lunedì 24 gennaio 2011

Ascesa e declino di un nano libertino


C'era una volta un nano ambizioso, nato con la passione del mattone

Il nano tanto si diede da fare che, a poco a poco, ramazzando soldi a destra e a sinistra, riuscì a conquistare il potere ed essere a capo del governo della sua nazione di eroi, naviganti e condottieri.

Il mattoncino, che gli aveva dato tanti soldi e con cui aveva edificato la sua fortuna, il nano non lo dimenticò mai e, quando dormiva, se lo teneva sotto il cuscino, perchè gli dava ispirazione e tanti sogni auriferi.

Il nano era avido e la sua brama di denaro e potere era immensa: pur di assencondare le sue brame ed essere il primo del suo reame, non si sarebbe fermato davanti a niente.

Il nano era un ottimo prosseneta.Quando fiutava l'affare era pronto a puntare dritto alla sua preda: così facendo, mescolava assieme le sue faccende private con quelle dell'intera nazione, trattando quest'ultima come un impresa redditizia, di cui era a capo e che doveva far fruttare al meglio.

La sua avidità lo tradì, ad un certo punto: i suoi compagni di imprese lo abbandonarono e decadde dal suo governo.

Nell'ombra riprese a tramare per ritornare nell'agone più forte di prima, ma intanto si sentiva come un leone in gabbia e così diede pieno corso alla sua smodata lussuria che, assieme alla passione per il potere e i soldi, era il suo pallino.

Alcuni dicevano che fosse un nano molto dotato... sotto quel profilo, altri invece mormoravano (ma erano dicerie di palazzo) che, a differenza di ciò che si dice dei nani, avesse soltanto un grazioso, ma inefficace, pistolino.

Festini promiscui, scopatine a destra e a manca, orge e partouze: il nanetto voleva essere sempre in tiro e non esitava a far ricorso a molteplici chemical little helper per aver la mazza sempre dura come il ferro o di pietra, a somiglianza di quel mattoncino su cui aveva edificato la sua fortuna.

Era incorreggibile, il nanetto: non c'era giorno che egli non dovesse "puciare" il biscotto da qualche parte.

E in questo non sentiva ragioni: era divenuto peggio di un sesso-dipendente sessuomane e fescenninico.

Intanto, non tralasciava le sue trame.

Fai oggi e fai domani, il nano riuscì a tornare di nuovo alla guida della sua impresa... pardon, della nazione.

L'intermezzo festaiolo aveva lasciato il segno: di quelle scopate senza cerniera, ora che la bella fatina (per tanti anni, sua devota e paziente moglie, nonché madre dei suoi figli) lo aveva lasciato indispetttita per tanta libidine mal orientata, non ne poteva più fare a meno.

La confusione aumentò a dismisura: escort e misses varie dal discutibile passato e dal cervello di gallina divennero sue preziose collaboratirci al governo, veline reclutate per le sue trasmissioni preferite (quelle che lui stesso gestiva), invitate a partecipare ai festini di palazzo, accettavano di buon grado sperando di far presto carriera e di ricevere preziose e munifiche elargizioni: insomma, il nano celebrava la sua dissolutezza al pari di grandi e libidinosi governanti del passato di cui il nano riteneva d'essere grande e-mulo, come Caligola o anche qualcuno degli alti prelati più chiacchierati di epoca rinascimentale, ma anche del Dux in persona di cui si dice che, ogni giorno, ricevesse nel suo palazzo una fervente ammiratrice che, con ardore latino, faceva sua nel giro di pochi minuti, praticando l'ideologia della sveltina piuttosto che quella lenta, tantrica e filosofale.

Il nanetto si comportava da vero libertino, da mandrillo libidinoso, da stallone fervente e ripetitivo, rivendicando il diritto di poter vivere la propria vita privata (sesso senza frontiere) senza ritegno alcuno.

Si vantava di essere sempre pronto, ma più il tempo passava più aumentava la necessità degli aiutini chimici ed anche della necessità delle scopate promiscue per trarne la conferma della sua virilità: sveltine a ripetizione con donnine compiacenti, pronte a celebrare la sua presunta vigoria (ma altrettanto rapide a criticarlo nel pettegolezzo spicciolo in camera caritatis con amiche e conoscenti). Dentro una e via l'altra, con una coda di fanciulle piacenti e disponibili sempre in attesa dietro la porta della sua alcova reale (e il mattoncino se ne stava sempre al sicuro sotto il guanciale).

