lunedì 25 ottobre 2010

Diario Islandese. Appunti di viaggio dell'estate del 2007


Quelli che seguono sono gli appunti che andavo scrivendo sul PC portatile, durante il viaggio in Islanda nell’estate 2007.
Ero già stato in Islanda, tantissimi anni prima (una vita prima, si potrebbe dire) ed è stata una grande emozione tornarci.
Ho rivisto alcune cose che mi erano già note e che, ciò nonostante, mi sono sembrate diverse, perché tanto acqua era trascorsa nel frattempo anche per me.
Ma ho visto anche dei posti assolutamente nuovi.
Diverso è stato il modo di viaggiare: allora, con pochi mezzi, viaggiavo a piedi e in autostop, pernottando negli ostelli e in scuole durante la pausa estiva attrezzate come foresteria: questa volta con un auto a noleggio.
Nel corso di circa 10 giorni, abbiamo compiuto l’intero periplo dell’Islanda, spingendosi sino alla remota regione dei fiordi nord-occidentali.
E’ stata una splendida esperienza: la sua bellezza è consistita soprattutto nel fatto che questa volta c’era con me mio figlio, ormai abbastanza grande per potere apprezzare un viaggio “on the road” e un po’ avventuroso.
Una sorta di passaggio generazionale: anche se, a conti fatti, non so se il viaggio gli sia veramente piaciuto o se, piuttosto, non si sia annoiato.
Riguardando le foto che feci durante il viaggio, la mia impressione è che si sia divertito: ha sempre un volto disteso e sereno, corre, ride, fa le smorfie (quelle smorfie che ci fotografavamo a vicenda, sghignazzando poi a crepapelle per quelle che venivano più buffe e grottesche). Può anche darsi di no: ma questo sinceramente non lo posso dire.
Voglio sperare che il viaggio gli sia piaciuto e che un giorno se ne possa ricordare con piacere e magari anche con un pizzico di nostalgia, al punto da desiderare di poter ritornare negli stessi luoghi, così come ho fatto io a distanza di quasi trent'anni.
Cosa mi ha spinto a tornare alla ricerca di questi appunti islandesi? Tempo fa e di nuovo recentemente ho guardato un video dei Sigur Ross, un gruppo musicale islandese: il film racconta appunto il loro ritorno in terra d'islanda, nella loro Terra, dopo una lunga tournée musicale all'estero. Per celebrare questo ritorno, i Sigur Ross decisero di portare il loro concerto in tour per i luoghi più significativi e simbolici dell'Islanda, con una serie di spettacoli gratuiti realizzati solo per il puro piacere di farli, facendoli divenire spunto per stare assieme alla gente del posto (la loro gente) in una meravigliosa esperienza di condivisione.
Guardando il film, in diverse circostanze ho avuto modo di vedere ogni volta, gli stessi luoghi attraverso cui ero passato.
E anch'io ho sperimentato la nostalgia di quei luoghi e, per questo, sono voluto andare alla ricerca delle mie impressioni di viaggio, per ricalarmi dentro quell'atmosfera.
Il CD (con DVD) dei Sigur Ross, significativamente si chiama "Heima" (Patria) e lo consiglio vivamente a tutti quanti.
Se non si è ancora avuta l'opportunità di viaggiare attraverso l'Islanda, vederlo fa venire la voglia di farlo, immediatamente.
Questo il link su uno dei passaggi contenuti nel film.


1.
Le chiese di Rejkyavik

Ci sono poche chiese qui a Reykjavik: una cattolica, una luterana, e due o tre minori. la popolazione della città, capitale dell'Islanda, assomma da sola a quasi il 70% del totale degli abitanti dell'intera isola (circa 115.000 su 300.000).
In Italia e nei paesi cattolici per servire la stessa popolazione ci sarebbero decine di edifici sacri.
Forse questa sobrietà deriva dalle caratteristiche di un popolo che ha sempre dovuto sottrarre faticosamente alla natura tutto ciò che serviva per andare avanti. Poche chiese costruite in pietra o in cemento: questi ultimi costruiti in epoca recente come, ad esempio, la Haldimirkja Kirkja costruita proprio alle spalle del monumento di inizio secolo dedicato al navigatore vichingo che secondo le scritture delle antiche saghe islandesi si sarebbe spinto sino alla mitica Vinland, l'odierna Terranova.
Che siano di antica costruzione o di moderna fattura (come quelle severamente rappresentate nei quartieri residenziali della città di più recente costruzione), esprimono - questi edifici - una grande sacralità senza pompa, ispirate come sono alla sobrietà pur nella solidità della costruzione: il loro stile neo-gotico trasmette al visitatore un'immediata sensazione di ascesa verso l'alto, anche se - nello stesso tempo - la grande luminosità degli interni esprime il desiderio (dei costruttori e dei fedeli che le frequentano) e il bisogno ben più antico di captare il sole, di esserne inondati dai suoi raggi.
I loro pavimenti di pietra, rallegrati da fasci di luce che piovono copiosi dalle strette vetrate, non comunicano una sensazione di freddo, bensì di calore e di conforto.

