giovedì 30 aprile 2009

La danza di Mr Clark: quando si vorrebbe essere un po' più felici


Ho visto ieri in televisione un bel film, nel quale mi sono imbattuto del tutto casualmente facendo zapping, un film che ha captato la mia attenzione e che, in definitiva, ho guardato con piacere e con un pizzico di emozione, anche perchè non finisce con la solita conclusione scontata della trasgressione alla routine matrimoniale, seguita dal consueto e mesto pentimento.
Si tratta di un film americano del 2004, interpretato con la consueta bravura da Richard Gere e da una straordinaria Susan Sarandon, il cui titolo è "Shall we dance?" che riprende la frase "Shall you dance with me, Mr Clark?" che assume, nel contesto del film un contesto catartico e di giusta correzione della traiettoria esitenziale del protagonista.
Questa, in sintesi, la storia (dalla scheda di Wikipedia)
John Clark (Richard Gere) ha una vita perfetta: un lavoro soddisfacente, una moglie (Susan Sarandon) e una famiglia normale, troppo normale e disinteressata a lui: la moglie sempre presa da comitati di beneficenza e la figlia con la tipica arroganza della giovinezza gli fanno sentire ogni giorno di più una deludente solitudine. Ogni giorno, mentre rientra a casa, sente che qualcosa manca nella propria esistenza. Una sera mentre è in giro per Chicago, la sua città, John vede una bellissima donna che guarda dalla finestra di una scuola da ballo, con lo sguardo perso nel vuoto.
Conquistato dal fascino della donna, John impulsivamente decide di entrare nell'edificio, e si iscrive per alcune lezioni di danza nella speranza di incontrarla. All'inizio, John teme si sia trattato di un errore. La sua insegnante non è la bella Paulina (Jennifer Lopez), ma l'anziana Miss Mitzi (Anita Gillette), senza contare che John si rivela del tutto negato per il ballo da sala. A peggiorare la situazione ci si mette Paulina, che freddamente dice a John che spera che le sue intenzioni siano di imparare a ballare veramente, e non tentare un approccio. Man mano che le lezioni continunano, John finisce per appassionarsi al ballo. Mantenendo la sua passione per il ballo segreta a famiglia e amici, John si prepara a partecipare ad una delle più importanti competizioni di ballo di Chicago. John inoltre conquista la fiducia di Paulina, e il suo contagioso entusiasmo finisce per ridare linfa alla spenta passione dell'istruttrice nei confronti della danza. Tuttavia più il tempo passa, più Beverly si mostra sospettosa, e John dovrà fare i salti mortali per tenere segreta la sua attività e riuscire a partecipare al concorso di ballo.
Il bello del film, secondo me, risiede in due cose.
La prima: innanzitutto, ha il potere di trasmettere il potere (e il fascino) della musica e della danza, come strumenti di liberazione e, soprattutto, di elaborazione emozionale. La Danza, attraverso la liberazione psicomotoria che consente - possibile tuttavia soltanto attraverso l'interiorizzazione di una disciplina del gesto - possiede per alcuni in particolare (ma - in fondo - per tutti , solo a provarci) un'intrinseca funzione catartica, la cui esperienza - come dice il film - può far rasentare la felicità, una felicità del tutto particolare.
L'altra: il film non è scontato nel suo sviluppo e nella sua conclusione e non è nemmeno mielosamente buonista.
Pur sul registro della commedia lieve, la sceneggiatura non cade nella trappola della rappresentazione d'una banale trasgressione coniugale da parte d'un quarantenne in crisi che decide di imparare la danza per andar dietro ad una bella donna (la ballerina affacciata alla finestra della scuola di ballo), ma narra la "crisi" di quest'uomo, facendone vedere le alternative, le possibili trappole e le facili seduzioni.
In fondo, Mr Clark, senza più stimoli, è alla ricerca di un nuovo significato da dare alla sua esistenza appiattita ("La maggior parte degli uomini vive un'esistenza di muta disperazione", recita una frase lapidaria del copione, formulatya dall'investigatore, che s'improvvisa filosofo e psicologo) e ha bisogno di un contesto in cui risettarsi (riconnettendosi con il mondo con una più piena carica di vitalità) e di una guida per potere operare questo cambiamento dentro di sè: sarà questo processo interiore che gli consentirà di vivere con rinnovata energia e con il pieno slancio di un un vero status nascendi il rapporto d'amore con la propria moglie.
La danza e la musica catalizzano questo percorso di un uomo che si è perso e che di nuovo sente con se stesso il dovere di andare alla ricerca della sua felicità.
Ancora una volta, e in forma diversa, il film - come capita a molte commedie americane di questi ultimi anni - propone la storia di un uomo alla ricerca della felicità, al cui perseguimento secondo la Costituzione americana tutti gli uomini hanno diritto.
Vedi il movie clip (con la bella sequenza di danza tra Richard Gere e Jennifer Lopez)
E il trailer