La mente del nanetto era infiammata dalle mille fantasie di sesso orgiastico che, senza posa, gli frullavano per la testa.

Era divenuto ancor di più un sessuomane, un sesso dipendente (e lo stesso Michael Douglas impallidiva al suo cospetto): e nessuno avrebbe mai potuto eguagliare tali gesta amatorie ormai divenute proverbiali e da Guinness dei primati.

Tutto ciò era imbarazzante: gli stessi suoi collaboratori gli consigliarono di rivolgersi ad un gruppo di Sex Anonymous, per arginare la sua verve scopatoria. Ma lui niente: ripeteva piccato "Della mia vita privata faccio quello che voglio..."

Ma le dicerie volavano e facevano il giro del mondo.

Perfino pornoattori di grido nazionale e d'oltre Oceano si tiravano rispettosamente indietro al suo cospetto e gli riconoscevano con umiltà la palma della vittoria.

In verità, lui era un pusillanime: non avrebbe mai avuto il coraggio di presentarsi nudo e crudo in un consesso di amanti del sesso promiscuo, da nano libero.

Lui no! Voleva avere la certezza del suo potere: tutto doveva essere controllato e messo preventivamente in sicurezza.

Le guardie dovevano tenere d'occhio tutti quelli che entravano e uscivano dal Palazzo e dalla sua alcova. Ed anche nel corso dei festini i bodyguard erano tenuti ad essere presenti, anche se travestiti da eunuchi (in modo da escludere preventivamente ogni forma di competizione), possibilmente nani.

In ogni caso, le donnine (nanette o gigantesse che fossero) era sempre meglio comprarle che sedurle in un gioco che, al nano, avrebbe rubato troppo tempo prezioso e per il nano alacre - recitano i testi - il tempo è denaro.

Alla fine, fu proprio la libidine, a decretarne la fine e a farlo ruzzolare per sempre dal trono di mattoncini che s'era costruito.

Il popolino si stancò presto di dovere essere spettatore delle sue sexuales gesta e assoldò un potente mago per inviargli il più potente maleficio.

Costui richiese qualche elemento su cui poter costruire il suo più efficace maleficio voodoo e venne rapidamente accontentato: gli portarono un ciuffetto di canuti peli pubici, appartenenti al nano e scippati dall'ultima sua fiamma presa dagli spasmi del delirio d'amore (ovviamente recitato: ma i capi devono essere compiaciuti).

Il mago costrui una statuina di gesso, racchiudendovi nel punto cruciale su di un membro svettante e sproporzionato rispetto alle dimensioni dell'effigie, proprio quel ciuffo di peli e lanciò il suo anatema.

Fu così che il nanetto malefico e libidinoso venne per sempre trasformato nella minuscola statuina di un Priapo dal fallo gigantesco, il volto eternamente fissato in un sorriso ghignante.

La statuina venne collocata nel museo delle italiche glorie, ma venne presto dimenticata.

Dopo un po', per ordini superiori, gli inservienti del museo, la trasferirono negli scantinati del palazzo e al suo posto collocarono una statua di Rocco Siffredi, promosso al rango di unico ed inarrivabile priapo del XXI secolo.

A ricordo del nano che ride rimasero solo alcune ballate popolari.

E poi, niente più, per sempre.

Le vignette sono di Luigi Alfieri che ringrazio per avermi consetito di utilizzarle.

giovedì 20 gennaio 2011

In un romanzo di Carlotto, il fascino della "Barberia" a cavallo tra il XVI e il XVII secolo


