mercoledì 28 gennaio 2009

Qualche volta facciamo come gli struzzi


Litigi e contrasti tra persone nel consesso umano e all'interno della famiglia o nell'intimità di un rapporto di coppia sono espressione di un "conflitto" tra modi diversi d'intendere le cose, tra differenti strutture di personalità, tra caratteri simmetrici o, in alcuni casi, complementari.
Non è detto che il conflitto debba essere evitato, anzi, è vero esattamente il contrario, come è anche vero che il conflitto può essere una forza che modula e fa crescere in meglio le relazioni umane.
Senza un livello fisiologico di conflitto in seno ai gruppi umani ci sarebbero indubbiamente stasi e morte di ogni vitalità.
Il conflitto, se affrontato in modo costruttivo e propositivo, cavalcando la tigre dell'aggressività reciproca, può diventare uno strumento di adattamento, mediazione, aggiustamento.
Solo se la conflittualità viene evitata, "tabuizzata", essa degenera in forme insanabili di aggressività reciproca.
Bisogna poter riconoscere tempestivamente le "crisi", affrontarle e cercando di tradurre il "non detto" in parole, trasformando una serie di elementi confusi e indigeribili (in altri termini, non metabolizzabili emotivamente) in strutture di pensiero, cognitive ed emozionali, più elaborate, costruendo di volta in volta delle soluzioni adattive che portino le diverse parti in gioco alla cessazione delle ostilità e alla strutturazione della relazione su nuove basi, ben più vigorose.
Tutto ciò (mettersi in gioco) implica tuttavia un forte dispendio energetico sotto il profilo emozionale, ma c'è anche da dire che, a volte, l'espressione (verbale) di malessere di una delle parti in gioco può essere intesa dall'altro come un'ingiustificata apertura delle ostilità, attivando una risposta simmetrica. C'è sempre la possibilità che si apra la porta ad un fraintendimento, ma - tra il parlare ed il tacere - la strada da scegliere è sempre quella della comunicazione, per quanto irta di ostacoli essa possa rivelarsi in seguito, ma sempre meglio della via del silenzio e dell'acquiescenza o della politica dello struzzo ("mettere la testa sotto la sabbia" per non vedere).
Senza dimenticare che il silenzio, a volte, può essere peggio di ogni parola detta con veemenza, perchè dietro tutto quel "non parlato" c'è un carico mostruoso di aggressività, pesante quanto un masso di parecchie tonnellate.
Il silenzio, nei conflitti irrisolti, può essere il modo provocatorio di dichiarare la propria non disponibilità a lavorare in funzione dell'appianamento delle difficoltà e la propria sfida simmetrica all'espressione di disagio da parte dell'altro, o infine il proprio bisogno di fuga.
Cerchiamo di capirci, sempre, e di affrontare i conflitti come momentanee crisi che, se affrontate al meglio, mettendosi autenticamente in gioco, possono rappresentare un forte impulso al miglioramento e al rafforzamento relazionale.

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