mercoledì 29 aprile 2009

"Il vizio": storia di un'ossessione e di sogni adolescenziali deviati


Alcuni romanzi che, ad un primo sguardo, sembrerebbero dover essere relegati alla narrativa di genere riescono a eludere il campo ristretto cui il titolo vorrebbe confinarli per assumere una valenza letteraria più ampia, collocandosi in una panorama di altre opere eccellenti.
E' quello che accade con "Il vizio" (Aliberti, 2008), prima opera narrativa lunga di Carmen Scotti, (che ha inizato la sua carriera lavorativa come fonico RAI ed è attualmente collaboratrice di "Cronaca vera").
Milano, in un agosto tormentato dal soie. Un uomo entra in una strana casa d'appuntamenti, molto strana: tutte le ragazze sono vergini. Tutte, rigorosamente, addormentate, sotto l'effetto di potenti sonniferi. Sembra la trama de "La casa delle belle addormentate", il libro del Nobel Yasunari Kawabata. E lui non pare nemmeno crederci. Finché non vede una ragazzina di quindici anni. È lei la donna che il bordello gli ha affidato. L'uomo, pur non sapendo niente di lei, né il suo nome né la sua voce né la sua storia, ne viene morbosamente attratto. Mese dopo mese la sua vita scivola sempre più giù, in un vortice di ossessione dal quale non riuscirà più a riemergere, e nel quale la morte e il sesso occupano lo stesso spazio.
Il romanzo si legge bene grazie ad un meccanismo narrativo che cattura il lettore e l'utilizzo d'uno stile diaristico che soltanto nel capitolo finale si congela nel suggello d'una fredda relazione clinica. Trevertici d'osservazione, dunque: due soggettivi nelle annotazioni diaristiche del signor Tosi (che tali possono considerarsi, per quanto esposte in terza persona), sfrontato cultore del libertinaggio,e del potere sfrontato dei soldi, e in quelle più dolenti ed intime di Angela Catena, la piccola dormiente che, con le sue note, relative a sogni adolescenziali che, a causa dell'esposizione al miraggio degli idoli e delle false mete mediatiche (come, ad esempio quella di "poter diventare un giorno una velina" ed "avere i soldi per poter comprare bei vestiti"), finiscono con l'essere deviati e con l'imboccare percorsi perdenti sino alla distruzione (che è già cominciata ben prima, quando, dopo la sua iniziazione al sesso per denaro e doni in natura, ha accettato - sempre per soldi facili - di essere una "dormiente", passiva, immobile, privata di volto e di storia - e persino di un nome).
Tosi, abituato a possedere tutto con il potere dei soldi, si perde nella contemplazione della ragazzina dormiente che, non interagendo con lui, diventa una sorta di specchio vuoto nel quale proiettare (e rivivere) i suoi ricordi (sessuali), le sue perversioni, i suoi desideri tra i quali prevale quello di reificare la donna per sentirsi forte e potente.
Nello stesso tempo, in questa insolita situazione, lui, così abituato a dominare, si ritrova spiazzato, perchè quella dormiente non potrà mai possederla e farla sua in quei termini monocordi e consuetudinari che conosce (il sesso come dominio ed umiliazione dell'altro): proprio quella inattingibilità della mente della dormiente - più che del suo corpo - farà da catalizzatore nel lanciare nella mente di Tosi il germe di un'ossessione che, crescendo a dismisura, avrà esiti letali.
Angela, invece, nel suo diario, ci viene restituita con tutte le sue inquietudini adolescenziali e con quei desideri che, in assenza di una guida certa, imboccano un percorso anch'esso pericoloso e, alla lunga, distruttivo.
Il bel romanzo d'esordio di Carmen Scotti, pur avendo un suo percorso assolutamente originale, si rifà esplicitamente a "La casa delle belle addormentate" di Yasunari Kawabata, ma anche secondo me - quanto a struttura narrativa - al "Il Collezionista" di J. Fowles.
Nel primo, il semplice contatto con il corpo di giovanni donne narcotizzate permette all’attempato Eguchi di riflettere sulla propria condizione presente e sulla propria capacità di accettazione della senilità e del declino fisico: in questo casa di piacere ‘sui generis’, egli realizza un mix emozionale complesso tra l'evocazione di ricordi lontani, un sentimento di struggente malinconia, l'accendersi di sprazzi di prepotente desiderio, di vitalità fisica e di lucida insonnia, a volte accompagnata dal suono del vento e dal fruscio dei rami e delle foglie o ancora dal rullare della risacca oppure solo dal più assoluto e sprofondante silenzio.
Secondo Yukio Mishima, "...fra le opere di un grande scrittore si potrebbero annoverare quelle che corrispondono al dritto di una medaglia, o di una moneta, e il cui significato è evidente e visibile, e le altre che appartengono al rovescio della medaglia, e il cui significato è celato, nascosto, sul retro. Volendo, si potrebbe confrontarle rispettivamente al buddhismo essoterico e a quello esoterico. Nel caso di Kawabata, 'Il paese delle nevi' rientra nella prima categoria, mentre 'La casa delle belle addormentate' è indubbiamente un capolavoro esoterico".
"Il collezionista" di John Fowles, invece, narra la storia d'un uomo inibito e frustrato che colleziona farfalle e, così come fa con le farfalle, decide di catturare e tenere con sé una ragazza di cui si è invaghito, sino a farla morire di stenti.