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2.
Contro il freddo ed il buio, allegria e affabilità di modi

Gli Islandesi sono un popolo allegro, gentile, affabile: sostituiscono con il calore dei modi e con lo slancio nei confronti dell'altro ciò che la natura non ha dato loro.
Vivono in un paese freddo e buio per gran parte dell'anno: un islandese ha confidato ad un viaggiatore, proveniente da un paese molto più a sud ed appena giunto nella sua terra, che l'estate - per loro - è una stagione davvero effimera, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di godere in pieno della luce del sole. Trascorsi appena quattro mesi (da maggio a fine agosto, quando le giornate sono lunghissime perché il sole non scende mai sotto la linea dell'orizzonte - maggio e giugno - oppure scende di poco per ripresentarsi dopo poche ore appena di una notte che non diventa mai veramente buia), le giornate (intese come ore di luce disponibili) si fanno sempre più brevi, sino al periodo triste e buio della parte centrale dell'inverno (dicembre-gennaio), quando il sole sorge a mezzogiorno per tramontare definitivamente attorno alle tre del pomeriggio (una nozione che, per chi vive in uno dei paesi che s’affacciano sul Mediterraneo, è davvero quasi impensabile).
Il buio, privando della percezione dei colori primari (che sono intimamente connessi con le emozioni) accresce la sensazione di freddo e desolazione. Forse per questo le case vengono dipinte di colori vivaci che con la loro brillantezza servono a ricordare la ricchezza della gamma cromatica dell’arcobaleno. Agli Islandesi non rimane altro da fare che riscaldarsi il cuore di gentilezza e buon umore. Per questo, è così frequente vedere un bel sorriso aleggiare sulle loro labbra. Altri non ce la fanno a sopravvivere al gelo dell'inverno e si tuffano nella consolazione effimera, ma devastante, dell'alcool.
Qui, a differenza di quanto accade presso altri popoli scandinavi in cui i cittadini sembrano chiudersi in un cupo isolamento, la salvezza viene dalla solidarietà reciproca e dall’operosità, qualità che contraddistinguono il popolo dell'Islanda, da sempre abituato ad una dura lotta per la sopravvivenza contro un ambiente ostile. Le temperature invernali non sono poi così rigide come in altri paesi del Nord, perché qui si sente l'effetto benefico della Corrente del golfo che stempera i rigori della latitudine (la Groenlandia che si spinge molto più a sud è ben più inospitale, proprio perché non ne è lambita) e non scendono mai al disotto dai -5° ai -10° (e, in alcune aree, come nella capitale Rejkyavik, è raro che scenda al disotto di +5°).
Il freddo, mescolato al buio della lunga notte artica (a volte ravvivato - come ricompensa - dalle fantasmagorie delle aurore boreali), tempra gli animi degli indigeni, rendendoli propensi a gioire del più piccolo raggio di sole e delle prime fioriture di primavera che quando è il momento giungono rigogliose. E' anche per questo che amano circondarsi, d’inverno, di piante e fiori finti (che cambiano ogni giorno, come se fossero freschi, appena colti) e di corone di rametti intrecciate con filari di lucine colorate e, d’estate, di piante da fiore: camminando per le loro città nel corso dei mesi estivi, è possibile ammirare meravigliose aiuole fiorite che trattengono e poi rilasciano in vivaci scale cromatiche il sole, anche nelle giornate in cui questo rimane nascosto da un cielo corruscato di nubi. Considerando le ristrettezze climatiche cui gli Islandesi sono sottoposti per “obbligo” di nascita, uno che vive a sud e che ha avuto il dono del sole pieno (in modo del tutto gratuito) per quasi 365 giorni all'anno, in fondo, non dovrebbe arrogarsi il diritto di lamentarsi se nel posto in cui vive fa troppo caldo d'estate, proprio prendendo ad esempio questo popolo del nord che, di anno in anno, d’inverno deve accontentarsi di quelle tre stentate ore di sole e sa attendere con pazienza e serenità d’animo l'arrivo dell'estate per poi godersela tutta in ogni singolo istante, come un dono prezioso del cielo e della sorte.

