venerdì 22 aprile 2011
Il merlo caduto
Nei fumi dei gas di scarico
e nei sentori grevi degli incendi di plastica e altri detriti
mi colpisce il penetrante profumo del glicine fiorito e dei pittosfori
che evocano il buio vibrante e la dolcezza sontuosa
di notti orientali
Un merlo è caduto stecchito sul cemento
Giace sul dorso con le zampine rattrappite,
gli occhiettti devastati che non vedranno più un'alba
e il becco giallo-arancione appena schiuso
Torre, mare e gabbiani
La torre sul promontorio pietroso e scosceso
da secoli se ne sta immobile a guardare
altre torri in corrispondenza visuale
Ai piedi della scogliera diruta,
s'apre una spiaggetta di sassi levigati
verso cui discende un sentiero tortuoso
immerso tra euforbie selvatiche e disi taglienti
Il mare è intensamente azzurro,
la superficie levigata dalla calma di vento,
e il greto sassoso è gremito di gabbiani
che spiccano il volo non appena avvertono una presenza estranea
Poco prima di abbandonare il sentiero,
lo sguardo del viandante è offeso da un copioso deposito di monnezza
e da innominabili lordure stratificate,
lasciate negli anni dai gitanti domenicali
Tanto, anche se qui torneranno più volte ancora a sollazzarsi,
i rozzi gitanti sanno che questo luogo
non è casa loro e può essere sporcato e degradato a volontà
Ma la vegetazione selvaggia crescendo irruenta copre tutto,
stendendo sul marciume un manto verde
che delle sostanze degradibili si nutre
Vis sanatrix naturae!
Un lieve odore di decomposizione
aleggia nell'aria sul greto di sassi
Un pesce morto, forse, o un mollusco spiaggiato
oppure la carogna di un volatile
ma è un odore lieve e fa parte della natura
Gabbiani, a frotte al largo,
gli stessi che prima indugiavano pigri sui sassi a scaldarsi al sole
ora se ne stanno a flottare nell'acqua tranquilla,
in gruppi compatti, come paperelle o gallinelle d'acqua,
ma poi si levano in volo disturbati da una barca di pescatori in arrivo
con un motore sputacchioso e ansimante
a gettare le sue reti
Saranno un centinaio e forse di più
Altri se ne stanno arroccati sullle balze dell'alta scogliera.
Ci s'immmagina che stiano immobili come sentinelle
a vegliare gelosamente sui propri terreni di cova
Ci osservano, pronti a cogliere segnali di pericolo
E altri si stagliano vigili, ancora più in alto,
sui merli e sulla sommità dell'antica torre di guardia
Lanciano grida e strepiti,
un'infinita varietà di gorgheggi
Si alzano imponenti,
scivolano d'ala oppure planano a volo radente sulla liquida superficie
e poi con grazia si posano
chiudendo sul corpo globulare le grandi ali
con un unico movmento fluido
Parlano tra loro, anche,
in tempi che sono a noi estranei
Il luogo è loro,
noi - sempre - saremo soltanto ospiti
e osservandoli potremo soltanto dire grazie
per la bellezza che ci è offerta allo sguardo
Noi moriremo e loro rimarrano,
a fare da guardia e ad accompagnare il nostro transito
con le loro strida
Un giorno la Natura violata si vendicherà dei soprusi,
della violenza e delle brutture che le sono state inflitte
Ritorcerà su di noi la nostra hubris
Già lo sta facendo:
bisogna saper cogliere i segni
Quando ciò accadrà, proprio i gabbiani
da fieri custodi si trasformeranno nei nostri giustizieri
e ci trafiggeranno cuore e occhi
con becchi affilati
Un viaggio tra le scritture ultime
Un eremo sul colle,
cipressi e pini alle spalle,
croci, crocifissi, lapidi, angeli benedicenti
figure dolenti, pietrificate nel loro dolore
fiori freschi, vivi, appena recisi
fiori appassiti, fiori artificiali,
scale impervie e sentieri muschiosi,
piccole piante erbose cresciute tra gli interstizi della pietra
perchè la vita è sempre prepotente, anche nei luoghi di morte e transito
