domenica 12 ottobre 2008

"The mist": nella nebbia accadono cose e vivono mostri


La mattina dopo che una violenta tempesta s'é abbattuta su di una cittadina del Maine, una strana nebbia avvolge tutta la zona. Il fenomeno tiene prigionieri i clienti di un supermercato, all'interno del quale tra i rifiugiati si sviluppa un progress di tensione e azione, sino al tentativo di liberazione e di fuga da parte di un gruppetto solidale di personaggi più intraprendenti.

Chi abbia letto l'omonimo romanzo breve di Stephen King, ricorderà di esserne rimasto affascinato da questa storia e, nello stesso tempo, orripilato. I racconti del "Re", per quanto estremi e paradossali, piacciono sempre perchè sono confezionati da un grande affabulatore che rifugge dalle soluzioni troppo facili e preconfezionate e che, considerando l'effetto dell'esplicitazione diretta di dettagli orrorifici solo un condimento" alla narrazione da utilizzare con parsimonia, ne fa un uso sapiente per creare in taluni casi una sorta di catarsi rispetto alla tensione che è andata crescendo in modo intollerabile attraverso l'atmosfera del "non detto". Il racconto di Stephen King, "Nebbia" (comparso in una delle periodiche antologie che il Nostro sforna al ritmo medio di una ogni sette anni, per la precisione "Scheletri", edito in Italia dalla Sperling & Kupfer nel 1989) propone una situazione "estrema" nella quale secondo uno schema che gli è usuale, egli esamina le reazioni diverse dei vari personaggi che mette in scena, aprendo per ciascuno di essi dei "sipari" narrativi che a ciascuno di essi danno spessore e forza.
Come capita spesso nelle sue opere, egli tende a valorizzare la funzione catartica del gruppo coeso e compatto (il cui prototipo è quello del gruppo adolescenziale: si veda, appunto, la narrazione torrenziale di "IT" tutta centrata su questo leit-motiv) come antidoto al male misterioso che irrompe nella scena con prepotenza, in maniera dirompente e per ragioni che il più delle volte rimangono misteriose.
Il racconto in questione contiene, in piccolo, la maggior parte dei topoi narrativi kinghiani e si legge godibilmente sino ad una conclusione pessimistica che però lascia spazio ad un filo di speranza consolotaria, che - alla fine - per il gruppetto di eroi, scampato ai pericoli, ci potrà essere una forma di salvezza.
Il recente film di Darabont (lo stesso regista che ha diretto "il miglio verde") segue pedissequamente la trama kinghiana, ma senza l'anima che la caratterizza, senza slanci e fantasia.
Gli elementi della storia scritta (salvo il finale che, nel film, è troppo consolotario, per quanto amaro) ci sono tutti, ma realizzati a forza di effetti speciali; stesso discorso dicasi per il modo in cui è trattata la situazione di prigionia claustrofobica all'interno del supermercato; oppure della foga fondamentalista della predicatrice che ciancia, arringando sulla fine del mondo ormai prossima, leggendo brani dell'Apocalisse e invitando tutti i pecccatori a pentirsi.
Manca tuttavia lo spirito della narrazione kinghiana, con un effetto che, facendosi a tratti soporifero, viene interrotto da un eccesso di attenzione "splatter" alle mille ed una morti riservate ad una parte dei superstiti.
A volte trasfomare in film un testo letterario pedissequamente, ne rappresenta la morte.
Un'interpretazione visionaria e creativa, viceversa, lo può valorizzare. Come accadde, ad esempio, in modo eclatante con la rielaborazione cinematografica di "Shining" da parte di Kubrick, peraltro contestata da King che sui suoi testi non ama rielaborazioni.
Il risultato è pertanto quello di un film poco più che mediocre che deve il suo effetto sugli spettatori soprattutto all'abbondanza dei dettagli splatter, ma anche al tentativo di lettura dello svilupparsi delle dinamiche interpersonali in una situazione claustrofobiche mentre si trovano sotto assedio da parte di forze temibili e sconosciute (il che poi dà anche una chiave di lettura sociologica di una parte dell'America di oggi: non è un caso che sia proprio l'esercito a risolvere la situazione).
Il messaggio accusatorio e di denuncia, che il regista formula contro i demiurghi irresponsabili, rimane però debole e pretestuoso, specie quando viene tirato in ballo "Il progetto", probabilmente causa diretta della situazione di minaccia. Il monito contro gli scienzati che fanno cose di cui non conoscono gli effetti non viene adeguatamente sviluppato, rimanendo debole, se non attraverso l'ira fondamentalista della predicatrice pazza: e questo è un po' poco. L'aver tentato di "aprire" una porta di comunicazione tra il nostro pianeta e altri mondi paralleli, causando il riversarsi di sanguinarie creature aliene nella nostra realtà, è peraltro un tema che S. King che ha sviluppato in un suo più recente romanzo ("From a Buick eight"),in cui un vecchio modello di Buick - per motivi misteriosi ed indecifrabili - funziona come una porta tra mondi diversi.

