Claudio Vergnani è uno scrittore emergente: dopo una vita in cui s’è dedicato alle cose più disparate sfuggendole nel contempo, sembra aver trovato nella passione per la scrittura un filo conduttore e una sorta di “porto” in cui soffermarsi. Il 18° vampiro (Gargoyle, 2009), suo poderoso esordio, offre una capacità di scrittura che va indubbiamente al di là della letteratura di genere e – come si intuisce – che potrà produrre opere di più ampio respiro. Il romanzo ci mostra, forse, anche qualcosa dell’autore attraverso il protagonista (che possiede un po’ alcune qualità intermedie tra il soldato di ventura e l’ebreo errante) e altri suoi comprimari (come “l’amica”, Vergy o Gabriele), costantemente in “fuga” o comunque condannati a una vita “nomade” nel perseguimento d’una missione comune che è quella di sopprimere quanti più vampiri possibile.
In questo senso, siamo di fronte a una vicenda di veri “ammazzavampiri” che si muovono tra Modena, Venezia e l’Appenino tosco-emiliano. E, per far ciò, sono costretti a condurre un’esistenza randagia, senza troppi legami, senza un lavoro stabile, senza amori: la loro è una vita declinata in una condizione di costante precarietà e di continua esposizione al pericolo. Ciò che è apparentemente routine, può in effetti trasformarsi di colpo in una situazione di pericolo, dal momento che anche quanto gli ammazzavampiri credono di sapere è molto fragile e parcellare: in realtà, come uno di loro ammetterà in seguito «...dei vampiri non sappiamo nulla».
Dei vampiri viene data per scontata l’esistenza: semplicemente, ci sono. Vergnani non si preoccupa di spiegarci da dove siano venuti e quando. I suoi vampiri sono del tutto originali: innanzitutto, sono ferocissimi – il “classico” morso sul collo, con l’ausilio di canini appuntiti e aguzzi, è al confronto una pratica gentile e quasi erotica –, vampiri che lacerano e straziano corpi, abbeverandosi del sangue delle loro vittime come da un idrante reciso. In secondo luogo, sono assai simili agli zombie sia nel loro aspetto “verminoso” e disfatto, sia nel loro modus operandi.
Gli amazzavampiri modenesi sembrano essere i perfetti praticanti delle indicazioni enciclopediche di autodifesa contenute in Manuale per sopravvivere agli zombi (Max Brooks, Einaudi, 2006): i vampiri-zombie, peraltro, rappresentano un avamposto della genìa dei vampiri e ne costituiscono soltanto la fanteria d’assalto. Dietro s’intravede un secondo livello di “eletti”: esseri potenti e dalle molte vite, come Grimjank, mutuato da una famoso racconto horror di W.T. Webb (che, di vite, ne ha avute ben 18) e che vive in una rocca antica, oppure come i “Maestri” – maggiormente rispondenti ai canoni del vampiro “classico” – crudeli e vendicativi e implacabili al punto di scatenare una cupa apocalisse finale. La storia è, poi, in realtà la narrazione delle vicissitudini on the road di questi tormentati ammazzavampiri che non trovano mai quiete e la cui esistenza va incontro a livelli di crescente complicazione, via via che i vampiri realizzano che essi rappresentano delle “moleste minacce” al loro status quo, dunque di cui sbarazzarsi con scherzi macabri e sinistri.
Vergnani si sofferma minuziosamente a descrivere i movimenti, il modo di organizzarsi, le perplessità ed incertezze di questo gruppo di trasandati avventurieri, in un flusso lento e ipnotizzante dove le apparizioni dei vampiri finiscono con l’assumere un ruolo marginale, mai dominante. Personaggi dal passato militare (e ciò riflette alcune delle fugaci esperienze di vita dell’autore), con la stoffa degli anti-eroi, sostanzialmente sfigati e marginalizzati dalla vita: se non ci fosse l’obiettivo di distruggere i succiasangue (che non ha alcuna risonanza pubblica, e dunque non porta ad alcun riconoscimento) non avrebbero nulla in mano e sarebbero delle nullità.
Claudio Vergnani in quest’opera mostra indubbiamente una grande creatività nel modo in cui manipola gli elementi propri del genere: non soggiace a quasi nessuna delle convenzioni letterarie che a esso sono proprie (a parte il topos dei vampiri=creature della notte, ma anche questo utilizzato in modo non rigido) e ricorre ampiamente alla contaminazione per dar vita a figure sui generis che suggeriscono una pagina nuova e assolutamente originale nella letteratura horror.
Interessante la modalità di una scrittura molto nello stile hard-boiled che presenta, soprattutto all’inizio e alla fine, due diversi piani temporali che si intersecano tra loro con un continuo rimando dall’uno all’altro (e rimarcati dall’uso di un differente carattere di stampa): un artificio che consente all’autore di coprire un arco di tempo molto maggiore.
Il volume, con delle notazioni redazionale precise ed esaurienti – secondo lo stile consolidato della casa editrice – è arricchita di una stimolante introduzione dello sceneggiatore e saggista Dario Maria Gulli.
Esce adesso, sempre per i tipi di Gargoyle Books, Il 36° giusto che si pone come un seguito delle vicende narrate nel primo romanzo: nella conclusione de Il 18° vampiro c’erano già le premesse di una ripresa della storia degli ammazzavampiri modenesi, piombati nell’occhio del ciclone e ora al centro dell’attenzione dell’antica genìa dei “Maestri”.
Dal risguardo di copertina de Il 18° vampiro
«...sbarco il lunario uccidendo vampiri. Non è un compito difficile, ed è sempre meglio che lavorare. lo e i miei compagni li distruggiamo durante il giorno, mentre dormono il loro sonno di morte, nascosti nei loro miserabili covi. Non possono reagire. Un paio di colpi di mazzuolo ed è fatta. Forse non è il mestiere più bello del mondo, ma è facile e socialmente utile. Non occorrono coraggio o particolare determinazione. Non serve essere animati dal sacro fuoco della giustizia. Serve solo un po’ di pratica e tanta disperazione. Per certi versi è come la disinfestazione di topi o insetti: fai quello che devi fare, sopportando il disgusto, e poi te ne torni a casa. Sempre che non si finisca per esagerare, per passare la misura. Il problema è che non sapevo che esistesse un confine. L’ho saputo solo dopo averlo oltrepassato. E, a quel punto, tornare indietro non era più possibile...»
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