In questo luogo senza tempo
vorrei stare disteso,
con gli occhi chiusi,
su di una lastra di marmo
battuta dal sole del primo meriggio
con il mare lontano all'orizzonte
e i monti attorno
sormontati da antiche fortezze
a riscaldarmi come una lucertola,
ad ascoltare lo stormire del vento tra le foglie
Starei bene lì,
su quella pietra,
fantasticando di poter divenire io stesso marmo,
indugierei pigro,
pur sapendo che, dopo il sole,
il freddo della notte catturerà il mio corpo
sin dentro alle ossa
Ossa e cenere
questo siamo e diventeranno i nostri corpi
che sono solo simulacri,
involucri vuoti,
gusci spezzati
Attorno a me,
sento il mormorio di mille voci,
intrecciato con la voce del vento
Ognuna racconta una storia,
preghiere,
invocazioni,
per essere ricordato
e ognuna dice qualcosa
per mezzo delle scritture ultime
lì collocate, alcune tracciate su pagine di marmo
Voci di adulti che hanno vissuto pienamente,
e andati via al termine di vite operose,
di bambini e giovani troppo presto strappati alla vita
di giovani partiti in guerra
le cui spoglie non hanno mai fatto ritorno,
mentre qualcuno attendeva inconsolabile,
tre fratelli uccisi nello stesso istante
dall'esplosione di un ordigno
Foto antiche mi guardano
dai loro ovali
immagini in bianconero
o virate in seppia,
un po' sfocate
dall'aspetto antico,
anche quelle di defunti
d'oggi
Dai tondi o dagli ovali,
aperti come tante finestrelle sulle lapidi,
i defunti sembrano occhieggiare
da un altro tempo
e da un altro luogo
con sguardi
allegri o tristi,
qualche volta pensosi
Ieri ero in un cimitero,
Oggi sono in un altro,
domani non so.
Quale sarà il mio?
Qaundo arriverà il mio momento?
Eppure,
mi piace questo silenzio,
mon m'inquieta stare in questo spazio
risonante di scritture ultime
E' un silenzio che dà pace
e vorrei stare in questo luogo di quiete
a riposare
e a sognare la fine di tutte le cose
quando non ci sarà più nulla da desiderare
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni (Salmo 23)
martedì 19 aprile 2011
Ogni tanto, la primavera ritorna...
I giorni passano,
veloci a volte,
lenti altre
Un tempo si strappava
un foglietto dal calendario
in cui ogni giorno del mese
era scritto in grandi numeri rossi:
un singolo foglietto per ogni giorno.
Tutto l'anno era rappresentato
da un blocco di 365 foglietti
e, guardandone lo spessore che si riduceva,
avevi il senso del tempo trascorso
Da bambino, strapparli
era un privilegio
che mi era riservato
e, in una scatola,
conservavo gelosamente
i giorni trascorsi,
come fossero preziose reliquie
Erano un po' appiccicati l'uno all'altro
Ricordo vividamente che mi costava un po' di fatica
levare il foglietto vecchio
e far venire alla luce quello nuovo:
cercavo di farlo con cura,
perchè non volevo che quei foglietti si strappassero.
Sarebbe stato come distruggere i giorni passati,
profanare quelli futuri:
certo, una cosa non di buon auspicio
In questo, nell'archiviare
il giorno appena trascorso,
procedevo con prudenza
con delicatezza,
benchè volessi bruciare le tappe
Mi chiedevo come sarei stato
nell'allora mitico anno 2000
che mi pareva lontanissimo,
quasi irraggiungibile,
Cosa avrei fatto?
- mi domandavo -
senza poter trovare risposte
e facevo il computo dell'età
che avrei avuto,
impaziente di andare avanti
Quei foglietti strappati,
mi davano il senso del tempo che scorreva,
come le foglie morte d'autunno,
il lento cangiare dei colori,
l'arrivo delle prime pioggie e del freddo
e, ogni tanto,
per noi gente del Sud,
anche l'effimero biancore d'una nevicata
e credevi nella ciclicità, nei ritorni e nei ricorsi
Oggi, invece, non te ne accorgi più
Vai avanti
un giorno appresso
all'altro.