La recensione su www.mymovies.it
Un progress di tensione e azione in cui l'effetto speciale nasce dagli abissi dell'animo umano
Dave Drayton vive con la moglie e il figlioletto Billy in una casa fuori città. Subito dopo una tempesta particolarmente violenta inizia a diffondersi una nebbia che non sembra avere ragioni meteorologiche. Insieme al vicino di casa Brent Norton (col quale non ha buoni rapporti) e a Billy Dave si dirige con il suo fuoristrada verso il supermercato locale. Lungo il percorso incontrano mezzi militari che si dirigono verso la nebbia. Brent fa allora riferimento a un misterioso Progetto. Ben presto tutti gli occupanti del supermercato si troveranno avvolti dalla nebbia all'interno della quale si muovono creature mostruose. L'incubo ha inizio.
Stephen King è un autore tanto fortunato sul piano letterario quanto poco accorto nell'assegnare i diritti delle proprie opere per la trasposizione sullo schermo. In buona parte dei casi il suo già cospicuo conto in banca deve essere aumentato ma non è certo aumentata la stima dei frequentatori delle sale. I film 'da King' sono spesso letture superficiali della struttura di base delle sue opere dalle quali sono stati espunti tutti gli approfondimenti psicologici di cui l'autore è abile artefice.
Per questo film tratto da un racconto incluso nella raccolta "Scheletri" invece siamo di fronte a una delle (purtroppo) non frequenti eccezioni. Darabont, già esperto 'kinghiano', riesce a offrire un efficace saggio di come si possa trasporre un testo letterario sullo schermo potenziandone la valenza simbolica. Se l'assunto di partenza è già stato sperimentato da Maestri (vedi ad esempio Buñuel con L'angelo sterminatore) e non grazie alla costrizione iniziale di un gruppo di individualità diverse costrette da un evento drammatico a condividere un spazio chiuso, il regista riesce a trarre da questa idea di partenza l'occasione per rileggere le dinamiche interpersonali e, forse, per fare qualcosa di più.
Man mano che il film procede e che l'orrore si fa più tangibile ciò che colpisce nel profondo lo spettatore non sono tanto i mostri assetati di sangue a cui tanto cinema ci ha in qualche modo abituato. Essi sono e restano uno strumento. Ciò che a Darabont interessa è la lettura dell'America di oggi (ma, con qualche variazione non sostanziale, potremmo aggiungere di tutto il mondo occidentale) in cui l'iniziale solidarietà contro la distruzione imminente finisce con il frantumarsi in una miriade di prese di posizione dove l'ego e i condizionamenti sociali di origine prendono il sopravvento. Si può essere razionali non negando l'evidenza nei confronti dell'impensabile ma si può anche invece decidere (proprio in nome di una supposta razionalità) di chiudere gli occhi dinanzi all'evidenza. Si può esasperare un misticismo fideistico che ha tutte le premesse della crudeltà così come consentire a risentimenti a lungo covati di venire in superficie. Tutto questo viene portato sullo schermo avendo sempre presente lo sviluppo dell'azione e costruendo un progress di tensione in cui l'effetto speciale nasce dagli abissi dell'animo umano, dalle sue pulsioni più profonde e anche dalle sue contraddizioni. È grazie a questo progressivo scavo delle singole psicologie che il j'accuse contro esperimenti top secret si affianca senza alcun moralismo alla compassione (nel senso più alto del termine) nei confronti di Dave. Che dovrà affrontare l'orrore più insostenibile. Avvertenza per gli appassionati: fin dalla prima scena Darabont paga il suo debito di riconoscenza a un maestro del genere. Non vi sarà difficile scoprire in quale modo.

Scheda film
Regista: Frank Darabont.
Interpreti principali: Thomas Jane, Marcia Gay Harden, Andre Braugher, Laurie Holden, Toby Jones, Jeff De Munn, Frances Sternhagen, William Sadler, Nathan Gamble, Alexa Davalos, Sam Witwer, Chris Owen, Robert Treveiler, David Jensen. Genere Horror, colore, 127 minuti.
Produzione USA 2007. -
Distribuzione Key Films
Vietato ai minori di 14 anni.




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