martedì 16 giugno 2009

L'insegnamento di Philippe Petit, ultra-funambolo e pensatore spontaneamente mistico


Philippe Petit ha compiuto delle imprese davvero straordinarie. Tutta la sua vita (adesso si avvicina ai sessanta) è stata una continua ricerca della perfezione, sotto la spinta di un'inestinguibile passione. Quale? Quella di avvicinarsi sempre più al cielo, ma tenendo sempre i piedi poggiati "a terra" (si fa per dire...) o, meglio, su una fune o su un cavo d'acciaio. teso all'inverosimile. Prestigiatore, mimo, anche - per un breve periodo - borseggiatore, saltimbanco e, alla fine funambolo e tutto, sempre, da autodidatta. E che funambolo! Philippe Petit non s'è mai accontentato di fare il semplice funambolo da circo, quello che tutti abbiamo visto camminare su una fune tesa a sette-dieci metri da terra, ma con la rete di sicurezza distesa al disotto: ha voluto specializzarsi in avventure spettacolari (che lui definisce semplicemente "passeggiate") e, da questo punto di vista, si può equiparare a quei runner che tentano imprese estreme mai tentate prima, come - ad esempio - Michael Collins (indubbiamente un paradigma nel campo dell'ultramaratona estrema, ma anche scrittore di successo). Imprese come - giusto per elencarne alcune - la passeggiata tra le due torri di Notre Dame de Paris, la traversata sulle cascate del Niagara, oppure la camminata di 800 metri su di una corda tesa - in diagonale e in pendenza - sino al secondo piano della Tour Eiffel, o ancora la traversata dalla sommità di una delle Twin Towers all'altra. Nel corso della sua vita ha accumulato un numero sorprendente di arresti (alcuni dicono 500) dal momento che queste sue imprese - salvo i rari casi in cui è stato autorizzato preventivamente come nel caso di quella della Tour Eiffel - sono tutte illegali, arresti che sono giunti al compimento dell'impresa, oppure prima.


Ognuna delle sue imprese, come la traversata delle Twin Towers, quella in assoluto più famosa, richiede progettazione, attenta pianificazione, preparazione tecnica (compreso l'allestimento di tutti i materiali tecnici occorrenti, a partire dal cavo che, di volta in volta, in funzione delle caratteristiche della passeggiata (altitudine, forza dei venti, pendenza) deve essere appositamente costruito.
Qual'è la singolarità di Philippe Petit e la lezione che egli ci trasmette? E soprattutto qual'è il suo interesse per noi? - si chiederanno in molti.

Ci sono due aspetti da prendere in considerazione, essenzialmente.
Il primo è sicuramente l'esistenza di un punto di affinità tra Philippe Petit e tutti coloro che tentano imprese estreme, spinti ad andare sino in fondo da una passione forte ed intensa - e spesso inspiegabile nelle sue radici più profonde.
E questo è il motivo più generico.

Il secondo assume delle connotazioni ben più specifiche e ci fornisce degli spunti fecondi di riflessione nella pratica degli sport estremi e soprattutto di quelli condotti in solitudine, spostando il fulcro della speculazione sulle origini della capacità dell'individuo di fronteggiare difficoltà, fatiche, insidie ambientali non comuni in una pratica che è innanzitutto mentale, prima che del corpo.
Diciamo pure che questa breve riflessione, di cui vedremo più avanti la specifica enunciazione che ne fa Philippe Petit, potrebbe essere uno degli elementi su cui si fonda la resistenza mentale nelle gare di endurance e negli sport estremi più diversi.
Philippe Petit ha scritto ben tre libri.
Uno, quando ancora aveva 17 anni e quando - come lui stesso afferma - ancora non sapeva nulla degli aspetti pratici del funambolismo e delle intuizioni che vi sono contenute oggi lui stesso non finisce mai di stupirsi, quando gli capita di rileggerlo (Trattato di funambolismo, Ponte alle Grazie, 1999).

Nel secondo volume, Toccare le nuvole. Fra le Twin Towers, i miei ricordi di funambolo (Ponte alle Grazie, 2003), corredato da una serie di illustrazioni (per lo più foto in BN), iracconta con ricchezza di dettagli la progettazione, la pianificazione e, infine, la realizzazione della "passeggiata" tra le due Torri del WTC di New York.

Infine, il terzo (che è quello che ci interessa), Credere nel vuoto (Bollati Boringhieri, 2008), realizzato con il materiale raccolto in occasione di uno degli incontri organizzati da Torino Spiritualità (www.torinospiritualità.org) che si propone "di porre domande che non cercano mai una sola risposta", su temi che intersecano la filosofia, la teologia, la storia delle religioni, la politologia, le scienze sociali e quelle umane.
Infatti, per la singolarità delle sue scelte e dell suo modo di vivere, ma anche per ila sintesi originale di pensiero che egli fa sulla sua vita, Philippe Petit è anche considerato uno che ha qualcosa da dire a chi si occupa di spiritualità e che non si accontenta di risposte univoche a domande semplici.
Ed è più che legittimo attendersi questo da un uomo temprato a camminare vicino al cielo, senza poterlo mai toccare e con il suolo sotto di sé ad un'infinita distanza senza nessuna protezione: un uomo solo tra terra e cielo con la sua immensa fragilità e armato della sua passione e di una forte volontà.