Si consumano, i giorni,
come chicchi di riso
allineati,
che scivolano attraverso il collo
d'una clessidra gigante
ma quelli passati
sono perduti per sempre
non ritorneranno a passare
una seconda volta
Poi, all'improvviso,
vedi che sono arrivati
i primi rondoni ad intrecciare i loro voli,
il glicine è fiorito
e riempie l'aria di inebriante profumo
e altri profumi sontuosi
ti entrano nelle narici
e gli uccelli si accoppiano
E' la primavera che continua ad arrivare,
malgrado tutto
e, ogni tanto, te ne accorgi
e sorridi rinvigorito
davanti alla vita che ritorna
e riempe l'aria che respiri
Palermo, il 19 aprile 2011
lunedì 21 marzo 2011
"La figura di cera": horror, intriso di decadentismo postmoderno, che nasce come sequel de "Il Morso sul collo"
"Devo all'amicizia con Paolo De Crescenzo se mi sono avventurato, rispetto all'itinerario personale della scrittura, in un territorio non mio. Da anni, ben prima che desse alla casa editrice Gargoyle, mi incitava a misurarmi con un romanzo di genere, regalandomi consigli di lettura e fornendomi alcuni spunti.. Mi sono sempre schermito, pur tenendo l'horror in una certa considerazione,come una delle chiavi che non gira a vuoto nello scrigno del contemporaneo, per attraversarlo e comprenderlo. Insomma: pur essendo avvezzo agli intingoli del diavolo nella cucina di magro, non avevo però mai pensato di mettermi direttamente alla prova. Fino a quando, del tutto inaspettamente, la scintilla è scoccata: proprio un lavoro di revisione linguistica operato su un testo di Gargoyle (...) commissionatomi da Paolo, è stato (...) l'intonazione musicale... dalla quale prendere ispirazione e cominciare a comporre" (p. 183, in "Titoli di coda").
I protagonisti del romanzo di D'Anna si trovano alla prese con una serie di misteriosi suicidi e con la scomparsa dalla tomba del corpo di una marchesa famosa per la sua bellezza e per essere stata amante di Gabriele d’Annunzio. Risulta scomparsa anche una statua di cera con le fattezze della nobildonna, forse creata con pratiche negromantiche e da cui la stessa avrebbe attinto nuova vita.
L’azione, seguendo le tracce della calco di cera scomparso, si sposta a Venezia e successivamente a Berlino, una città che mostra ancora le ferite della guerra, ma dove si possono rinvenire i residui di società segrete legate alle pratiche magiche del nazismo. Quella intrapresa del manipolo di amici implicati nell'avventura, sarà una corsa contro il tempo per sventare il peggio e non priva di pericoli, rischi personali e qualche vittima.
D'Anna, saggista e critico, che si è già cimentato nella scrittura fiction colta ed intimista (Una stagione di fede assoluta, Pequod, 2006) o al romanzo che offre una ricostruzione storica alternativa a eventi realmente accaduti (Saint Ex, Avagliano, 2008) compie con quest'opera il salto alla narrativa di genere, ma a modo suo.
Nel riallacciarsi con il romanzo di Simon Raven, ripartendo esattamente dal punto in cui si era conclusa la storia narrata in "Il morso sul collo" e presentando gli stessi personaggi, ad eccezione di quelli deceduti nella vicenda precedente, offre ai lettori appassionati del genere (ma non solo, perchè ha tutti i numeri per interessare il cultore di letteratura, o di storia dell'arte o del costume) un romanzo che è assieme horror (decadente e, a tratti, estetizzante) e saggio storico e di costume.
Le vicende - come già detto - si dipanano tra Londra, Venezia e Berlino alla fine degli anni Cinquanta, ancora in pieno dopoguerra e pre-Muro di Berlino, consentendo di gettare uno sguardo sul decadentismo dannunziano e sugli epigoni di società segrete ed esoteriche che erano state in pieno vigore tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo (Aleister Crowley, la Golden Dawn, sino alle più oscure propaggini nel "nazismo magico"). Memorabili le pagine che si svolgono in una Venezia brumosa sino all'incursione nell'atelier di un oscuro artista, abilissimo falsario, specializzato nella riproduzione di opere pittoriche e scultoree di celebri artisti, ma anche le peregrinazioni nella Berlino del dopoguerra non ancora divisa dal Muro, o perfino la visita al londinese Museo delle Cere di Madame Tussaud.
I personaggi fiction s'incontrano, nel corso della loro indagine, attraverso il racconto fatto da altri o per confronti vis à vis, con personaggi realmente vissuti: in primis, Gabriele D'Annunzio e la marchesa Luisa Casati, musa ispiratrice dello stesso D'Annunzio, ma interagiscono anche con Peggy Guggenheim nella sua splendida dimora veneziana, sulle tracce della "figura di cera".