Qui la somiglianza è sia nella particolare natura della relazione tra i due (rispettivamente, Freddie e Miranda) che si viene a creare, per quanto assolutamente sbilanciata e distorta, sia nella struttura narrativa in cui i due protagonisti raccontano gli accadimenti in prima persona, ciascuno secondo il proprio vertice di osservazione.
Freddie, un rapitore inibito che colleziona farfalle e che è, al tempo stesso, adorante e violento, e Miranda, la ragazza rapita, piena di vita, intelligente, decisa a sopravvivere, raccontano in prima persona, parlando a capitoli alternati, questa esperienza estrema: agghiacciante nelle parole di lei, normale, quasi banale in quelle di lui.
Uno straordinario “tour de force” nelle pieghe profonde della psiche umana.
E se non ricordo male, "Il collezionista" è stato anche trasposto in film, oggi introvabile.

Peraltro, il romanzo della Scotti, studiato in termini sociologici, offre una carrellata dall'interno di alcune delle possibili derive della società contemporanea e dei rischi cui sono esposti i più giovani che, essendosi appena affacciati alla vita e ancora vulnerabili sotto il profilo cognitivo-relazionale ed emozionale, imparano - attraverso le seduzioni dei molteplici e confusivi messaggi cui sono sottoposti e sotto la spinta di "cattivi maestri", ma anche influenzati da adulti rapaci e predatori (e il signor Tosi è un'ottimo esempio di questa specie umana) - ad utilizzare il proprio corpo (e il sesso) come strumento per andare avanti nella vita e realizzare i propri desideri.
E, per concludere, poichè è ben noto che le "soglie" al testo hanno un'importanza fondamentale, vorrei spendere una parola sulla foto di copertina che è di un grande fotografo ceco, Jan Saudek e che accoppia una dimensione surreale-onirica ad una forte ed intensa rappresentazione erotica che unisce assieme il corpo femminile-oggetto e la mente sognante. Indubbiamente, una foto che impreziosisce il romanzo e che stimola il desiderio di leggere e a approfondire, dopo essere transitati attraverso una soglia tanto sontuosa quanto evocativa.


Carmen Scotti (dal profilo della scrittrice in Facebook)

martedì 28 aprile 2009

L'inverno della paura di Dan Simmons: l'elaborazione del passato tra fantasia e delirio