In decine di migliaia si convertirono all'Islam nel periodo tra il XVI e il XVII secolo, unendosi ai corsari musulmani provenienti dal Nord Africa per le loro scorrerie nei paesi costieri dei territori della cristianità. Tunisi, Algeri, Rabat: queste le loro roccaforti ubicate nei vasti territori dell'odierno Mahgreb che veniva allora indicato con il termine generico di "Barberia" dalle quali partivano continue scorribande come parte di un'attività che, a detta di alcuni, fu una continuazione delle Crociate e un'asserzione dell'indomito spirito dei musulmani, mai veramente piegati dalle mire espansionistiche e di dominio economico della Cristianità nei territori del Medio-Oriente.
Secondo alcuni contemporanei la "Barberia" fu, a tutti gli effetti, una sorta di Far West del Mediterraneo, il cui controllo era conteso tra Musulmani e Cristiani, con diritto di cittadinanza per spiriti liberi e avventurieri.
Quello dei rinnegati (o renegados, in spagnolo, o degli "apostati") rimane tutt'ora un fenomeno misterioso ed inspiegabile, anche perchè non vi fu nulla di simile da parte dei Musulmani: non si registrarono quasi mai defezioni o conversioni. I Musulmani venivano tratti in schiavitù dai Cristiani e tali restavano, fedeli alla loro cultura e al loro credo religioso.
Perchè in tanti rinnegarono la loro fede, divendendo quelli che furono definiti i "cristiani di Allah"?
Uno dei pochi studi su questo fenomeno, attualmente disponibile è quello di Peter Lamborn Wilson, anche conosciuto come Akim Bey (uno scrittore politico nordamaericano, saggista e poeta, autore del classico TAZ. Zone temporaneamente autonome). Wilson nel suo saggio Le repubbliche dei pirati. Corsarimori e rinnegati europei nel Mediterraneo (Shake edizioni, 2008) ipotizza che si sia trattato di una forma di resistenza sociale e che tanti trovassero uno sbocco fecondo per un rinnovamento della propria esistenza in un clima non oppressivo ed oscurantista, come era divenuta l'Europa della Controriforma.
Nel suo saggio di ampio respiro, Wilosn - naturalmente interessato per via dei suoi preceenti saggi - a tutte le forme di resistenza sociale - si focalizza particolarmente sulla Repubblica corsara di Salé (l'odierna Rabat), la forma più evoluta tra tutte le comunità corsare del Nord Africa.
Come integrazione, ricca di quei cromatismi che solo possono derivare dalla narrativa, "Cristiani di Allah. Un noir mediterraneo" (2008) di Massimo Carlotto (per i tipi di E/O, 2008), perfetttamente documentato, ci dà un'idea di com'era la vita nel Nord Africa popolato dai Saraceni e divenuto nel frattempo zona di influenza dell'Impero ottomano, ispirandosi in questo liberamente, come fonte documentaria al volume "I cristiani di Allah" di Bartolomé e Lucille Bennassar, pubblicato nel 1991 in traduzione italiana da Rizzoli e oggi purtroppo introvabile.
Pirpiri, giannizzeri, bey, schiavi e rinnegati, moriscos, musici tratti in schiavitù, monaci redentoristi fanno parte della moltitudine di personaggi che compaino in questo romanzo storico che, con le sue coloriture noir, ci introduce nel mondo "libero" di Algeri dove tanti cristiani decidevano di andare a stare da rinnegati per potere vivere le proprie inclinazioni (come l'omosessualità: ed è il caso del protagonista, con la sua passione per il germanico Othmane) e per poter trovare rapidamente la via verso l'agio, la ricchezza, la dissolutezza.
Un mondo tendente al tramonto, perchè sempre più dominato dalla forza militare turca, rappresentata dai temuti giannizzeri, cui in virtù di accordi di pace sono stati concessi diritti (e privilegi) immensi.
Questo mondo, oltre che dal volume già citato, è illuminato da un altro libro oggi pure introvabile, purtroppo: si tratta della storia autobiografica di Emanuel de Aranda che, commerciante e appartenente all'alta borghesia di Bruges, venne tratto in schiavitù dai pirati di Algeri e che, dopo un lungo periodo di cattività, grazie all'intervento di mediatori e dietro pagamento d'un congruo riscatto, riuscìa fare ritorno alla civilità nord europea (Emanuel De Aranda, Il riscatto, Serra e Riva editori, 1981).
Il romanzo di Carlotto ci illumina sula condizione dei cristiani che vengono tratti come schiavi dai Saraceni per poi chedere un riscatto - grazie all'intercessioni di speciali confraternite religiose che lucravano le loro tangenti da queste operazioni - ma anche sulla condizione e sulle motivazioni dei "rinnegati", cioà di coloro che, venendo dal mondo della cristianità, decidevano di convertirsi all'Islam e, infine, sulle scorrerie dei Saraceni lungo le coste dell'Italia e della Francia (comprese le grandi isole) alle ricerca di bottini, di merci pregiati, di schiavi, in ciò coadiuvati in modo determinante proprio dai rinnegati che guidavano le scorrerie nei luoghi che a loro erano noti e di cui conoscevano debolezze e punti di vulnerabilità, frequentemente alla ricerca di vendette.
Il volume nasce come come "concept book": è accompagnato infatti da un godibile CD contenente delle musiche appositamente costruite per il romanzo da Maurizio Camardi e Mauro Palmas e che andrebbero ascoltate come "colonna sonora" e contrappunto di ciascun capitolo.
Le musiche si avvalgono di antichi strumenti maghrebini, quali il Duduk.
Cristiani di Allah - nella filiera letteraria di Massimo Carlotto - si pone come un romanzo insolito che, ciò nondimeno, pur con la sua particolare cornice storica, si tinge di noir e forse anche di una certa coloritura autobiografica visto che Readouane e Othmane sono ambedue dei fuoriusciti (a cui indubbiamente vanno tutte le simpatie dell'autore).
Proprio per questa lieve incursione nel noir, il sottotitolo recita: "Noir mediterraneo".


