lui l'esperienza dell'abbraccio, della condivisione e dell'egualitarismo in cui vi è la dimensione dell'essere in tanti che, pur diversi, si ritrovano eguali tra eguali a fare la stessa cosa, a vivere intensamente le stesse avventure sportive e, soprattutto, esistenziali e di Uomini.
L'ultimo capitolo, in particolare, rappresenta la sintesi tra l'elaborazione teorica e l'esperienza pratica della corsa che è fatta di cose, di luoghi, di eventi, di storie, di miti, di incontri e di persone, che rendono la partecipazione ad ogni singola manifestazione podistica di endurance una cosa unica ed irripetibile, che lascia nell'animo una propria inconfondibile traccia di segni e graffiti, e in ogni caso un'esperienza che travalica di gran lunga la semplice partecipazione sportiva e finisce con il contribuire alla costruzione di una filosofia di vita.
Il volume smilzo, ma denso (138 pagine) è corredato di una prefazione scritta da Andrea Accorsi, anche lui ultrarunner-scrittore (all'attivo due romanzi "di corsa": "12 ore" e il recente "Fino all'ultimo fiato").
Correndo sulle lunghe distanze si attivano i pensieri: è un processo strano che accade a tutti quelli che praticano la corsa di endurance, anche se con intensità diverse e in forme diverse, a volte senza consapevolezza.
Murakami Haruki, un grande scrittore giapponese contemporaneo che, da decenni, pratica la corsa lunghissima (maratona, con qualche sporadica incursione nel territorio delle ultramaratone e del triathlon) ha descritto in un suo libro autobiografico (L'arte di correre, Einaudi, 2009) questo singolare fenomeno, specificando che i pensieri che passano per la mente, mentre si corre, sono come le nuvole che - e qui viene naturalmente in mente la famosa canzone "recitata" del nostro Fabrizio De André - "vanno, vengono, indugiano, poi se ne vanno e talvolta ritornano".
Non c'è mai alcuna preordinazione in questi pensieri, sogni, visioni. che non possono essere controllati, né decisi in anticipo. Per alcuni aspetti, come sa chi ha praticato la corsa in solitudine, sono come dei ghirigori o arabeschi, tracciati su di uno sfondo bianco, o come ombre proiettate da una sorgente di luce su una superficie di stoffa, ombre che s'allungano, diventando gigantesche, o che si rimpicciolliscono a seconda della distanza interposta tra la figura, la sorgente luminosa e lo schermo, come ben sa chi ha avuto modo di assistere ad uno spettacolo di teatro delle ombre.
Correre ci predispone ad un'esperienza intensa di interiorità e meditazione, rendendoci più propensi - anche se in modi decisamente più intuitivi che razionali, ad entrare in contatto con la trascendenza o con il divino immanente nelle cose che ci circondano: la nostra mente si fa più permeabile, trasformandosi in un canale di comunicazione energetica tra la nostra singolarità e l'immensità dell'universo e, nello stesso tempo, ci consente di entrare in contatto pulsante con l'interiorità e con i nostri serbatoi pù riposti e profondi di ricordi.
Qualche volta una simile esperienza può diventare tanto intensa da sfociare in forme assimilabili alle cosiddette "estasi selvagge", quegli stati alterati di coscienza che, senza la mediazione di sostanze chimiche esogene, possono verificarsi in individui comuni al di fuori delle cornici epistemiche delle religioni codificate.
Alcuni, tornando dalla loro corsa, arricchiti da questa esperienza interiore possono sentire l'esigenza di scriverne, per comunicarla meglio a se stessi, innanzitutto, per evitare che questo "tesoro" di pensieri ed emozioni vada disperso. E, secondariamente, per cercare di comunicarlo ad altri, nell'ottica della condivisione della propria esperienza.
E' quello che ha fatto, appunto, Antonello Martucci, prima scrivendo i suoi ghirigori mentali ed emozionali, poi dandoli alle stampe in questa forma. I ghirigori di pensieri, riflessioni ed emozioni, tracciati grazie a migliaia di chilometri percorsi in gara e in allenamento, sono potenzialmente infiniti e dai mille volti.