Nel romanzo si trovano il fascino e le nebbie della narrativa gotica, ma anche lo stile dello scrittore che conosce a menadito il periodo storico in cui colloca la sua narrazione e le radici culturali che lo hanno determinato. Vi è anche - come argomenta acutamente Stefano Priarone, che firma l'introduzione dal titolo "Un burlesque letterario postmoderno" - una rappresentazione della forza del cameratismo tra uomini (il "Compagnonnage"): un po' come nella compagnia che si raccoglie attorno ad Abraham van Helsing per sconfiggere Dracula, in cui le donne sono o vittime o testimone narranti (attraverso il meccanismo del romanzo diaristico ed epistolare), qui i personaggi femminili non sono coinvolti nell'indagine avventurosa dal lato dei "buoni", ma utilizzati solo come rivelatori di testimonianze funzionali alla detection o, eventualmente, come incarnazione del potere e del rischio della seduzione, come anche nel rapporto duale che ripropone il meccanismo della coppia investigativa, incarnata da Sherlock Holmes e dal suo narratore/testimone Watson, vero alter ego dello scrittore. Qui i rapporti duali sono molteplici e dinamici, mentre la voce narrante è unica e ciò serve a conferire omogeneità all'esposizione dei fatti e ai continui cambiamenti di scenario.
Come sempre in tutte le edizioni Gargoyle, è ricchissimo l'apparato di note al testo che sono un complemento essenziale alla lettura, dal momento che consentono un approfondimento storico e bibliografico alla narrazione, non semplici note redazionali ma vere e proprie note di approfondimento vergate dallo stesso autore che è un profondo conoscitore del periodo dannunziano e del Decadentismo che vi è correlato.
Ma sono di grande interesse anche l'introduzione di Priarone già menzionata (soprattutto per l'originale interpretazione del romanzo di D'Anna in chiave di "burlesque" postmoderno) e la postfazione dello scrittore, in cui egli - oltre a raccontare in sintesi, ma incisivamente, la genesi del romanzo, spiega al fedele lettore (quello che lo ha seguito sino alla conclusione dell'opera) le radici di una serie di suggestioni letterarie e di spunti colti, visibili nella filigrana del suo testo.
Si sente la mancanza, a mio avviso, di un elenco dei personaggi e dei rispettivi ruoli come si usava fare un tempo nei volumi della narrativa di genere: il romanzo è breve e fulminante e non c'è il tempo per approfondire bene la conoscenza dei singoli personaggi. Ma in più si potrebbe anche arguire che le difficoltà che qualche lettore potrebbe avere nel focalizzare i singoli personaggi, possa derivare forse dal fatto che essi, a parte qualcuno nuovo ed inedito - in funzione dell'originalità del plot, sono trasposti con tutte le loro caratteristiche dal romanzo di Raven e che, quindi, spostati da un contesto narrativo all'altro hanno un po' meno spessore come personaggi e sembrano essere piuttosto dei "caratteri". Quindi, un tale dispositivo sarebbe stato sicuramente il benvenuto, soprattutto per i lettori che arrivano alla lettura de "La figura di cera", senza aver prima letto il romanzo di Simon Raven.
L’autore: nota bio-bibliografica È nato a Roma nel 1962. Vive e lavora nella sua città natale. Ha curato l'antologia sull'idea di nazione Frammenti d'Italia (Roma 1993). Ha pubblicato Roma preraffaellita. Note su Gabriele D'Annunzio, Diego Angeli, Giulio Aristide Sartorio, per l'Accademia nazionale dei Lincei (Roma 1995), e un saggio sui mutamenti riguardanti scrittura e lettura in epoca contemporanea (e-Book. Il libro a una dimensione, Roma 2001).
Nel 2006 ha pubblicato Una stagione di fede assoluta (Pequod, 2006).Nel 2008 esce il suo secondo romanzo: Saint-Ex (Avagliano, 2008), ipotesi fantasiosa sugli ultimi giorni di vita di Antoine de Saint-Exupéry. Suoi contributi critici sono apparsi su “Nuovi Argomenti” e “L’Urbe”. Ha collaborato come autore di soggetti cinematografici e di fiction per la Rai Tv e come critico per Radio Rai 3.