La sintesi del volume.
Algeri, 1541. Il Mediterraneo è teatro di guerre, razzie, traffici di schiavi, scontri ideologici e religiosi. La possente armata di Carlo V, punta di lancia della Cristianità, viene annientata alle porte della capitale nordafricana dai corsari di Hassan Agha, che reggono la città per conto del sultano di Costantinopoli. I corsari sono in gran parte dei rinnegati, ossia degli europei cristiani che hanno abbracciato l'Islam, per interesse, come scelta di libertà o più semplicemente per poter saccheggiare navi e depredare coste nel Mediterraneo sotto la protezione della Sublime Porta. Anche Redouane e Othmane, i protagonisti del romanzo, sono dei corsari rinnegati. Il primo albanese, il secondo tedesco, ex lanzichenecchi, hanno scelto là libertà di Algeri, da dove salpano sul loro sciabecco per le scorrerie e dove credono, di poter vivere indisturbati la loro storia d'amore proibita. Othmane però commetterà l'errore di invaghirsi-di un giannizzero, uno dei fanatici e spietati cani da guardia del sultano, e trascinerà anche Redouane in un gorgo di vendette, agguati, intrighi.

martedì 11 gennaio 2011

"Hereafter" di Clint Eastwood: l'intreccio di tre storie di vita alla ricerca di risposte sul dopo-morte


Con "Hereafter" (USA, 2010) Clint Eastwood propone al grande pubblico una pacata riflessione sul dopo-morte, raccontata attraverso tre diverse vite che finiscono tutte per incontrarsi, ciascuna di loro dando - infine un senso alla propria inquieta ricerca e trovando risposte ai propri interrogativi.
Marie Lelay è una giornalista francese sopravvissuta alla morte e allo tsunami. Rientrata a Parigi, si interroga sulla sua esperienza di quasi-morte, sospesa tra brillantezza di una luce accecante in cui si aggirano ombre indistinte e l'oscurità definitiva, alienandosi con la sua determinazione a voler soddisfare sino in fondo la propria irrequietezza epistemofilica, fidanzato ed editore.

Marcus è un ragazzino inglese che, con una madre tossicodipendente e poco attenta, sopravvive al fratello gemello travolto da un tragico destino: rimasto solo, cerca ostinatamente - ma invano - di entrare in contatto con Jason, di cui continua ad indossare il berrettino a visiera e conserva le ceneri, attivandosi in una ricerca - il più delle volte deludente - tra medium e sensitivi che promettono a clienti indifesi di essere in grado di stabilire un contatto con i loro defunti.

George Lonegan è un operaio americano in grado di vedere al di là della vita. Deciso a ripudiare quel dono (che per lui è divenuto una "maledizione" e fonte di profonda solitudine) e a conquistarsi un’esistenza finalmente normale, George si rifugia nella lettura consolatoria dei romanzi di Dickens e, contemporaneamente, frequenta un corso di cucina italiana.