Dan Simmons: uno dei miei autori preferiti, anche perchè nella sua carriera di scrittore ha saputo padroneggiare "generi" diversi, contaminandoli tra loro. Tra i suoi romanzi i miei preferiti sono che compongono la saga di Hyperion (di questi soprattutto il primo volume), "Il Canto di Kali", e in cima a tutto il magistrale ed appassionante "Danza macabra".
"L'estate della paura" che si può considerare un vero e proprio sequel del presente romanzo (pur essendo stato scritto prima) possiede il doppio fascino della letteratura horror e del racconto di formazione: basti pensare ai due autorevoli esempi di "IT" e di "Stand by me" del grande Maestro della letteratura horror.
Per tanti versi, "L'Estate della paura" (pur collocato nell'ambientazione rurale midwest del piccolo borgo di Elm Haven) rievoca le tematiche care a Stephen King, sempre attento nel dare voce alle paure adolescenziali e agli orrori che si nascondono nelle pieghe delle piccole cittadine di provincia del suo Maine.
"L'inverno della paura"
parla essenzialmente di solitudini e della lenta ed inarrestabile deriva interiore ed esistenziale del professor Dale Stewart che, reduce da numerosi fallimenti, nonchè provato da un tentativo di suicidio e dal persistere di una grave sindrome depressiva, ritorna - a distanza di 40 anni - proprio ad Elm Haven, per portare a termine un romanzo su quelle vicende della sua adoloscenza, un romanzo che lo riscatti dal suo essersi imprigionato - letterariamente parlando - in cliché di maniera.
Ma cosa cerca veramente Dale?
La concentrazione per scrivere, il magico ritorno alle sue radici, oppure il confronto morboso con i suoi fantasmi (tra cui quello del suo compagno ed amico Duane, morto per un incidente esattamente al culmine di quell'estate della paura) ed i suoi orrori personali?
Certo è che l'atmosfera si va facendo sempre più inquietante: mentre si moltiplicano gli eventi perturbanti, il confine tra realtà, fantasia e delirio va facendosi più incerto e fragile.
Alla fantasia e al delirio di Dale fa da contrappunto il commentario dietro le quinte di Duane, quasi che quest'ultimo - anima senza pace ancora presente in questi luoghi - avesse il compito d'un antico corifeo, o forse anche di psicopompo.
Mentre l'ambientazione rimane sempre statica, l'"angolo confortevole" nel quale Dale si è ritirato e una campagna degradata spoglia e desolata, nel cuore di un inverno rigido e nevoso, le vicende narrate si snodano in una sequenza di cangianti panorami interiori con numerose citazioni testuali colte, tra cui non manca l'Henry James delle storie di fantasmi ("L'angolo confortevole" in testa a tutti gli altri), ma anche riferimenti alla mitologia egizia e all'antico poema epico, Beowulf.
Alla fine, il romanzo così come "L'estate della paura" si può considerare il racconto di un rito passaggio, compiuto con dolore e sofferenza per il transito all'età matura: solo questo passaggio consentirà al protagonista letterario di potere scrivere (elaborare) degli eventi oscuri accaduti nella sua adolescenza.


Questa foto, presa da internet, raffigura in un solo scaffale di libreria tutti i romanzi di Dan Simmons.
Ed ora pregusto il piacere di immergermi nella lettura dell'ultimo suo romanzo , "La scomparsa dell'Erebus" (titolo originale, ben più cogente: "The terror").

giovedì 23 aprile 2009

E se imparassimo di nuovo a vedere il cielo sopra di noi?


L'altro giorno ho ascoltato l'antologia "definitiva" di John Lennon. Ed eccola là, al primo posto, "Imagine", con quelle essenziali note al piano, toccante, superba nella sua semplicità.
Una di quelle canzoni che andrebbe salvata come patrimonio dell'umanità, se ci dicessero che - dell'intera produzione musicale della storia dell'uomo - solo dieci brani musicali potranno essere conservati (ovviamente, questo è solo il mio modesto parere e non voglio suscitare l'ira di nessuno).

Il muro di John Lennon, a Praga

Imagine
Imagine there's no Heaven
It's easy if you try
No Hell below us
Above us, only sky
Imagine all the people
Sharing all the world

You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one
. Prima, sul muro di John Lennon a Praga, c'era un suo grande ritratto, che poi nel corso del tempo si è sbiadito ed è stato infine cancellato da una serie di altre sovrapposizioni grafiche. Oggi, per i giovani writer metropolitani, questo muro è diventato un banco di prova "celebrato" su cui lasciare la propria impronta.

Ogni tanto dovremmo ricordarci di questi semplici messaggi.

La bellezza, direi, sta proprio nella semplicità.
Oggi viviamo ottenebrati e si tende a non pensare più alle cose semplici e soprattutto non più a quelle che siano di fruizione immediata, senza il filtro della tecnologia che è diventata l'inferno della perdita della relazionalità.
Sono soltanto pochi quelli che, di tanto in tanto, volgono lo sguardo al cielo e guardano ad esso per quello che è, con il suo colore cangiante all'alba o al tramonto, con il suo spazio vuoto e con le creature alate che, nella sua immensità, vibrano di vita.
Guardando al punto in cui siamo arrivati, oggi, si potrà concludere che John Lennon era solo un povero visionario. Eppure, malgrado egli sia stato ucciso in un attimo da uno squilibrato, la sua canzone continua a vivere e a dire delle cose.

Imagine

giovedì 16 aprile 2009

Palermo: i nuovi barbari e quel che resta della notte...