Dal 1992 lavora all’Enciclopedia italiana Treccani come “redattore-autore”, occupandosi nello specifico della compilazione di un’opera monumentale e sui generis come il Dizionario biografico degli Italiani che, diversamente dai dizionari di altri Paesi, è costituito esclusivamente da voci saggistiche, scientificamente vagliate e scritte.
Dal risguardo di copertina
Londra 1958. Una serie di misteriosi suicidi preludono alla riapertura di un caso risolto forse solo in apparenza, denso di preoccupanti e inaspettati sviluppi. La scomparsa dalla tomba di una marchesa caduta in disgrazia, da poco defunta fra le mura di un appartamento londinese — donna dall’indiscutibile fascino, musa ispiratrice di D’Annunzio, appassionata di occultismo e interprete dei brillanti riti della belle époque — muove i protagonisti, in una corsa contro il tempo, alla ricerca del suo calco di cera da cui ella avrebbe potuto riattingere vita.
Dopo un incontro a Venezia con Peggy Guggenheim, i nostri eroi si vedranno costretti a recarsi a Berlino, in una città che mostra ancora le ferite della guerra e dove sopravvivono gli ultimi scampoli di quelle società segrete che furono legate ai presupposti oscuri e alle origini magiche del nazismo.
Non solo, quindi, un semplice romanzo di genere, ma un racconto che coniuga atmosfere noir e sfondi storici, personaggi reali e derive fantastiche. Concepito quale omaggio al Morso sul collo di Simon Raven (Gargoyle 2009), La figura di cera è in realtà una sorta di obolo sentimentale che l’autore versa nei confronti dell’horror classico, che riaffiora timidamente non tanto e non solo in chiave letteraria: dai film della Universal a quelli della Hammer, da Vincent Price e Lon Chaney junior a Basil Rathbone e Nigel Bruce, indimenticati interpreti della coppia Holmes-Watson.
domenica 20 febbraio 2011
Sanctum in 3D in barba agli effetti speciali e all'uso degli stunt va presto in debito di aria
La delusione è grande, anche perchè il cast non offre particolari attrattive, in termini di attori di grido e, per necessità di riprese, sopravanzato da un esteso utilizzo degli stunt per le scene più pericolose.
Il film è tutto giocato sull'esibizione della tecnologia applicata alla speleologia estrema, combinata con le tecniche di speleo-subacquea con l'ausilio delle tecniche di immersione più avanzate.
L'azione si svolge in Nuova Guinea e si concentra su di una spedizione speleologia che intende esplorare un'enorme e profondissima cava dolinica che, al suo fondo, si dirama in passaggi intricati, alcuni dei quali pieni d'acqua: la spedizione capeggiata dallo speleologo Frank e supportata dal ricco finanziamento di Carl, si pone l'obiettivo di individuare un passaggio che dalle viscere della terra immetta nel mare aperto, scoprendo nel transito alcune meraviglie nascoste tra cunicoli, cattedrali sotterranee, laghi e gorghi (tutto ciò si presenta come un "santuario", un luogo pieno di divinità immanente, essitito da sempre e che rimarrà indifferente, comunque, al passaggio dell'uomo).
E' una spedizione estrema e la vita degli esploratori è continuamente a rischio, come in tutte le avventure di immersioni ultra-profonde e in condizioni di difficoltà ambientale (il freddo, il buio tipico delle grotte marine o sommerse).
Infatti, in una delle sequenze iniziali del film, la sommozzatrice Judes, compagna di immersioni di Frank, muore a causa di un incidente, mostrando in tutta la sua crudezza una delle regole principe delle immersioni in coppia secondo la quale occorre lasciare andare il proprio compagno d'immersione per salvare almeno una vita, quando si constata che non può essere più salvato dopo aver fatto tutto il possibile per aiutarlo a dominare il panico e a tirarlo fuori da una situazione difficile.
Una regola spietata, ma funzionale.
La decisione estrema e radicale di Frank (quasi ad inizio film) di allontanare da sé la sua collega di immersioni presa dal panico in una situazione critica di respirazione a due sott’acqua, lascia lo spettatore, non avvertito e ignaro delle pratiche subacquee, perplesso e sconcertato, apparendo come una scelta crudelissima e disumana. Davvero non ci sarebbe stata altra soluzione?, ci si chiede.