3.
Correre nel cuore dell’Islanda

Dopo una notte trascorsa in una guest house nel cuore dell’Islanda (a 28 km dalle imponenti cascate di Dettifoss, a nord ovest del Vatnajokull –il ghiacciaio più grande d’Europa), appena sveglio e animato da buona volontà, indosso indumenti e scarpette da corsa e me ne vado a fare un po’ di jogging. Fa freddo, perbacco!, come in uno dei nostri più freddi giorni invernali, tira un vento gelido e cade un’acquerugiola sottile ed impalpabile, la peggior forma di pioggia, perché non te ne accorgi quasi e subito senza capire come finisci con l’essere tutto inzuppato. La casetta a due piani in cui siamo stati ospitati è una tipica casa agricola islandese, tutta di legno, funzionale ed accogliente – per quanto antiquata, con il tetto spiovente, una ripida scaletta che conduce alle basse stanze da letto, confortevoli come tane; una costruzione al margine di un gruppetto di altre case simili e di edifici agricoli, al centro del nulla: da ogni parte si stende a perdita d’occhio un paesaggio sconfinato, piatto e vuoto e questa sensazione è accresciuta dal grigiore uniforme del cielo, dal fatto che niente sia in vista, e oggi nemmeno un animale intento al pascolo, benché queste siano fattorie agricole che hanno al centro della loro attività proprio la pastorizia. Per nulla contento d’immergermi in questo gelo, abbandonando il caldo confortevole della casetta-bomboniera che mi fa pensare a quella di Dorothy del mago di Oz, muovo i primi passi di corsa, volgendo le spalle al conforto delle abitazioni che, con il biancore delle pareti ed i vivaci colori di cui sono dipinti i tetti, risaltano nettamente sul grigiore del cielo e sul nero dei detriti lavici che occhieggiano tra le maglie dal rivestimento di stenta vegetazione che ricopre il terreno. Mi allontano, dunque, dalla piccola isola di civiltà, con un groppo in gola. Penso: potrei perdermi, non ritrovare più la via di casa e smarrirmi in questo nulla che sembra infinito.
Dopo alcune centinaia di metri lungo lo sterrato dal fondo di detriti lavici, nero e brullo, mi giro indietro a guardare e già le case non si vedono più, come inghiottite da un nulla minaccioso.
Continuo ad andare avanti: non un auto, non un rumore che indichi la presenza umana o delle bestie. Soltanto il fischio del vento nelle orecchie che canta ossessivamente la stessa strofa ed il rumore dei miei passi. Vado avanti per oltre mezzora e la sensazione angustiante d’essere immerso nel nulla, in un vuoto angoscioso, si fa sempre più forte ed intensa. Penso che non ho nemmeno il telefonino per chiamare qualcuno in aiuto se davvero dovessi perdermi, immagino scene tragiche, mi vedo intento a vagare senza costrutto per queste lande desolate, sino a morire di fame e di stenti. In questi casi, avere una fervida fantasia non è certo d’aiuto… Penso a come debba essere dura la vita di questi farmer islandesi che se ne stanno a vivere e a lavorare praticamente al centro del nulla. Penso alla benedizione della luce del sole quando il cielo non è coperto dalla coltre minacciosa di nubi. Mi viene da pensare anche a come deve essere duro abitare (e lavorare duramente) in queste lande d’inverno quando la luce del sole è così scarna e arriva con la sua benedizione soltanto poche ore al giorno.
Forse per questo gli islandesi amano addobbare le loro case con fiori anche finti (non importa) per avere chiazze di colore che rimandino all’idea della vita che brulica e palpita con i suoi mille colori e di lucine colorate e sfavillanti che tengono sempre pronte per accenderle anche al di fuori del periodo natalizio.
Quando faccio ritorno (anche se, in effetti, non ce ne sarebbe stato bisogno, all’andata avevo preso una serie di punti di riferimento per non smarrirmi) sono quasi contento di rivedere le casette tutte colorate che prima mi ero lasciate alle spalle: sotto il cielo corruscato ed immenso, sembrano piccine piccine, come i pezzi di un gioco di bambini, eppure sono tremendamente confortevoli e rassicuranti.
Due cani mi corrono incontri festosi per accogliermi e giocare a rincorrersi accanto a me, in un turbinio di vitale gioiosità.
(Dettifoss, il 11.08.2007)


4.
Correre in Islanda: alba, pecore e vento

Ricevo il saluto di un’alba dai colori strepitosi: il cielo si stria di rosa carico.
Poi, nell’ora in cui usciamo per correre un po’, sorge il sole. Il giorno della maratona di Rejkyavik s’avvicina e occorre tenersi in gamba… Siamo soltanto noi, io e Paola: il nostro albergo si trova su d’una strada asfaltata, ma, siccome siamo in un posto isolato per raggiungere il quale abbiamo percorso qualcosa come 400 chilometri in un'unica tirata, è come se fosse una baita di montagna. In queste prime ore del giorno, a voler essere generosi, passerà forse un auto ogni mezzora.
La strada, illuminata dai raggi radenti del sole che fanno tanta allegria è, dunque, tutta nostra. Senza alcun pericolo potremmo, volendo, correre al centro della carreggiata senza temere alcun male da parte di automobilisti dissennati. Ma - da bravi podisti - corriamo lungo il margine dell’asfalto tenendoci contromano: le abitudini di prudenza sono dure a morire.
Siamo soltanto noi: non è esatto, a dire il vero.
Oltre a noi, ci sono miriadi di paperelle che nuotano di primo mattino nelle acque increspate del fiordo la dove si frangono in lievi ondine su strette strisce di sabbia, con la compagnia di alcuni gabbiani che volteggiano capricciosamente e, infine, le pecorelle.
Già, le pecorelle, qui in Islanda, hanno un posto d’onore visto che in un censimento risalente al 1985 circa erano già circa 800.000, in tutta l’isola.
Le pecorelle le incontri dovunque: Se ne stanno in semi-libertà, avendo a disposizione distese sterminate di terreni su cui pascolare: dovunque giri in Islanda, vedi pecorelle. Sono autenticamente una compagnia costante, una presenza,
Dunque, nella nostra corsa ci hanno fatto compagnia tantissime pecorelle che ci osservavano curiose, in alcuni casi, allarmate. Alcune pascolavano, altre s’aggiravano indolenti piluccando qua e là, alla ricerca forse del boccone sfizioso, dopo essersi ben pasciute, altre ancora s’accingevano ad accosciarsi a terra per iniziare la loro beata ruminazione, dopo aver fatto il fatto il pieno (data l’ora del giorno, la loro prima colazione…), altre – più timide – nel vedere le nostre strane sagome – per loro decisamente insolite ed inquietanti – e le nostre ombre allungarsi minacciose sino a loro – fuggivano come fiocchi cotonosi spostati da una folata di vento (e, in fuga, si mostravano buffissime perché quando corrono all’unisono sembrano globi di lana svolazzante su gambine sottili come stuzzicadenti). Altre, infine, si spostavano isenza premura lungo le spiaggette preparandosi ad un piacevole picnic in riva al mare. Curiosi di vedere cosa sarebbe accaduto, abbiamo provato ad imitare il loro richiamo. Beeeeeee! Beeeeee!
Ci hanno guardato piegando la testina in basso con fare interrogativo, alcune hanno anche risposto con un “beeeee” giusto oppure abbiamo avuto l’impressione che, da brave comari quali sono, si parlassero tra loro: “Ma che vogliono ‘sti due balordi?” (tradotto approssimativamente dal pecorese).
La cosa veramente buffa è che le pecorine se ne stanno il più delle volte in gruppetti di tre: è raro veramente vederne una isolata. Se così è, dopo poco ne spuntano altre due (che non erano subito in vista). Forse ciò accade perché – come tanti altri mammiferi sociali - in tre costituiscono l’unità elementare del branco, perché in tre possono guardarsi meglio da tutte le diverse direzioni per proteggersi in maniera cooperativa dai pericoli. In effetti, in ogni gruppetto di tre, accadeva che ce n’era una che si drizzava in piedi e se ne stava ad osservarci attentissima, senza perdere nemmeno uno dei nostri movimenti, mentre le altre due continuavano a starsene intente nelle loro attività. A volte però davano anche l’idea di essere molto curisose nel loro modo, ludiche e gioiose nella fuga, poiché la loro corta coda si agitava come in uno scondizolio..
Insomma, la nostra corsa s’è svolta in compagnia delle paperelle, delle pecore e del vento che come ogni altro giorno ha soffiato furioso: poi, per il resto, abbiamo avuto la sensazione che questo posto, benché fossimo stranieri, ci appartenesse e ci accogliesse in un tutto armonioso con le altre creature viventi che lo abitano.
Alla fine, quando siamo rientrati in albergo, il nostro cuore era pieno della sensazione d’aver fatto qualcosa di più di un semplice allenamento e d’aver vissuto una profonda esperienza interiore.