Sarà proprio la sua passione per il grande scrittore britannico a condurlo fino a Londra, dove vive Marcus e dove Marie si è recata per presentare il suo nuovo libro ("Hereafter. The conspiracy of silence"), in cui sviluppa un'inchiesta sull'Aldilà e sui fenomeni di quasi-morte, proprio partendo dalla sua personale esperienza, e sulla "conspirazione" di silenzio (scaturente da negazione e/o rimozione) che avvolge tali fenomeni
L’incontro tra i tre, segnati da un comune destino, sarà inevitabile. George, Marcus e Marie (ciascuno dei quali è portatore di un pezzetto di esperienza scissa che deve essere integrata in quella degli altri due) troveranno soccorso alla loro inquietudine, conforto al loro profondo isolamento emozionale e risposte ai propri quesiti su ciò che sta al di là della vita.
I loro turbamenti, la loro malinconia e la loro tristezza potranno finalmente ricomporsi.
"Nella compostezza di una straordinaria classicità, che si concede un momento di tensione quasi insostenibile nella sequenza lunga e spietata del maremoto, l’ultimo film di Clint Eastwood insegna qualcosa sulla vita confrontandosi con la morte, quella verificata (Marie), quella subita (Marcus), quella condivisa (George)"(Marzia Gandolfi, in www.mymovies.it).
Tutti e tre sono stati toccati dalla morte: Marie (Cécile De France), perchè è entrata in uno stato di quasi-morte e poi ne è venuta fuori; Marcus (Frankie McLaren) perchè, toccato dalla tragedia della morte del gemello (che rappresentava una sua viscerale metà), vuole andare a "vedere" cosa c'è nell'aldilà proprio per stabilire un ultimo contatto con Jason; George Lonegan (Matt Damon) perchè ha il dono di sentire e di vedere i morti degli altri (grazie al semplice tocco della mano di un vivente) e per questo viene cercato da tanti che sentono il bisogno di stabilire un ultimo contatto con i propri cari defunti, di sapere qualcosa di loro.
Ognuno dei tre personaggi fa da controcanto agli altri due, in una danza continuamente divisa tra l'aver visto, il voler andare a vedere e il voler riuscire a vedere.

Dall'incontro tra loro (incontri che avvengono sfalsati) queste tre modalità del vedere si ricomporranno in una visione più unitaria e, soprattutto, meno tormentata.
Il film di Clint Eastwood, pur offrendo una visione molto laica e secolare dell'Aldilà (un luogo in cui le "entità" dei defunti semplicemente "stanno" come ombre, avvolte in una bianca luminosità) senza alcun riferimento ad uno specifico credo confessionale, è stato apprezzato negli ambienti religiosi cattolici, perchè - in ogni caso - offre uno sguardo prospettico e di continuità tra la vita, la morte ed un ipotetico dopo-morte.
La fede - per chi eventualmente ha la fortuna di possederla e praticarla - aiuta a trovare un senso e a dare forma a questo ipotetico Hereafter prefigurato dal film, che - già in sé - è piuttosto consolatorio.
Clint Eastwood dimostra ancora una volta - con questa prova d'artista in cui il rigore documentaristico, assieme all'ampiezza e alla varietà degli scenari e dei contesti, si combina con la levità del tocco poetico con cui riesce a trattare così difficili questioni - di essere un regista grande e completo (anche la colonna sonora - come in Gran Torino - è sua).


Scheda film
Un film di Clint Eastwood.

Interpreti: Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren, Thierry Neuvic, Marthe Keller, Jay Mohr, Richard Kind, Charlie Creed-Miles, Lyndsey Marshal, Rebekah Staton, Declan Conlon, Marcus Boyea, Franz Drameh, Tex Jacks, Taylor Doherty, Mylène Jampanoï, Stéphane Freiss, Laurent Bateau, Steve Schirripa, Joe Bellan, Jenifer Lewis, Tom Beard, Andy Gathergood, Helen Elizabeth, Niamh Cusack, George Costigan, Claire Price, Surinder Duhra, Sean Buckley, Paul Antony-Barber, Selina Cadell, Thomas Price, Céline Sallette, Celia Shuman, Joanna Croll, Jack Bence, Derek Jacobi

Drammatico, durata 129 min.
USA 2010. - Warner Bros Italia

Uscita mercoledì 5 gennaio 2011.
TRAILER

giovedì 6 gennaio 2011

La Tabaccheria Riggio di Palermo: un luogo cult e trans-generazionale per gli estimatori del tabacco, e non solo


Nelle città alcuni luoghi - non solo quelli monumentali e storici - contribuiscono a formare la memoria storica e affettiva dei cittadini che vi abitano. Possono essere, banalmente, degli incroci, dei giardinetti, una lapide commemorativa, una statua, una panchina, degli alberi dalla forma particolare, un'edicola votiva e,a volte, anche degli esercizi commerciali che persistono immutati nel tempo.

