sabato 3 luglio 2010

Cosa sarà domani?


Ho scritto queste brevi note il 17 dicembre del 2009. Pochi giorni dopo, il 4 gennaio con il nuovo anno appena iniziato, mia madre se ne è andata dopo una vita operosa, instancabile e di coraggio. Perchè sto dando visibilità a questa pagina di diario proprio adesso? Forse perchè ci avviciniamo al concludersi del settimo mese dopo la sua dipartita, forse perchè per contrasto la calura dell'estate evoca per contrasto il freddo e il gelo dell'inverno di cui parlo. Forse perchè ieri ho ritirato dal corniciao altre foto che ritraggono nostra madre. Certo è che non ci si abitua mai al fatto che una persona cara se ne è andata per sempre e soprattutto alla realtà che tu non vivi più nei suoi pensieri...

La città è triste, oggi, spazzata da raffiche di vento.
Ogni tanto arrivano improvvisi piovaschi stizzosi.
Cala l'oscurità presto.
A grandi passi ci avviamo al solstizio d'inverno e le giornate si sono fatte brevi.
Buio, freddo e gelo mi sembrano essere gli elementi costitutivi di queste giornate.
I lampioni, intanto, tardano ad accendersi e l'avanzare dell'oscurità, mentre la luce declina, rende più forte la morsa di gelo che attanaglia il cuore.
In questi ultimi giorni, i platani si stanno rapidamente spogliando del loro manto di foglie che, a cumuli, si addossano sui marciapiedi.
Anziani che incedono incerti.
Uno tutto traballante accompagnato da una giovane.
Una tutta intabbarrata con l'andatura storta porta con sè una stampella, ma non la usa per appoggiarvisi, semplicemente la trascina a mezz'aria e, mentre incede, sembra stordita, un po' spaesata.
L'inverno, la vecchiaia, il declino della vita. E' tutto così triste.
Ci sono certi momenti in cui parole non dette si addensano in fondo al gola.
Ci sono certi momenti in cui un pianto troppo a lungo trattenuto vorrebbe erompere, ma rimane lì bloccato come un macigno.
Ci sono certi momenti in cui ti sembra che l'orizzonte attorno a te si vada restringendo inesorabilmente, sino a trasformarsi in una stanza claustrofobica dalla quale non c'è scampo.
E le sue pareti si restringono sempre di più su di te, ti senti soffocare e non ci sono vie d'uscita.
Ci sono certi momenti in cui comprendi che la tua vita è giunta ad un punto di svolta, quando ti senti abbandonato dalla speranza e dalla vitalità.
Ma poi si va avanti egualmente, anche se sono troppi, tanti, i richiami alla morte e al declino, ineludibili, incombenti.
E con questi, prima o poi, bisogna fare i conti.
Occorre esercitarsi ad avere dimestichezza con il morire.
Memento mori, si dicevano vicendevolmente i monaci che avevano fatto voto di non pronunciare parola alcuna, all'infuori di questa formula, quando nei corridoi del convento si incontravano.
Ma non è tanto la morte in sè, a far paura, quanto piuttosto il morire: il lento eaurimento della vitalità fisica, mentre la mente è ancora lucida.
Inverno, vento freddo, pioggia, tristezza, malinconia.
Che sarà, domani?
Forse, un improvviso squarcio di sereno nel cielo corruscato.
Forse, un arcobaleno radioso il cui arco iridescente precipita verso il mare.
Certo, qualcosa ci sarà.
Ma nulla potrà mai togliere sostanza al fatto che la vita è un continuo declino e che lentamente, lentamente, ma a volte precipitosamente, siamo tirati da una forza che ci è estranea verso una zona crepuscolare, di silenzio e di gelo.

2 commenti:

  1. Avevo poco più di sei anni quando la mia gattina morì travolta da un auto in strada.
    Piansi per diversi giorni perché mi mancava.
    Piansi i mie due cocker quando se ne andarono e piansi quando alcune persone a me molto care mi lasciarono per sempre.
    La vecchiaia, la malattia, la morte ci accompagnano in questo viaggio di cui conosciamo solo ciò che viviamo e percepiamo. Non conosciamo null’altro che possa farci capire.
    Ma capire che cosa?
    E’ una domanda che ho cominciato a pormi fin da piccolina ma crescendo questi momenti diventavano sempre più dolorosi e arrivavano momenti in cui la vitalità cominciava a mancarmi, in cui percepivo fisicamente il trascorrere degli anni.
    Ho imparato così che c’era solo una cosa che potevo fare. Prendevo un piccolo foglietto di carta e scrivevo una frase che mi facesse sentire bene, o una frase che qualcuno mi aveva detto e mi aveva reso serena.
    Piegavo poi il foglietto e lo inserivo nel salvadanaio.
    Non conservavo monete ma solo pensieri felici...

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