La risposta è no, proprio riferendosi a casi come questo, in cui la ratio ultima si fonda sul principio secondo il quale, in simili situazioni estreme, se non si è capaci di prendere rapidamente una decisione radicale, assumendosene tutte le responsabilità, invece di una vittima sola, ce ne sarebbero due.
Delle possibili declinazioni di un simile principio, dopo la doccia fredda iniziale, lo spettatore se ne renderà conto pienamente in tutto il successivo percorso degli sventurati esploratori (percorso che, peraltro, grazie agli effetti speciali e all'intensa partecipazione degli stunt, sembra essere costruito come un videogioco): ma di nulla si può lamentare chi ha fatto del rischio una pratica consuetudinaria.
Poi, nel prosieguo del film, il diavolo ci mette lo zampino e una tempesta tropicale si abbatte sulla spedizione, un fiume straripa e la grotta al cui fondo si trovano viene rapidamente allagata, sicchè - essendo preclusa la via d'uscita "normale" e considerando che è utopico pensare all'arrivo di squadre di soccorso - gli esploratori rimasti intrappolati devono tentare di scoprire una via d'uscita alternativa.
Qui la storia perde rapidamente di mordente perchè le situazioni si fanno via via più improbabili, mentre si attivano contrasti e conflitti tra i sopravvissuti che,dagli incidenti e dal confronto con situazioni sempre più estreme sono progressivamente falciati.
Il film stupisce per l'esibizione di ritrovati tecnologici: per esempio, nella ricostruzione stereotassica degli interni della grotta e dei suoi condotti come strumento tecnologico utilizzato dagli esploratori per visualizzare il risultato dei loro rilievi e progressi, mentre la visione in 3D man mano che il film va avanti risulta irrituale, sempre meno significativa e di scarso respiro.
Anche la riflessione sulle motivazioni nel portare avanti simili esplorazioni risulta debole e scontata, assieme alla rappresentazione quasi grottesca di una pratica dell'accettazione della morte, quando il trapasso risulta un evento ormai inevitabile (un tipo di filosofia sconfinante quasi con il culto di una forma di "eutanasia" da sport estremi: quando non ci sono più vie di uscita, ci si lascia andare alla morte oppure la si cerca attivamente).
I conflitti tra i personaggi sfociano nello scontro fisico violento e nel coinvolgimento in azioni avventate e dagli esiti disastrosi, in una situazione delicata in cui la perdita di controllo, il panico e la titubanza possono portare ad esiti letali.
Insomma, il film rimane sostanzialmente debole nel suo svolgimento, benchè le sue premesse avrebbero potuto ricevere un sviluppo ben più interessante. Fallisce anche un suo eventuale aspetto didascalico sulle spedizioni di speleologia subacquea estrema, sul suo significato e sul suo bilancio di vittime e dispersi (speleosub e cultori delle immersioni profonde nel fondo di doline "abissali" - come la Bushman's Hole - i cui corpi non sono stati più recuperati).
Come già detto, la visione in 3D risulta scasamente renumerativa rispetto al costo ben più salato del biglietto e all'onere dei pesanti occhialoni da indossare.
Il consiglio più sincero è che, se proprio lo si vuole vedere, lo si veda nella tradizionale versione 2D, quantomeno più economica!
Per chiudere, queste considerazioni, uno dei titoli di testa del film recita: "Basato su di una storia vera". Se è così non si tratta di un romanzo che è stato scritto a partire da una storia diaristica o da un reportàge. Pare le cose stiano così: Sanctum 3D si ispira ad un evento realmento accaduto che ha toccato da vicino uno dei produttori.
Nel 1988, il rinomato speleologo di grotte sottomarine, Andrew Wight, è stato a capo di una spedizione nell'inesplorato fondo marino di un nascosto sistema di grotte sotto il Nullarbor Plain, in Australia. Durante il suo viaggio, una tempesta tropicale causò il collasso dell'ingresso di una grotta, intrappolando quindici persone ad un'abissale profondità. Venne organizzata immediatamente una squadra di soccorso con un esito felice, poichè 15 sopravvissero tutti.
Quest'esperienza ha lasciato un segno indelebile nella mente di Wight e gli ha dato l'idea per sviluppare, insieme al suo collega di sempre, James Cameron, un film ispirato a quella grande sfida.