Mi capita spesso di girare la mattina presto, alle prime luci dell'alba, dopo le notti brave dei giovani rampanti palermitani tra drinkerie, pub e locali di vari genere, tutti accomunati dal fatto che l'alcool vi scorre a fiumi.
Al mattino, gli spazi antistanti e le vicine aree adibite a parcheggio - alias piazze - sono stravolti da un triste panorama di "macerie" della notte.
Bicchieri di plastica, lattine vuote, pacchetti di sigarette accartocciati, bottiglie di birra, chiazze di vomito, incarti di pasticceria e cornetterie varie, e residui di cibo
Per non parlare dei danni arrecati ad alcuni elementi dell'arredo urbano, quali le panchine o le palizzate di legno nelle ville pubbliche e perfino i telefoni pubblici.
Nulla si salva. Una desolazione, davvero.
Mi duole il cuore, mentre cammino e osservo.
E' come osservare ciò che rimane del passaggio di un branco di cavallette o di una calata di barbari vocianti e distruttori.
Mi duole il cuore, mentre cammino e osservo.
E' come osservare ciò che rimane del passaggio di un branco di cavallette o di una calata di barbari vocianti e distruttori.
Se si dovesse immaginare l'apocalisse prossima ventura, questo potrebbe essere uno dei modi per rappresentarsela.
Sarebbe più bello se da parte di tutti, se nza per questo dovere rinunciare al proprio modo di intendere il divertimento, ci fosse un maggiore rispetto per gli altri e per l'ambiente.
Ciò che colpisce è l'assoluta e totale noncuranza nell'abbandonare le proprie scorie a terra, senza minimamente curarsi del loro possibile destino e anche questa totale incuria della cosa pubblica.
L'assenza di ogni forma di senso civico da parte di individui che si ritengono l'espressione avanzata di un alto livello di civilizzazione e che invece altro non sono che i rappresentanti di punta della involuzione della nostra organizzazione sociale.

Se si dovesse immaginare l'apocalisse prossima ventura, proprio questo potrebbe essere uno dei modi più efficaci per rappresentarsela.
Sarebbe più bello se da parte di tutti, senza per questo dovere rinunciare al proprio modo di intendere il divertimento, ci fosse un maggiore rispetto per gli altri e per l'ambiente, quell'ambiente in cui peraltro si vive e si trascorre del tempo.
Ciò che colpisce è l'assoluta e totale noncuranza nell'abbandonare le proprie scorie a terra, senza minimamente curarsi del loro possibile destino e anche questa totale incuria della cosa pubblica. Il che poi esprime anche una mancanza di rispetto e considerazione per se stessi.
Ciò che colpisce è in definitiva l'assenza di ogni forma di senso civico da parte di individui che si ritengono l'espressione avanzata di un alto livello di civilizzazione e che invece altro non sono che i rappresentanti di punta dell'involuzione della nostra organizzazione sociale.