5.
Islanda: pernottamento presso la fattoria di Raudsdal (fiordi nord-occidentali)

Una casa isolata e, di fronte, l’oceano vasto e sconfinato, indistinto nell’azzurrina lontananza il profilo montuoso della grande penisola Snaefellsnes.
Il fronte del mare s’è ritratto con la bassa marea e ha lasciato scoperta una larga striscia di sabbia chiara su cui spiccano sparsi come un gregge di pecore grossi massi neri.
Il vento soffia incessante e fa piegare l’erba che ricopre il soffice pendio che si stende tra il mare e l’erta montagna di nera lava.
Due cavalieri spingono i loro cavallini al passo sulla striscia di sabbia lambita dalle onde.
Pecorelle bianche, nere, con il manto bicolore, rigorosamente a gruppetti di tre se ne stanno a pascolare, mentre altre si sono accosciate e ruminano beate.
Sulla strada asfaltata più in basso, là dove finisce il pendio erboso, ogni tanto passa un’auto: nei momenti di punta, se ne vedono sfrecciare al massimo sei in un ora, ma nelle prime ore del mattino e la sera tardi ne potrà passare una ogni mezzora.
La cittadina più vicina che possa dirsi tale è a più di un’ora di viaggio in auto. Attorno, non c’è niente se non la nuda natura, i campi d’erba battuti dal vento, i monti di neri detriti vulcanici erosi dalle intemperie..
L’unico suono è l’ululato del vento e il fruscio dell’erba smossa di continuo.
Davanti al tavolo dove sto scrivendo c’è una grande finestra che s’affaccia sul mare infinito in cui leggere onde, mentre la marea va salendo pian piano, si infrangono con creste di spuma bianca. Subito fuori dalla finestra battuta dal sole del tramonto che poi scenderà di poco sotto la linea dell’orizzonte per lasciare soltanto un lieve chiarore sino al suo nuovo sorgere appena poche ore dopo c’è un impiantito di legno con un tavolo e delle sedie per chi volesse godere del calore del sole, appena più in un là, un grosso barbecue corroso dalla ruggine, ma con segni di uso recente, e un prato delimitato da una bassa staccionata di legno che serve a chiudere la dimensione domestica rispetto all’infinito del cielo e del mare.
Chi sta seduto a questo tavolo può apprezzare cose essenziali: il colore del cielo e del mare, il soffiare del vento, la pacata inquietudine delle onde che si infrangono, il passaggio delle auto che evocano luoghi lontani, eppure familiari, perché qui su quest’isola – in fondo – non ci sono molti luoghi in cui andare.
La staccionata serve a racchiudere l’infinito rassicurante nelle giornate di sole, ma ancora di più deve avere una funzione consolatoria nei mesi invernali, quando per lungo tempo il sole sale al disopra della linea dell’orizzonte soltanto per poche ore e per la maggior parte del tempo di ogni giorno domina una semi-oscurità dai colori smorti e bigi. Forse per questo le pareti della stanza sono intonacate di un bianco abbagliante, proprio per restituire allo sguardo reso opaco dalla mancanza di colori un po’ di luce. D’inverno, la staccionata serve a racchiudere uno spazio magico che tiene a bada i fantasmi del buio e della notte.