Sono punti di riferimento e di aggancio delle proprie memorie affettive. "Io ci andavo con mio padre", ad esempio, potrebbe dire qualcuno. Oppure: "Lì, mi incontravo spesso con i miei amici di scuola", affermerebbe un altro. O ancora: "E' stato lì che ci siamo dati appuntamento per la prima volta con la mia prima ragazza".

La memoria di tali luoghi si tramanda volentieri di padre in figlio, da una generazione all'altra: ed è così che si rafforza e si radica la propria identità.

Ed è così che in taluni contesti si mantengono nel tempo, degli antidoti efficaci contro l'anonimato dei "non-luoghi" (nel senso foucaultiano del termine) imposti dalla iper-modernità asfissiante e vuota (priva di storia e di memorie collettive) dei Centri commerciali, degli Outlet e di altre strutture similari.

La Tabaccheria Riggio di Palermo (da sempre in via Dante 82) appartiene indubbiamente a questa tipologia di luoghi e, a buon diritto - con la sua ormai venerabile età - si può considerare, un pezzo di storia della Palermo moderna, poichè ha sempre rappresentato un punto di riferimento dei fumatori raffinati e "amatoriali" per diverse generazioni, mantenendo tuttora - pur con alcuni adattamenti alla modernità - un suo stile peculiare.

Infatti, propone una serie di articoli destinati ai "gourmet" del tabacco, nelle sue molteplici declinazioni: diposendo di molteplici articoli: dalle sigarette ai sigari (specialista in "habanos"), alle pipe e ai tabacchi da pipa, ma anche ai tabacchi da sigaretta, inclusi tutti i diversi e più raffinati accessori che fanno del fumare un'arte che molti cercano di mantenere malgrado le restrizioni salutiste nei riguardi del fumo.

Il negozio dispone perfino di preparazioni del tabacco ormai desuete ed introvabili nella maggior parte delle tabaccherie "ordinarie", come il tabacco da fiuto e quello da masticare.

Insomma, la Tabaccheria Riggio promuove a pieno campo una "cultura" del tabacco e dei suoi accessori. Di ciò fanno fede alcune iniziative culturali che sono paragonabili alle degustazioni di vini pregiati. Per esempio, nel 2008, all'Ex-Deposito delle Ferrovie Sant'Erasmo di Palermo (tra il 28 e il 29 maggio), ha avuto luogo la manifestazione "E' tempo di cioccolata" nel corso della quale era possibile, senza nessun costo aggiuntivo rispetto a quello (modico: appena cinque euro) del biglietto d'ingresso, la degustazione di sigari Davidoff.

Un po' di storia

Dal 1920 tre generazioni si sono susseguite nella gestione della tabaccheria Riggio, ubicata a Palermo, in via Dante 82.. Fondata dal nonno dell'odierno proprietario, che volendo ampliare la sua attività lasciò il paese di origine nella provincia di Palermo per rilevare la già allora antica tabaccheria nel centro della città (già attiva dal 1870), negli anni, grazie all'aiuto dei figli Enrico e Giuseppe, si è specializzata sempre di più nel settore degli articoli per fumatori fino ad arrivare alla terza generazione e a più di 135 anni di storia. Oggi la ditta, guidata da Carlo Riggio (classe 1959) propone anche articoli per la scrittura, pelletteria, articoli da regalo, articoli per il gioco, cravatte, cinture e tanto altro ancora, ma tutto per gli estimatori più esigenti.

Nel 1999, la tabaccheria Riggio ha conseguito l'ambito riconoscimento comunale "Teatro Massimo" (una miniatura in argento, simbolo culturale della città, per i suoi primi 130 anni di attività).

Nel 2005, ha ricevuto dalla camera di Commercio di Palermo un riconoscimento specifico destinato ad attività commerciali rimaste imutate nel corso del tempo per ubicazione e tipologia: una Targa d'oro, datata 1870, per 135 anni di attività.

Nel maggio 2006, infine, è stata premiata come "Tabaccheria dell'anno" specializzata in sigari "Habanos".