Con lo sceneggiatore John Garvin, Wight ha creato la storia, sottolineando come un legame affettivo (e di reciproca stima) fra un padre monolitico nella sua passione e un figlio dissidente e non pienamente convinto delle scelte del padre (e piuttosto costretto a subirle), si riscopra grazie a una terribile avventura, analizzando la potenza e la fragilità dei legami che nascono quando ci si trova davanti ad una calamità naturale e alla morte.
Sulle immersioni profonde e la vertigine, si rimanda al seguente link in "Stati della mente": Il profondismo e la vertigine
SCHEDA FILM
Titolo originale: Sanctum.
Azione, durata 109 min.
USA, Australia 2010. - Eagle Pictures
Uscita venerdì 11 febbraio 2011.
TRAILER
lunedì 24 gennaio 2011
Ascesa e declino di un nano libertino
C'era una volta un nano ambizioso, nato con la passione del mattone
Il nano tanto si diede da fare che, a poco a poco, ramazzando soldi a destra e a sinistra, riuscì a conquistare il potere ed essere a capo del governo della sua nazione di eroi, naviganti e condottieri.
Il mattoncino, che gli aveva dato tanti soldi e con cui aveva edificato la sua fortuna, il nano non lo dimenticò mai e, quando dormiva, se lo teneva sotto il cuscino, perchè gli dava ispirazione e tanti sogni auriferi.
Il nano era avido e la sua brama di denaro e potere era immensa: pur di assencondare le sue brame ed essere il primo del suo reame, non si sarebbe fermato davanti a niente.
Il nano era un ottimo prosseneta.Quando fiutava l'affare era pronto a puntare dritto alla sua preda: così facendo, mescolava assieme le sue faccende private con quelle dell'intera nazione, trattando quest'ultima come un impresa redditizia, di cui era a capo e che doveva far fruttare al meglio.
La sua avidità lo tradì, ad un certo punto: i suoi compagni di imprese lo abbandonarono e decadde dal suo governo.
Nell'ombra riprese a tramare per ritornare nell'agone più forte di prima, ma intanto si sentiva come un leone in gabbia e così diede pieno corso alla sua smodata lussuria che, assieme alla passione per il potere e i soldi, era il suo pallino.
Alcuni dicevano che fosse un nano molto dotato... sotto quel profilo, altri invece mormoravano (ma erano dicerie di palazzo) che, a differenza di ciò che si dice dei nani, avesse soltanto un grazioso, ma inefficace, pistolino.
Festini promiscui, scopatine a destra e a manca, orge e partouze: il nanetto voleva essere sempre in tiro e non esitava a far ricorso a molteplici chemical little helper per aver la mazza sempre dura come il ferro o di pietra, a somiglianza di quel mattoncino su cui aveva edificato la sua fortuna.
Era incorreggibile, il nanetto: non c'era giorno che egli non dovesse "puciare" il biscotto da qualche parte.
E in questo non sentiva ragioni: era divenuto peggio di un sesso-dipendente sessuomane e fescenninico.
Intanto, non tralasciava le sue trame.
Fai oggi e fai domani, il nano riuscì a tornare di nuovo alla guida della sua impresa... pardon, della nazione.
L'intermezzo festaiolo aveva lasciato il segno: di quelle scopate senza cerniera, ora che la bella fatina (per tanti anni, sua devota e paziente moglie, nonché madre dei suoi figli) lo aveva lasciato indispetttita per tanta libidine mal orientata, non ne poteva più fare a meno.
La confusione aumentò a dismisura: escort e misses varie dal discutibile passato e dal cervello di gallina divennero sue preziose collaboratirci al governo, veline reclutate per le sue trasmissioni preferite (quelle che lui stesso gestiva), invitate a partecipare ai festini di palazzo, accettavano di buon grado sperando di far presto carriera e di ricevere preziose e munifiche elargizioni: insomma, il nano celebrava la sua dissolutezza al pari di grandi e libidinosi governanti del passato di cui il nano riteneva d'essere grande e-mulo, come Caligola o anche qualcuno degli alti prelati più chiacchierati di epoca rinascimentale, ma anche del Dux in persona di cui si dice che, ogni giorno, ricevesse nel suo palazzo una fervente ammiratrice che, con ardore latino, faceva sua nel giro di pochi minuti, praticando l'ideologia della sveltina piuttosto che quella lenta, tantrica e filosofale.