6. Correre in Islanda: la leggerezza che ti dona il vento

Siamo su d’un lungo nastro d’asfalto, anche oggi in corsa…
La strada si dipana tra verdissimi campi per la foraggiatura ed il pascolo ed una lunga spiaggia nero-grigia, su cui si frangono leggere onde capricciose. In lontananza, si intravede il profilo azzurrino dei monti di una lunga penisola che oggi raggiungeremo con un ferry per risparmiarci un centinaio di chilometri lungo un’interminabile sterrato. Là, basse nubi contornano le cime, qua è sereno. Qui non c’è più una sola nube a differenza di ieri, là invece sembrano essersi raccolte tutte. Perché, non so. La capricciosità dei venti, forse, oppure su questo versante dei fiordi il clima è più asciutto, chi sa!
Il nastro d’asfalto scorre sotto i nostri piedi, sparse sui campi le solite pecorelle ingentiliscono il paesaggio e fuggono veloci al nostro passaggio, cercando di mantenere sempre una distanza di sicurezza di un centinaio di metri. Fedeli alla logica del branco, si danno anche il richiamo non appena ci vedono.
Alcune si spingono in basso verso il mare; una, apparentemente isolata, è scesa laggiù sino ad un piccolo promontorio di roccia nera e sembra starsene appoggiata alla scabra parete, un puntolino bianco a ridosso della scogliera nera…
Il vento soffia incessante: ci sarà mai un giorno qui senza venti? E’ difficile pensarlo: comunque, è certo che il vento accresce il senso di solitudine e di malinconia; con il suo soffio costante porta via i pensieri, li stordisce e li ottunde, a volte opprime il petto. Però, nello stesso tempo, dà l’idea che tutto è movimento, tutto scorre: forse, per questo a questo paesaggio e a questo clima si addice così bene la corsa. Accresce il senso di leggerezza e ci fa pensare di poter essere trascinati via dal vento.
(15.08.2007)


7.
In attesa della Glitnir Reykjavik Marathon

Già, a distanza di più di 15 giorni dall giorno della maratona si respira a Rejkyavik, capitale di una nazione con la vocazione di cittadina quieta, tranquilla e a misura d’uomo, l’avvento della maratona.
La città è tappezzata di grandi manifesti che raffigurano giovani uomini e donne in abbigliamento sportivo dai grandi piedoni sollevati intenti in un gesto che dovrebbe essere quello della corsa, ma che appare come una sua divertente parodia. I corridori sono ripresi con un grandangolo dal basso, una ripresa che fa diventare davvero enormi i piedi calzati in scarpette di corsa di cui viene ad essere in primo piano il battistrada. I corridori esprimono un’idea di gioiosità e spiccano dovunque sulle pareti di alcuni edifici pubblici in formato gigantografia, sulle paratie laterali degli autobus, sulle pareti laterali delle pensiline dei mezzi pubblici. Dopo che hai capito che si tratta di immagini promozionali della prossima maratona, non puoi più fare a meno di notarli…
La città non sembra particolarmente ansiosa di vedere lo svolgersi della maratona ma nemmeno ostentatamente respingente.
Intanto, in attesa del marathon-day chi è arrivato in terra d’Islanda con un certo anticipo non può che starsene a curiosare in giro e ad esplorare alcuni degli splendidi scenari naturali che questa immensa isola nordica offre al viaggiatore. Tra il 4 e il 6 Agosto hanno avuto luogo le celebrazioni del Ferragosto degli Islandesi, mentre alla fine della settimana successiva avrà luogo nell’arco di tre giorni la ben nota manifestazione del Gay-pride internazionale che ormai da alcuni anni si celebra qui in Islanda, mentre nello stesso giorno della maratona si svolge il festival nazionale dei saltimbanchi e dei teatranti da strada (busker) che attrae da ogni dove la popolazione dell'Islanda.
Questo è uno dei motivi per cui i maratoneti che arrivano da altre nazioni e che non hanno avuto l'accorgimento di prenotare con molto anticipo, hanno molte difficoltà a trovare un alloggio a prezzi convenienti.