mercoledì 15 aprile 2009

"La setta dei libri blu": un bel romanzo d'avventure e di intrigo


Quando si arriva alla fine d'un romanzo imponente quanto a numero di pagine si tira un respiro di sollievo, per avercela fatta, a prescindere di quanto sia piaciuto.
Non c'è nulla da ridire, comunque, su quest'opera prima di Gordon Dahlquist che, con le sue oltre 850 pagine, si legge con grande piacere.
Una lettura che è all'insegna dell'intrattenimento puro per chi ami il romanzo d'avventure intelligente e sofisticato.
Indubbiamente, è questo il genere in cui si può collocare "La setta dei libri blu" (ben più evocativo il titolo originale: "The glass book of dream eaters"): un storia d'intrigo e avventure, filtrata attraverso una sensibilità decisamente moderna e arricchita da alcuni ben congegnati risvolti erotici, in cui l'esposizione a misteriosi dispositivi che riproducono con assoluta vividezza delle scene sessuali carpite attraverso un procedimento altrettanto misterioso dalla mente di chi è già un adepto procurano alla setta nuovi affiliati.
Si tratta delle "placchette blu" realizzate attraverso una formula alchemica a partire da una rara varietà di argilla blu.
Le placchette, come - su scala più vasta - i libri di vetro blu, agiscono su chi ci si immerge come una potentissima droga.
Vi ricordate del film della Bigelow "Strange days" in cui i personaggi della storia, ambientata in un ipotetico futuro (peraltro non molto lontano) sono asserviti all'utilizzo compulsivo di dispositivi tecnologici che consentono di vivere in prima persona esperienze di vario genere (dall'esposizione a rischi estremi a situazioni di tipo sessuale) vissute da altri e in un certo senso rubate loro con l'ausilio di speciali lettori della mente per poi essere riprodotte e smerciate su supporto informatico?
Ecco, le placchette blu ed una serie di altri marchingegni sembrano avere in questa trama proprio lo stesso effetto, così come - su scala più grande - i "libri di vetro blu", ma con un ambientazione rigorosamente ottocentesca, con la rappresentazione di macchinari tanto arzigogolati quanto improbabili che non sfigurerebbero nel Gabinetto degli orrori del dottor Caligari o nello studio del diabolico dottor Mabuse.
Ma in una storia d'avventure il realismo e il rigore scientista non contano, ciò che importa veramente è la rappresentazione immaginifica e il suo potere evocativo.
Qui abbiamo una felice convergenza di invenzione narrativa, rielaborazione e citazione di classici della narrativa di genere e della cinematografia, ed infine una notevole capacità di contaminazione di generi diversi.
Per esempio, alcune atmosfere sembrano rievocare quasi visivamente il grande ultimo film di Kubrick "Eyes wide shut".
Nell'impianto narrativo si sovrappongono, ma con ampio respiro, i punti di vista di tre protagonisti, in lotta contro i piani della setta, ciascuno per propri personali motivi: Miss Temple, il Cardinale Chang e il dottor Svenson.
La prosa è accurata, rifinita e fortemente evocativa senza avere la pedanteria di certi romanzi contemporanei (il più delle volte best-seller) che si propongono con pedantesca meticolosità descrittiva, più appropriata per una memoria che accompagni la sceneggiatura di un film d'azione.
Se qualcuno volesse, potrebbe farne un grande film fantasmagorico, con Brad Pitt che sarebbe perfetto nella parte del cardinale Chang.
Questa in sintesi la trama del romanzo.
Miss Temple, una ricca signorina di buona famiglia, arriva a Londra per fidanzarsi con un promettente diplomatico, Roger Bascombe. Non passa molto che una lettera scritta su carta intestata del Ministero presso cui lavora il fidanzato le viene recapitata: un laconico messaggio la informa dell’abbandono dell’amato. Sconvolta dalla notizia e decisa a trovare una spiegazione, Miss Temple pedina Roger all’uscita dal lavoro, seguendolo su un treno diretto fuori città. Giunta sulla soglia di Harschmore Manor, una villa inquietante immersa nella campagna inglese, Miss Temple abbandona le proprie inibizioni per poter avere accesso alla festa che si sta svolgendo al suo interno, frequentata da personaggi mascherati e semisvestiti. Nelle misteriose stanze dell’edificio, Miss Temple si trova coinvolta in un intrigo mozzafiato che cercherà in tutti i modi di sventare, affiancata da Cardinal Chang, un killer famigerato con un cuore di poeta, e dal dottor Svenson, ufficiale medico incaricato di sorvegliare e accudire un principe debosciato. Una setta di geniali ma loschi individui sta infatti complottando per ottenere il controllo dei desideri e dei segreti altrui, utilizzando allo scopo dei libri di un misterioso vetro blu in grado di assorbire tutto ciò che popola le menti degli esseri umani. La setta dei libri blu è un romanzo che manda in frantumi le più frequentate convenzioni letterarie, pulsando di erotismo e tensione.

domenica 12 aprile 2009

Incontri: l'uomo nella macchina che parla ai piccioni


Quasi ogni pomeriggio, chi si trovi a camminare lungo il prospetto di Villa Sperlinga (Palermo) avrebbe modo di vedere parcheggiata lungo il marciapiedi che costeggia Villa Sperlinga un'auto bianca (forse una Panda vecchio modello: ma non sono sicuro, perchè di auto non ne capisco davvero niente).
La vettura è stracolma di sportine di plastica che occupano quasi tutto l'interno, dal posto accanto a quello del conducente, al sedile di dietro e allo spazio subito dietro al lunotto del portellone, formando un muro compatto.
Rimane libero lo spazio angusto del posto di guida, dove sta seduto con un berretto di lana calcato sulla testa o a capo nudo, quando fa meno freddo, un signore dall'età indefinibile.
Lì passa lunghe ore, con il finestrino abbassato.
Conversa con i piccioni che si affollano accanto allo sportello, balzando ogni tanto su per appollaiarsi al bordo del finestrino oppure sul tetto.