Il nanetto si comportava da vero libertino, da mandrillo libidinoso, da stallone fervente e ripetitivo, rivendicando il diritto di poter vivere la propria vita privata (sesso senza frontiere) senza ritegno alcuno.
Si vantava di essere sempre pronto, ma più il tempo passava più aumentava la necessità degli aiutini chimici ed anche della necessità delle scopate promiscue per trarne la conferma della sua virilità: sveltine a ripetizione con donnine compiacenti, pronte a celebrare la sua presunta vigoria (ma altrettanto rapide a criticarlo nel pettegolezzo spicciolo in camera caritatis con amiche e conoscenti). Dentro una e via l'altra, con una coda di fanciulle piacenti e disponibili sempre in attesa dietro la porta della sua alcova reale (e il mattoncino se ne stava sempre al sicuro sotto il guanciale).
La mente del nanetto era infiammata dalle mille fantasie di sesso orgiastico che, senza posa, gli frullavano per la testa.
Era divenuto ancor di più un sessuomane, un sesso dipendente (e lo stesso Michael Douglas impallidiva al suo cospetto): e nessuno avrebbe mai potuto eguagliare tali gesta amatorie ormai divenute proverbiali e da Guinness dei primati.
Tutto ciò era imbarazzante: gli stessi suoi collaboratori gli consigliarono di rivolgersi ad un gruppo di Sex Anonymous, per arginare la sua verve scopatoria. Ma lui niente: ripeteva piccato "Della mia vita privata faccio quello che voglio..."
Ma le dicerie volavano e facevano il giro del mondo.
Perfino pornoattori di grido nazionale e d'oltre Oceano si tiravano rispettosamente indietro al suo cospetto e gli riconoscevano con umiltà la palma della vittoria.
In verità, lui era un pusillanime: non avrebbe mai avuto il coraggio di presentarsi nudo e crudo in un consesso di amanti del sesso promiscuo, da nano libero.
Lui no! Voleva avere la certezza del suo potere: tutto doveva essere controllato e messo preventivamente in sicurezza.
Le guardie dovevano tenere d'occhio tutti quelli che entravano e uscivano dal Palazzo e dalla sua alcova. Ed anche nel corso dei festini i bodyguard erano tenuti ad essere presenti, anche se travestiti da eunuchi (in modo da escludere preventivamente ogni forma di competizione), possibilmente nani.
In ogni caso, le donnine (nanette o gigantesse che fossero) era sempre meglio comprarle che sedurle in un gioco che, al nano, avrebbe rubato troppo tempo prezioso e per il nano alacre - recitano i testi - il tempo è denaro.
Alla fine, fu proprio la libidine, a decretarne la fine e a farlo ruzzolare per sempre dal trono di mattoncini che s'era costruito.
Il popolino si stancò presto di dovere essere spettatore delle sue sexuales gesta e assoldò un potente mago per inviargli il più potente maleficio.
Costui richiese qualche elemento su cui poter costruire il suo più efficace maleficio voodoo e venne rapidamente accontentato: gli portarono un ciuffetto di canuti peli pubici, appartenenti al nano e scippati dall'ultima sua fiamma presa dagli spasmi del delirio d'amore (ovviamente recitato: ma i capi devono essere compiaciuti).
Il mago costrui una statuina di gesso, racchiudendovi nel punto cruciale su di un membro svettante e sproporzionato rispetto alle dimensioni dell'effigie, proprio quel ciuffo di peli e lanciò il suo anatema.
Fu così che il nanetto malefico e libidinoso venne per sempre trasformato nella minuscola statuina di un Priapo dal fallo gigantesco, il volto eternamente fissato in un sorriso ghignante.
La statuina venne collocata nel museo delle italiche glorie, ma venne presto dimenticata.
Dopo un po', per ordini superiori, gli inservienti del museo, la trasferirono negli scantinati del palazzo e al suo posto collocarono una statua di Rocco Siffredi, promosso al rango di unico ed inarrivabile priapo del XXI secolo.
A ricordo del nano che ride rimasero solo alcune ballate popolari.
E poi, niente più, per sempre.
Le vignette sono di Luigi Alfieri che ringrazio per avermi consetito di utilizzarle.