8.
18 Agosto 2007
Glitnis Reykjavik international marathon


Nella fredda Islanda,
la Glitnis Reykjavik Marathon
ridente ed accattivante


Quella di Reykjavik è davvero una maratona internazionale dall’aspetto familiare ed accattivante.
Modesti i risultati delle due competitive maggiori da parte dei top runner, mentre è grande il successo di partecipazione. Tanti gli Italiani che l’hanno corsa.
Una certa preoccupazione ha pervaso l'attesa di questa maratona: un Italiano - nostro conoscente che aveva partecipato alla precedente edizione - nel raccomandarcela, ci aveva però detto: "Badate bene che è ventosissima! Avete mai corso una maratona disturbata dal continuo soffiare del vento? Ebbene, questa di Reykjavik è molto di più di qualsiasi maratona con vento abbiate mai sperimentato!!!"
In attesa del giorno della maratona, questa affermazione riecheggiava nelle nostre orecchie, trovando conferma nelle condizioni climatiche con cui ci dovevamo confrontare giorno dopo giorno...
Freddo? Sì, abbastanza per i nostri parametri: dai 12-13° nelle giornate migliori a 5°-6° in quelle più rigide...
Pioggia? Parecchia, a funestare soprattutto il viaggio nella parte orientale e nord dell'isola, fredda e fastidiosa, nella forma di quella sottile nebbia d'acqua che dalla mie parti veniva chiamata "azzuppaviddani" (ovvero “che inzuppa i panni del contadino”). E quando non pioveva, nubi basse e cupe che spesso chiudevano l'orizzonte e privavano del piacere di un raggio di sole e di uno squarcio d'azzurro.
Vento? Tantissimo, giorno per giorno, quasi incessante: soprattutto quest'ultimo rendeva la temperatura più difficile da sopportare. Man mano che si avvicinava il giorno della maratona, si costruiva forte e chiara l'aspettativa di dover correre una maratona funestata dal vento e da condizioni atmosferiche avverse.
Eppure (un autentico miracolo!), la mattina della maratona siamo stati "graziati" con il dono di un giorno straordinario sotto tutti i profili: cieli quasi del tutto liberi da nubi, temperatura mite (attestata al culmine della giornata attorno ai 16-17°), assenza pressoché totale del vento che rendeva particolarmente accattivante la visione del golfo di Reykjavik dove nel 874 DC approdò il primo colonizzatore “storico” dell'Islanda, Ingòlfur Arnaldson, seguendo la rotta tracciata dal cuscino del suo seggio che egli aveva buttato in mare abbandonandolo al capriccio dei venti e delle correnti, giurando che si sarebbe fermato per costruire la sua casa nel punto in cui si fosse arenato.
Insomma, dobbiamo ringraziare gli dei dell'Islanda (Odino, Thor e Freya in testa) se, in occasione di questa 24^ edizione della "Glitnis Reykjavik Marathon, c’è stato fatto dono di un giorno così speciale, particolarmente apprezzabile soprattutto per la calma di vento, dopo giorni di un soffiare incessante..
Le condizioni atmosferiche favorevoli hanno dato alla maratona un tocco di gentilezza e di gioiosità in più, dando modo soprattutto ai maratoneti provenienti da paesi di norma più caldi di apprezzarne tutte le bellezze.