Sembra esserne grande amico e dà loro da mangiare. Li guarda, muove le labbra come articolando dei discorsi, e li nutre. Solo questo. Non esce mai dal suo rifugio. Non parla mai con nessun altro.
Ogni tanto, questa muta conversazione è disturbata da un passante che incede a passo svelto e che fa levare in volo i piccioni con un frullo d'ali e con il turbinio di qualche piumetta che rimane a svolazzare lieve.
Poi, dopo la perturbazione, i piccioni pian piano ritornano pigri ad affollarsi vicino all'auto e la conversazione interrotta, può così riprendere.
Ed è così ogni giorno.
Di mattina e di notte questo abitatore dei "margini" di Villa Sperlinga non c'è mai.
Evidentemente, migra altrove, così come i piccioni sono presenti soprattutto nelle ore pomeridiane per poi ritirarsi al sopraggiungere dell'oscurità nelle propri nidi.
Mi sono chiesto dove si trovi il rifugio notturno di questo signore che vive nella sua auto affollata di sacchetti (masserizie? Forse sì, considerando che si intravede anche un rotolo di carta igienica. Generi di prima necessità? Piccoli tesori accumulati in una vita intera?), come se fosse un vero e proprio "nido" ambulante.
Mi chiedo se, in una sua vita precedente, l'uomo nell'auto non sia stato un piccione e ,da qui, questo bisogno di vicinanza con essi.
O forse è soltanto la solitudine a spingerlo ad intrattenersi con loro, perchè garantiscono una presenza vivente rassicurante e che non delude mai.
Chi sa, quali storie racconta loro... Storie d'una vita, storie di amori, di disillusioni, di delusioni o forse sotanto di emarginazione.
Un "tipo" strano che ha trovato un suo modo tranquillo ed innocuo per vivere ai "margini".
Chi sa perchè poi chi vive ai margini ha questa consuetudine di comunicazione ed intimità con gli animali.
Un salto nel passato. Cambiano il tempo ed il luogo, ed è quasi la stessa scena. A Trafalgar Square un'anziano signore, un berretto di lana all'uncinetto calcato sulla testa, la faccia segnata da rughe profonde, se ne sta immobile, addossato ad un plinto, e mentre si lascia ricoprire paziente dai piccioni sembra dialogare con loro.

E tutto questo non può non farmi pensare al "Cantico dei cantici" del Santo Francesco...i l santo dei poveri, degli umili e di tutti gli esseri viventi del creato, tutti indistintamente creature di Dio.

martedì 7 aprile 2009

Quel mazzo di margherite selvatiche

Un mazzo di margherite selvatiche,
raccolte da mani amorevoli
per creare un tocco di bellezza in più
e disposte in una piccola giara di terracotta

stranamente

resiste da giorni,
tenace,
nella casa spoglia quasi sempre disabitata,
nella penombra,
ancora verdi i tralci,
mentre i soli dei petali gialli
ammiccano allegri

Le umili margherite
sono la persistenza del tocco
di quelle mani
e dell'amore
con cui mi parlavano

sono, per me,
la traccia della memoria,
impressa vividamente
nella mia mente,

come un graffito
inciso sulla scabra superficie della roccia,
destinato a durare
per millenni

"Two lovers", ovvero: storie d'amore al bivio


Quasi in contemporanea a "Il caso dell'infedele Clara" di Faenza che siviluppa il tema della gelosia e della latente omosessualità che vi è sottesa nella dinamica più profonda, è in programmazioone nelle sale cinematografiche "Two lovers" di James Gray, liberamente ispirato a un romanzo breve di Dostoevskij, Le notti bianche, sul tema dell'amore e della scelta.
Leonard (Joaquin Phoenix), avendo alle spalle un'importante delusione amorosa che già lo ha spinto a tentare il suicidio, conosce quasi in contemporanea due diverse donne, da ciascuna delle quali è attratto per motivi diversi.
Una delle due, Sandra (Vinessa Shaw), apparentemente semplice presenta delle profondità insospettate e soprattutto possiede la capacità di reggere l'attesa, il dubbio e l'ambiguità con serenità e fermezza d'animo; l'altra - Michelle (Gwyneth Paltrow) - bella e misteriosa, si appoggia a lui come amico e confidente, per affrontare un momento difficile della sua relazione amorosa.
Mentre si approfondisce il rapporto con Sandra, le richieste di aiuto di Michelle si moltiplicano, coinvolgendo Leonard in una passione idealizzante per seguire la quale è pronto a far tutto.
La delusione, quando arriva, è cocente.
Leonard ha la sensazione d'aver perso tutto, proprio quando aveva pensato di poter seguire l'Amore e di nuovo, come all'inizio del film, è attratto dall'oscurità tenebrosa dell'acqua dell'oceano. che si stende oltre il pontile di Brighton Beach, a Brooklin.
Poi, alla fine, smorzatosi il dolore, comprende che ha già il suo appiglio e non ha più bisogno di cercare altro.
Simbolicamente, il dramma interiore di Leonard si consuma proprio nella notte di Capodanno, in una soglia temporale, che si colloca dunque come una transizione.
"Two lovers" è un film delicato e tormentato assieme sulle passioni amorose "al bivio" e sui modi in cui i destini si intrecciano per poi disciogliersi nuovamente, se soltanto si ha la capacità di decidere e di accettare la fermezza del sentimento piuttosto che inseguire il fuoco e la furia della passione che non garantisce stabilità alcuna.