La Tabaccheria Riggio si deve anche ricordare perchè negli anni del dopoguerra (e forse anche prima) aveva - per la gioia dei piccini, ma anche degli adulti collezionisti - un ricco assortimento di soldatini di piombo, prodotti con un antico stampo austriaco che, a detta degli esperti di modellismo, era molto pregiato.

Si trattava di soldatini in scala (i pedoni mediamente alti da 5 a 8 cm), appiattiti (lo stampo non era a tutto tondo), dipinti a mano in monocromia (dorati) oppure in policromia.

L'assortimento era ricchissimo e spaziava su tutte le epoche storiche, privilegiando - secondo tradizione - la storia militare, ma anche l'epopea western. Molto pregiati erano i soldatini a cavallo che erano di dimensioni maggiori (quasi 10 cme in altezza).

Erano disponibili anche tutti gli accesssori per rendere vivace il gioco o per creare scenari convincenti: cannoni e pezzi d'artiglieria, alcuni perfino con la vampa dello sparo, alberi, palme, muri sbrecciati. Molti, nati nel dopoguerra, ricordano che quando il proprio padre andava a comprare per sé gli articoli da fumo, indugiava a scegliere alcuni soldatini (allora a prezzo relativamente modesto) per il proprio figliolo o per sé (se li collezionava).

L'attuale proprietario Carlo ricorda che lui stesso, da piccolo (quando accompagnava il padre al negozio), soleva giocarci, anche se ormai - si era già oltre la metà degli anni Sessanta - la varietà dei "pezzi" si era molto assottigliata.

Molti dei bambini di allora quei soldatini li hanno conservati e adesso li espongono come pezzi da collezione, ma tanti - crescendo - se ne sono disfatti, manipolati dal baco della modernità e del rinnovamento.

Chi - avventatamente - se ne è disfatto, adesso li rimpiange.

Ma è ben difficile poterli ritrovare.

Quei soldatini, fatti con quel particolare tipo di stampo, sono ormai scomparsi per sempre ed è difficile reperirli perfino nei paesi dove la tradizione del soldatino fuso nel piombo è ancora viva, come l'Austria o la Cecoslovacchia.

La Tabaccheria Riggio ha un suo sito web: http://www.riggiodal1920.it/

domenica 2 gennaio 2011

L'essenza di un sogno inquieto


Sentire il bisogno di gridare e non poter articolare parola.
Avere l'impressione di emettere forti grida di aiuto che nessuno, però, può sentire.
Sentirsi avviluppato in una coltre di ovatta sciropposa che impedisce ogni tentativo di liberazione.
Improvvisamente, una tempesta di neve oscura la vista.
E tutti i sensi sono andati.
In tilt.
I canali soliti di comunicazione con il mondo esauriti: all'inverso, il processo descritto da Condillac.
Quando ciò è avvenuto, rimane solo la possibilità di entrare in profondità in un mondo onirico che non può essere detto.
Un mondo in cui è avvenuta una catastrofe, forse.
Case desolate.
Strade vuote.
Piazze deserte.
Tutto è cadente e in rovina.
Un mondo che sembra disegnato da Piranesi: archietture immense, però vuote e cadenti, in tonalità di grigio e di nero.
Non c'è gente normale.
Uno mi si avvicina.
Tento di parlargli e, d'improvviso, si rimpicciolisce.
Guardo in basso e ciò che ne rimane sono solto abiti vuoti, un involucro accartocciato senz'anima.
I pochi altri in giro, annidati in anfratti ombrosi, sono loschi individui.
Bande intente in traffici oscuri di cui io non posso comprendere nulla, pur volendolo.
Dioscuri della notte.
Nel viaggio, un'ombra mi accompagna, quasi fosse "lo duca" di Dante nel lungo attraversamento dei gironi infernali.
E' un'ombra silenziosa e sfingea che, per quanto io interroghi, non mi dà risposte.
Eppure, c'è un viaggio che si dipana, per quanto insensato, sempre più proteso verso luoghi desolati e terre fangose e crepuscolari.
Più di questo non posso scrivere, se non che ciò che ho visto ha lasciato dentro di me una triste bava di vuoto desolato e di tristezza.
Posso solo sperare di poter risalire a "riveder le stelle".
Creative Commons License
Frammenti by Maurizio Crispi is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at maurcrispi.blogspot.com.