La maratona si è snodata lungo un percorso cittadino decisamente “anomalo” rispetto ai nostri parametri “continentali” di abitatori di città affollate, affastellate e caotiche, poiché, il più delle volte, non aveva assolutamente l'aria di essere tale: e ciò per la natura stessa dell'edilizia abitativa e pubblica della capitale dell'Islanda, fatta di edifici bassi, distaccati l'uno dall'altro e intercalati da ampi spazi di verde; ma anche per la presenza quasi costante del mare, incombente con i suoi suoni e i suoi odori; infine, per il fatto che – in massima parte - il percorso era tracciato lungo una rete ampia ed articolata di piste ciclabili e camminamenti pedonali all'interno di parchi ariosi, abbellita dall’attraversamento di graziosi ponti di legno nei pressi di fiumicelli e piccole cascate gorgoglianti.
Lungo un percorso vitale e piacevole, movimentato e rallegrato dalla presenza di molti cittadini della capitale intenti in varie attività di svago all'aperto, di anziane coppie a passeggio, di intere famigliole in bici (qualcuno in pieno relax, disteso sui prati a godersi il sole) e da i numerosissimi i bimbi di tutte le età, perché sembra che l’Islanda non sia toccata dal calo demografico e dall’incombere del punto demografico di “crescita zero”, è capitato ai partecipanti di sperimentare una maratona tranquilla e gioiosa al tempo stesso, perfettamente integrata nel contesto, armonicamente accettata dalla popolazione e vissuta con quieta partecipazione.
Solo in alcuni punti ci si è ritrovati a percorrere le stesse strade per cui si era già passati prima, ma siccome il percorso seguiva traiettorie diverse, utilizzando "cammini" differenziati, della sovrapposizione (specie negli ultimi sette chilometri) non ci si accorgeva nemmeno, poiché la prospettiva da cui ci si ritrovava a guardare era diversa, ma era anche diversa la luce e - nei tratti in cui si costeggiava il mare - il ritrarsi della marea con la messa a nudo di floride distese di alghe multicolori e di scogli nerastri laddove prima vi era la distesa delle acque che rifletteva il cielo e le nuvole creava un cambiamento.
Il percorso della maratona è risultato vario anche per il continuo altalenare di piccole salite e discese: nelle note informative diffuse dall'organizzazione era specificato che, "essendo il dislivello altimetrico complessivo di soli 30 metri”, non si era ritenuto utile includere nella brochure illustrativa un profilo altimetrico della maratona. In realtà, il percorso ondulato, con i numerosissimi cambi di pendenza e le frequenti piccole colline da scalare, indurrebbero a pensare chi ne ha fatto esperienza ad un dislivello altimetrico complessivo positivo decisamente superiore... Forse i 30 metri menzionati rappresentano soltanto la differenza di altimetria tra il punto più alto e quello più basso del percorso. Ovviamente, nel fare queste affermazioni, procedo a lume di naso: ma, in ogni caso, se imprecisione c'è stata, questa svista agli organizzatori gliela possiamo tranquillamente perdonare....: si tratta di un'inezia, una minuzzaglia, rispetto alla piacevolezza dell'insieme di questa maratona...
Peraltro, il percorso era davvero ben segnato, con strisce di plastica di un bel giallo vivo incollate sull’asfalto che – nei punti critici – creavano una sorta di sbarramento virtuale verso le strade laterali. I cambi di rotta erano egualmente ben segnalati e frequentemente presidiati da addetti che, sempre con gentilezza e con il sorriso sulle labbra, davano indicazioni sulla strada da seguire. Perfino nelle zone più deserte, come ad esempio durante l’attraversamento della nuova zona portuale, era praticamente impossibile sbagliarsi.
La movimentazione di podisti è stata ampia.
Per la sola maratona, oltre 500 sono stati i partenti (e quasi tutti – 501 - classificati al traguardo finale) di cui circa 50 quelli partiti alle 8.00 con un 1h 10’ di anticipo rispetto allo start ufficiale, avendo dichiarato all’atto dell’iscrizione un tempo stimato di percorrenza dell’intera distanza tra le 5 e le 7 ore: davvero un’ottima iniziativa che ha consentito ai podisti più lenti di partecipare con relativa tranquillità senza essere confinati alla coda della corsa con tutti quegli inconvenienti che ne conseguono sia a loro stessi sia all’organizzazione. Una misura davvero lodevole, pratica e pragmatica insieme che, consentendo certamente uno snellimento nell’impianto della gara, i nostri organizzatori potrebbero prendere ad esempio.
Un notevole impulso nell’incremento delle iscrizioni in questa edizione del 2007 è stato dato dal prendere piede, anche in questa maratona (a somiglianza di altre più affermate come la Maratona di Londra) dell’abitudine di correre la gara in nome di organizzazioni caritatevoli – le cosiddette Charities – con il fine di raccogliere fondi a loro favore. Tuttavia, considerando che nell’evento podistico convergevano ben cinque diverse gare (oltre alla maratona, una mezza maratona, una competitiva di 10 km, una non competitiva di 3 km e la garetta per i più piccini - nata solo nel 2006 - su di un circuito all’interno di un parco cittadino), la movimentazione di persone coinvolte è stata davvero notevole: la notizia ufficiale fornita dall’organizzazione parla di un totale di 11.300 individui presenti nel corso dell’intera manifestazione e a diverso titolo coinvolti in uno dei diversi eventi sportivi..
Ospitalità: davvero grande ed evidente anche in piccole attenzioni e cortesie per gli ospiti. Oltre al pasta party in cui il cibo non è stato lesinato a nessuno degli accompagnatori ed in cui il momento “istituzionale” s’è tramutato in una bella festa, vi è stata l’opportunità per tutti gli iscritti di frequentare gratuitamente (sia alla vigilia sia nel giorno della maratona) tutti gli impianti dotati di piscina in Reykjavik ma anche a random sono stati offerti vari doni ai podisti che via via tagliavano il traguardo della maratona (borse sportive Asics, libri fotografici sull’Islanda)…
Cos’altro si può aggiungere?
Si è avuta l’impressione che la maratona di Reykjavik sia in continua e costante crescita, anche se a piccoli passi: ma è così che procedono le cose in Islanda. Gli Islandesi non vogliono le cose eclatanti e, di gran lunga, preferiscono quelle che si svolgono in maniera sommessa, delicata, quasi in punta di piedi. Tantissime sono state le presenze straniere sia dai diversi paesi dell’Europa, i confratelli paesi scandinavi e il Regno Unito in testa, vista la vicinanza e la facilità nei trasporti, ma anche molti i Canadesi (tra cui una nutrita squadra di podisti appartenenti ad un’associazione di diabetici) per i quali l’Islanda è – per così dire – proprio ad un tiro di schioppo; e, d’altronde, non fu un Islandese, il mitico Leifur Heirikson, il primo colonizzatore europeo a giungere nel Nord America, nell’antica Vinland (l’odierna Terranova)?