In quest'ultimo libro (che è la trascrizione esatta della conferenza-incontro con il gruppo torinese, con la moderazione di Michele Serra), Philippe Petit ci spiega che le sue "passeggiate" (come ama definirle) sono innanzitutto una faccenda di testa, prima ancora che una performance fisica. Bisogna innanzitutto volere e credere, è una faccenda di fede, dunque - spiega Petit. Camminare sul filo, per lui, è una specie di "religio" nel senso dei Latini (dal verbo "religare", cioè unire legando assieme. Nella sua esperienza, Philippe Petit parte da un punto noto e sa che dovrà compiere una traversata sino ad un punto ignoto e che, da quel momento, quei due punti saranno per sempre uniti, anche quando le luci si saranno spente e quel cavo d'acciaio teso sul vuoto, su cui lui ha camminato con semplicità sarà stato smontato.
Nelle semplici parole con cui si esprime, Philippe Petit dimostra di essere davvero un uomo straordinario che ha compiuto imprese storiche e mirabolanti che rimangono per sempre nei nostri cuori, come quella memorabile ed emozionante del 1974 (le Twin Towers). Ora le torri del WTC non ci sono più, il ricordo della sua impresa rimane e segna con un marchio profondo di fede e speranza un mondo che questi due valori sembra non possederli più.

Philippe Petit è un uomo interessante e volitivo, anche perchè afferma - con il carisma che gli compete - che se uno vuole può sviluppare il talento per compiere qualsiasi cosa gli piaccia fare: in altri termini, come affermava con forza anche Lawrence d'Arabia - altro personaggio straordinario - "Nulla è scritto", mentre ciò che importa veramente nel raggiumento dell'obiettivo che ci si è posto sono la determinazione e l'applicazione, la volontà e la costanza: armati di queste qualità, e avendo anche fede in se stessi, nelle proprie capacità e nelle proprie forze, si può arrivare dovunque. In questo senso, Philippe Petit enuncia una formulazione che entra in contraddittorio con il luogo comune secondo cui "...per compiere imprese straordinarie, occorrano uomini straordinari". Al contrario egli sembra sosteneere che un qualsiasi uomo comune può realizzare cose fuori dal comune, purchè animato dalla passione e da incrollabile determinazione e coraggio, ma senza essere temerario Nell'essere temerario è contenuto il germe della hubris e della supervalutazione di sé che, alla lunga, genera il fallimento.

Come insegna Philippe Petit, non tutto si può raggiungere: alcune imprese, lungamente studiate, dopo anni di preparativi si fermano prima della loro realizzazione. Ma è già importante che tutte le energie interiori siano state profuse nella fase della progettazione, anche se poi viene a mancare il segmento finale della performance, in senso stretto. Quell'impresa non compiuta rimarrà come "sogno nel cassetto" e fornirà "carburante" per la progettazione e la realizzazione di altre avventure.
Con le sue parole Philippe Petit ci trasmette così un messaggio di grande spiritualità, pur dichiarando di non essere credente nel senso ordinario della parola.

Il decano Morton della chiesa newyorkese di Saint John the Divine dove Philippe vive da quasi 25 anni in una parte dell'edificio che il decano gli ha concesso per il suo uso abitativo privato ha detto significativamente di lui: "Philippe non crede in Dio. Dio però crede in Philippe", nel senso che Dio vede il dio che è in lui.

Per finire, ecco un passaggio molto intenso della conversazione di Philippe Petit e che contiene sinteticamente tutta la sua filosofia e che lancio così com'è, senza ulteriori commenti.
"...quello che faccio non ha nulla a che vedere con il corpo. Passione, intuizione, ricerca della perfezione, tenacia, amore per qualcosa: tutto questo è frutto della mente. Per camminare su una corda tesa si ha certamente bisogno del corpo, ma prima di tutto è necessario generare una sorpredente energia di solidità e di fede: bisogna credere. Quando sono sulla fune, quando, dopo aver afferrato la mia asta da equilibrista, sono pronto a partire, devo sapere in anticipo, prima di fare il primo passo, che arriverò dall'altra parte. Se non lo sapessi, fuggirei via perchè sarebbe terrificante. Questa è fede. Forse è una fede religiosa: di certo ha a che fare con la mente. La mia filosofia è di avere un'idea, un progetto, impegnare la mia mente in qualcosa e poi coinvolgere il corpo, tirandolo per una manica. Il corpo seguirà la mente. Certo, per fare le sue famose dodici piroette Baryshnikov* ha bisogno di dodici anni di lavoro, ma è solo un dettaglio. La cosa importante è la mente.". (ib., pp 44-45)

* Nota - Michail Nikolaevich Baryšnikov è un ballerino, coreografo e attore russo naturalizzato statunitense. Nato in Lettonia da genitori russi, viene avviato giovanissimo alla danza classica: a dodici anni entra nell'Accademia di Ballo Vaganova, a diciotto diventa solista del Balletto Kirov e nel 1974, durante una tournée in Canada con il Bolshoi Ballet, chiede asilo politico a Toronto. Successivamente, da Toronto si trasferisce negli Stati Uniti d'America. Dal 1974 al 1979 è primo ballerino dell'American Ballet Theatre, continuando tuttavia a fare sporadiche esibizioni con altre compagnie di balletto classico e danza moderna. Nel 1980 entra nel New York City Ballet per un anno e mezzo, dove lavora con il coreografo George Balanchine. Dopo questa esperienza ritorna all'American Ballet Theatre come ballerino e direttore artistico (posizione che manterrà per dieci anni). Il 3 luglio1986 viene naturalizzato cittadino statunitense.

2 commenti:

  1. « Uomo dell'aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell'anima di chi è a corto di sogni »
    Fantastico.

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