La scrittura e la costruzione d'un volume impongono a chi scrive, tuttavia, di dare una struttura ai mille volti dei propri graffiti mentali, tracciando una strada che faccia da filo conduttore all'interno di una struttura che rischierebbe di essere altrimenti labirintica.
E' stato così che Antonello Martucci ha scelto come elemento selezionatore e "ordinatore" un criterio temporale che è quello della cronologia del suo approccio all'esperienza dell'ultramaratona.
Cos'è l'esperienza del runner di endurance, come è descrivibile?
Antonello Martucci, avvalendosi di diversi riferimenti letterari o anche citando la parola scritta di altri runner (come ad esempio, quella di "Diavolo Rosso" Vitaliano Grassi), mette in campo diverse metafore: quella dell'eremita/anacoreta, quella del pellegrino, del guerriero, superuomo, ma anche quella dell'uomo "eguale tra eguali" (che propone l'immagine dell'ultramaratona come "incubatore" di democrazia non teorizzata ma vissuta concretamente attraverso l'empatia, la solidarietà e la condivisione, di gioie, passione, sangue, sudore e lacrime.
L'ultramaratoneta è un po' tutte queste cose e vivendo l'esperienza dell'ultrarunning mette in assetto dinamico la propria vita, vincendo i fantasmi di solitudine profonda e vacuità esistenziale insidiosamente, nascoste dietro il clamore del consumismo sfrenato da cui siamo sollecitati e circondati, e rendendoci più propensi a trovare un Uno da perseguire che, se può essere di volta in volta reificato nel traguardo di un'ultramaratona, assume nello stesso tempo una valenza quasi mistica - come osserva Martucci - attraverso il continuo gioco del due che si fa Uno per poi tornare a scindersi in un due che tende nuovamente ad essere Uno.
Un gioco che finisce con il contaminare profondamente la mente dell'ultramaratonenta predisponendolo a vivere - con il suo esempio vivente - delle forme intense di religiosità spontanea.
Non è un caso che la pratica della corsa di lunga distanza sia stata assunta da alcuni movimenti religiosi orientali per la pratica meditativa: per capire questo concetto è sufficiente citare due esempi.
Quello - indubbiamente occidentalizzato - dello Sri Chimnoy Marathon Team, i cui membri accettando la guida del loro guru Sri Chimnoy vedono nella consuetudine della corsa di lunga distanza un potente strumento per la meditazione e la trascendenza; e quello - forse ancora più cogente - dei cosidetti "marathon monk" (anche conosciuti come monaci Kaihigyo appartenenti alla setta buddista Tendai) che – veri e propri atleti spirituali - dal loro tempio situato sulle pendici del Monte Hiei (che fronteggia Kyoto, antica capitale del Giappone) partono per lunghissime corse (su distanze variabili tra 40 e 100 chilometri in cicli di 100 consecutive per sette anni di seguito, nella forma più completa) a ritmi incredibili, che - se partecipassero a gare competitive, li renderebbero atleti di altissimo livello dell'endurance podistica, ma loro - interessati unicamente all'aspetto meditativo e alla ricerca dell'illuminazione, connessi alla loro pratica della corsa - non sono propensi a mescolarsi alla folla e perseverano nel correre in solitudine, senza avversari e senza spettatori, non essendo esentati nei periodi in cui si susseguono le loro performance giornaliere dal sottostare a tutti i doveri quotidiani inerenti alla loro condizione monastica.
Architettura dell'opera - Il libro di Antonello Martucci è diviso in diversi capitoli tematici, anche se poi in ciascuno di essi ritornano o sono anticipati i contenuti degli altri in un intreccio di tematiche ricorrenti (e anche questo intersecarsi è è anch'esso parte del graffitismo).