Il numero dei partecipanti alla maratona aumenta ogni anno con regolarità, come ogni anno si incrementa il numero dei visitatori dell’Islanda che, nel 2006 ha visto oltre 440.000 presenze. Afferma il Sindaco di Reykjavik, Vihjálmur þ. Vihjálmsson: “Il numero dei runner che partecipano è aumentato ogni anno. Ciò significa che la maratona di Reykjavik oggi non soltanto un importante evento in calendario per la città, ma anche un momento importante di pubblicità e di marketing di Reykjavik all’estero.
La maratona di Reykjavik è sia per i residenti sia per i visitatori il modo migliore per acquisire una buona conoscenza delle vie e delle strade pedonali della città.”
Ma non solo la maratona di Reykjavik l’evento clou della giornata: in concomitanza, prendendo le mosse sin dal mattino, si svolge un grande evento-happening, detto la “Notte culturale” che è caratterizzata da un fitto susseguirsi di spettacoli artistici, mostre, recital e spettacolazioni da strada lungo le vie e nelle piazze principali della città che attraggono gli Islandesi da ogni parte dell’isola, tanto che è impresa ben ardua trovare qui a Reykjavik un alloggio per questi tre giorni se non lo si è fatto con largo anticipo.
Prosegue il Sindaco: “Tenere la maratona nello stesso giorno della ‘Cultural night’ è stata un’iniziativa di grande successo che ha creato una simpatica mescolanza di esercizio fisico e di cultura. Dopo aver completato la gara podistica, le migliaia di partecipanti possono passeggiare indolentemente per il centro della città e godere dei numerosi eventi culturali e degli happening che vi si svolgono a rotazione continua sino a tarda notte”.
In effetti è stato proprio così: al termine della maratona, confortati da una bella doccia bollente, è possibile ritornare in strada, adesso gremita di cittadini, di bimbi festanti, di turisti e fermarsi ad osservare i clown, i mangiatori di fuoco, i venditori di palloncini colorati dalle più diverse fogge, i musicanti improvvisati ma abilissimi, oppure entrare in uno dei tanti edifici pubblici per soffermarsi ad ascoltare le performance di big band jazzistiche, oppure ancora ammirare una danzatrice del ventre esibirsi con l’accompagnamento di una banda di percussionisti, con l’intercalare di coloratissime bancarelle (molto mediterranee che vengono dolciumi, cibarie, bibite varie). Osservando le spettacolazioni “di strada” e, al contempo, la pittoresca movi
mentazione della folla variopinta e festosa, si è sorpresi dalla quantità di bimbi che sono portati in giro dai genitori. Alla fine, a notte tarda (ma è ancora possibile osservare un barlume di luce nel cielo, laddove per poche ore soltanto il sole si è tuffato sotto l’orizzonte), sono esplosi i giochi pirotecnici con il contorno di fragorosi botti, degna conclusione d’una giornata così turbinosa ed eccitante, che ha visto il pieno coinvolgimento della popolazione locale. Il giorno successivo dopo la piena immersione nel mondo dello sport e dell’atmosfera festosa, molti dei runner, partendo da una città ancora addormentata ed insonnolita, dalle vie quasi deserte e di nuovo piovigginose dopo il fulgore del giorno della maratona, si sono diretti verso le piscine termali di Blue Lagoon, situate al centro delle brughiere laviche e lunari della parte meridionale della penisola di Rejkyanes, per vivere l’esperienza unica dei un lungo bagno rilassante nelle acque riscaldate dai vapori che fuoriescono copiosi dal sottosuolo.
Se si vuole fuggire via dalla pazza folla, se si amano i luoghi spettacolari dal punto di vista naturalistico, se si nutre una forte predilezione per le cose che si svolgono sommessamente e con gentilezza, la maratona di Reykjavik non deluderà le attese e soprattutto potrà rivelarsi una bella occasione per avventurarsi in un indimenticabile ed affascinante viaggio.
Un consiglio rivolto a tutti quelli che volessero partecipare a questa maratona è quello di considerare la maratona puramente “incidentale” e di pianificate piuttosto il viaggio con l’idea di andare alla scoperta di un paese capace di offrire intense emozioni a chi ama i paesaggi incontaminati e luoghi semi-desertici dal fascino selvaggio, ricordandosi alla partenza di provare a rileggere il famoso “Viaggio al centro della terra” in cui gli avventurosi esploratori capitanati dal bizzarro ed intraprendente professor Otto Lidenbrock si recano in Islanda seguendo le indicazioni di un’antica iscrizione runica in cui si danno indicazioni di un viaggio d’esplorazione nelle cavità della terra compiuto dall’islandese Arne Saknussemm, scienziato alchimista del XVI secolo, che nel suo viaggio ebbe accesso all’affascinante mondo sotterraneo in corrispondenza di uno dei crateri spenti dello Sneffelsjokull (nome che tuttora possiede una forte risonanza mitica nella mente di coloro che da adolescenti assorbivano con passione le storie di Verne). La parte iniziale del romanzo offre una lettura densa di suggestioni perché vi viene descritto il lungo viaggio per mare verso l’Islanda, rappresentata come un paese selvaggio ed inaccessibile e poi l’avventuroso attraversamento a cavallo delle lande desolate per giungere da Reykjavik all’estremità della penisola di Snefells.
Come in molti dei romanzi di Jules Verne in cui l’intreccio avventuroso era l’occasione per fornire informazioni e conoscenze sulla geografia dei luoghi e fare divulgazione sulle più scoperte scientifiche che in quel periodo si susseguivano con rapidità (dando l’idea di un progresso inarrestabile e senza limiti), anche qui non manca l’accurata (e gustosa) la descrizione della capitale dell’Islanda (da leggere anche per verificare quante cose siano cambiate in una cittadina che viene descritta come un semplice agglomerato di basse case di legno dalle facciate dipinte a vivaci colori, pur essendo rimasto intatto lo scenario selvaggio ed incontaminato che contorna la città) e lo spostamento con mezzi di fortuna per raggiungere la penisola di Snefells.
Fare un viaggio di durata congrua, spinti dal desiderio di conoscere ed esplorare e motivati dal pensiero che non capiterà tanto facilmente di tornare in questi luoghi una seconda volta, implicherebbe la rinuncia preventiva all’ habitus mentale di quella tipologia di maratoneta che si muove per partecipare alla gara podistica con lo stile “mordi e fuggi”: il suggerimento è piuttosto quello di “perdersi” nel viaggio e lasciare che la partecipazione alla maratona rimanga un evento puramente marginale, ma ciò nondimeno godibile. D’altra parte, la distanza da coprire per guadagnare l’Islanda e i costi da coprire, suggerirebbero di prolungare il più possibile la permanenza in Islanda. È chiaro che gli incorreggibili maratone, “quelli che siamo qui soltanto per correre…” sono degli ossi duri da convincere: ma gli stakanovisti “puri” della maratona, maratona, maratona sono sempre di meno, mentre crescono quelli che vedono nella maratona l’occasione e lo stimolo per compiere esperienze di vita e di viaggio…


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