sabato 2 gennaio 2010

I sogni e le ossessioni dello scrittore in una serie di disegni con una penna stilo che fa da protagonista



Scrivere di Daniel Pennac (Archinto, 2008) è un libro tutto da guardare.
Da leggere, c'è soltanto la breve - ma esaustiva - premessa dell'autore che ci rivela il senso di questa serie di disegni che, in origine, in Francia vennero pubblicati come raccolta di cartoline.
Racconta Pennac che da piccolo, quando imparava a scrivere, aveva l'incoercibile tendenza ad operare una "deriva" del segno scritto che da lettera si trasformava per trasformazioni successive in disegno, che andava ad occupare il margine delle lettere scritte: era come se le lettere dell'alfabeto, si animassero, diventando altro e acquistando vita autonoma.
Continuò ad accadere la stessa cosa, quando il fratello Jean-Louis, avendo preso atto del desiderio di scrivere espresso dal giovane Pennac, gli regalò una penna stilografica, una marca prestigiosa oggi scomparsa.
Anche usando la penna stilografica, Daniel continuò a mantenere il vezzo del disegno che si animava a partire dalle lettere vergate: solo che adesso compariva in infinite varianti lo strumento stesso della scrittura, cioè la penna stilografica, sempre quella donatagli dal fratello.
In seguito mi misi a scrivere su un quaderno e a disegnare su un altro: una vittoria del margine sul testo, insomma.
Il giovane Pennac, avendo imparato a scindere la scrittura dal disegno creativo, potè avviarsi nella carriera di scrittore, lasciandosi tuttavia aperto uno spazio per poter continuare a coltivare la passione del disegno che, prevalentemente, continuoò ad avere per oggetto la sua penna stilografica in tutte le sue possibili significazioni simboliche e trasformazioni.
La penna stilografica è infatti, per chi esercita la professione di scrittore, un ogggetto altamente pregnante, anche se oggi la maggior parte di chi scrive (per passione, per hobby o per mestiere) utilizza programmi di scrittura.
Che la penna sia legata alle personali ossessioni di Pennac scrittore è testimoniato dal fatto che la galleria di disegni è suddivisa in tre parti: sognare di scrivere; scrivere; avere scritto; morire di scrittura.
Che, poi, a ben guardare sono quattro fondamentali momenti del ciclo di vita di uno scrittore.
Assolutamente godibile: un bel passatempo di 15-20 minuti.

(da IBS)
Un curioso album che raccoglie 50 disegni di Daniel Pennac che hanno come protagonista una penna stilografica. Una vecchia Waterman che, a seconda dell'umore dell'autore, si trasforma in termometro, fa la siesta su una sdraio, o si sbuccia come una banana. Qui, una mano lancia una stilografica, come fosse una freccetta, verso un bersaglio che nei suoi cerchi concentrici rappresenta i diversi premi letterari, là la stilografica si consuma nel posacenere come la sigaretta dello scrittore che sa che, forse, l'ispirazione si è ridotta a un mozzicone. C'è poi la stilo-bolide, la stilo-atleta pronta a correre i cento metri, la stilo-culturista. Ci sono le stilografiche simili a proiettili nella cartucciera del panflettista e la stilo che viene fucilata. Il tutto rappresentato con il consueto fine umorismo e l'acuto spirito di osservazione di Pennac, che in questo caso, anziché con le parole, si esprime attraverso il disegno.

Cenni biografici
Daniel Pennac, pseudonimo di Daniele Pennacchioni (Casablanca, 1º dicembre 1944), è uno scrittore francese. Già autore di libri per ragazzi, nel 1985, comincia - in seguito ad una scommessa fatta durante un soggiorno in Brasile - una serie di romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène, capro espiatorio di "professione", alla sua inverosimile e multietnica tribù, composta di fratellastri, sorelle veggenti, madre sempre innamorata e incinta, e a un quartiere di Parigi, Belleville.
Nel 1992, Pennac ottiene un grande successo con Come un romanzo, un saggio a favore della lettura.
«L'uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire».
Evita scritti autobiografici, per non tradire l'intimità familiare, e s'è autoimposto che, in ogni romanzo, debba avvenire sempre una nascita importante.

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