Il trailer


Ed ecco la trama del romanzo breve di Dostoevskij.

Fedor Michajlovic Dostoevskij
Le Notti Bianche
Il romanzo breve Le notti bianche, pubblicato nel novembre 1848 sulla rivista Otecestvennye zapiski ("Quaderni patriottici"), è incentrato su due soli personaggi, il protagonista e Nasten'ka, che emergono sullo sfondo di una Pietroburgo deserta, irreale, quella delle notti bianche.
È un'ambientazione ben diversa da quella della caotica città gogoliana o della Pietroburgo inquietante e ambigua di altri libri dello stesso Dostoevskij. L'isolatezza della vicenda amplifica maggiormente la solitudine dell'eroe. Tutto inizia e finisce lì, in quel piccolo angolo di Pietroburgo; il tutto è lì, in quella panchina e in quello scorcio di canale.
Il racconto si apre con la descrizione, fatta in prima persona dal protagonista, della città in primavera, quando la natura si riscegliae tutti se ne vanno a riposare nelle loro case di campagna.
Il giovane sognatore, eroe del romanzo, resta da solo in città, senza amici, senza conoscenti, poiché in tanti anni che vive lì non è riuscito a crearsi nessun legame. Gli unici contatti da lui instaurati sono con i palazzi, con le strade di Pietroburgo.
Il suo vivere distaccato dalla realtà, in un mondo etereo, termina quando, su un ponte della città, gli appare Nasten'ka, che diventa per lui l'essenza preziosa dei suoi sogni diurni, della sua illusione e disillusione.
Per la prima volta il protagonista riesce a stringere un rapporto con un altro essere umano, e capisce di aver perso gran parte della sua esistenza fino ad allora, intuisce che fra la sua vita e la realtà esiste un abisso che deve essere riempito. Questa rivelazione è l'inizio di quattro notti di illusioni, di compassione prima e poi di amore, di folle e innegabile amore.
E alla fine tutto crolla, i sogni svaniscono.
L'ultimo episodio si intitola significativamente "Mattino", quasi a significare che la bellezza e il fascino delle notti era ingannevole ed il risveglio è spesso una delusione. Del protagonista non sappiamo niente, nemmeno il nome. I personaggi però appaiono chiari, netti, ben delineati, grazie all'uso dei dialoghi. E proprio in questi si scorgono in secondo piano due figure che rimarranno nell'ombra ma che baleneranno per pochi significativi istanti sulla ribalta: la nonna e l'amante di Nasten'ka.
La nonna concorrerà a rendere miserevole e compassionevole la figura della ragazza all'inizio della trattazione, e sarà un ulteriore colpo al muro eretto dal protagonista attorno a sé. L'amante compare alla fine, quando, in un istante, annienta i sogni di quattro notti dell'eroe del romanzo.
L'amante si contrappone al sognatore-protagonista. Tanto deciso l'uno quanto fragile l'altro; così realista il primo che lascia la ragazza rinviando le nozze con lei per guadagnare il necessario per il loro sostentamento, quanto illuso il secondo che vede cambiata la sua esistenza nell'arco di poche ore. Entrambi, però, sono due figure positive; non sono in competizione, ma parallele a Nasten'ka. Tutti e due la amano e tutti e due sognano la sua felicità.

mercoledì 1 aprile 2009

Il fascino discreto delle panchine


Come ho scritto in un altro post, ispirato ad un libricino che ebbi modo di leggere circa un anno fa, le panchine possiedono sempre un fascino speciale.
Sono dei luoghi dove il tempo si ferma e si dilata, mentre la vita attorno continua a scorrere più o meno frenetica.
Seduti su di un panchina, si cessa di essere dei frenetici "consumatori" e si torna ad essere pienamente padroni di se stessi; ci si mette - per così dire - "fuori gioco" e il movimento incessante da cui siamo adesso distanziati assume delle connotazioni quasi surreali.
Ogni volta che, camminando, vi imbattete in una panchina, provatela! Senza esitare...
Ogni panchina non è mai banale e possiede un fascino particolare, ad eccezione di alcune volute da certe amministrazioni comunali "moderniste", fatte proprio con l'intento di distogliere i passanti dal fermarsi a riposare.
Il tempo che spendiamo seduti su una qualsiasi di esse (purchè sia sufficiencentemente comoda), leggendo oppure semplicemente osservando il mondo che ci attornia (e meditando) è un tempo che, autenticamente, ci regaliamo.
Non è mai un tempo perduto.
E' un tempo immobile, eppure denso di accadimenti interiori.

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