Nel primo capitolo (Il deserto della solitudine) si parla della solitudine e dell'esperienza della corsa come approfoondimento dell'esperienza della solitudine, ma anche come superamento di dell'isolamento esistenziale e modo per procedere verso la condivisione; nel secondo (L'ultra storia) Antonello prende le mosse dall'analisi/rievocazione di alcuni miti che fondano l'ultramaratona e soprattutto di alcune immagini metaforiche che consentono di rappresentare l'ultrarunner contemporaneo, spiegando alcuni "perché" della sua scelte sportive che naturalmente - in un unicum di sfumature - sono anche esistenziali e che - riportandolo alle origini - lo fanno un po' pellegrino, un po' guerriero, un po' "cercatore" e sempre nomade; nel terzo (Ultra filosofia) vengono presi in considerazione alcuni aspetti numerologici (e - per quel che concerne l'ultramaratoneta - l'Uno e il Due) e l'immagine primigenia della spirale come fondazione dell'esistere che porta, poi, alla riflessione sull'abbraccio (delle persone che ti abbracciano dandoti forza, ma anche da parte dei luoghi che - a volte - ti avvolgono in un loro abbraccio e ti trasmettono così la loro forza rinvigorente); nel quarto (Ultra emozioni) viene raccontato con brevi ed intensi flash, ricchi di emozioni, l'immergersi di Antonello nel mondo delle ultramaratone e il dipanarsi delle sue successive esperienze nell'arco di un anno all'incirca (dalla 100 km del Passatore 2009 alla 100 km di Seregno 2010), un periodo che ha visto il crescere e l'affinarsi delle sue attitudini di ultramaratoneta, assieme all'intrecciarsi e il crescere dei contatti con altri ultrarunner, fondando in lui l'esperienza dell'abbraccio, della condivisione e dell'egualitarismo in cui vi è la dimensione dell'essere in tanti che, pur diversi, si ritrovano eguali tra eguali a fare la stessa cosa, a vivere intensamente le stesse avventure sportive e, soprattutto, esistenziali e di Uomini.
L'ultimo capitolo, in particolare, rappresenta la sintesi tra l'elaborazione teorica e l'esperienza pratica della corsa che è fatta di cose, di luoghi, di eventi, di storie, di miti, di incontri e di persone, che rendono la partecipazione ad ogni singola manifestazione podistica di endurance una cosa unica ed irripetibile, che lascia nell'animo una propria inconfondibile traccia di segni e graffiti, e in ogni caso un'esperienza che travalica di gran lunga la semplice partecipazione sportiva e finisce con il contribuire alla costruzione di una filosofia di vita.
Il volume smilzo, ma denso (138 pagine) è corredato di una prefazione scritta da Andrea Accorsi, anche lui ultrarunner-scrittore (all'attivo due romanzi "di corsa": "12 ore" e il recente "Fino all'ultimo fiato").
Fatica e solitudine appaiono come due elementi essenziali (e, a volte, indissolubili) per compenetrare la vicenda umana, quando essa si pone al centro della nostra attenzione, reclamando il suo legittimo ruolo prioritario. (...)Non possiamo che ringraziare Antonello Martucci del bel dono che ci ha fatto con il suo "Graffiti di ultramaratona".
Rosi Manari [qui il riferimento è al volume Hanno il sorriso e la malinconia, per i tipi di Aliberti, 2008], scrittrice e appassionata studiosa del territorio e della sua memoria storica, ha detto a suo tempo "La corsa è un moto dell'anima".
Antonello Martucci ha avuto il coraggio di descriverlo attraverso il tempo, quel moto. Nella visione personalissima dell'ultramaratona, lui non complica quel che è semplice, ma vede quel che c'è da vedere. (dalla prefazione di Andrea Accorsi, pp.13-14).
beato te che l'hai letto...Io personalmente ho avuto una brutta esperienza. L'ho pagato e ordinato a novembre...e non mi è mai arrivato.
RispondiEliminaLe mie mail a mondoultra sono state vane. Mi promettevano sempre che me lo avrebbero spedito, invece il nulla più totale.
Peccato, mi aspettavo maggior serietà...e da bovesana la delusione è maggiore ancora.
saluti,
simona