mercoledì 22 settembre 2010

Gli ammazzavampiri di Claudio Vergnani alle prese con gli orrendi succhiasangue-zombie del Modenese


Claudio Vergnani è uno scrittore emergente: dopo una vita in cui s’è dedicato alle cose più disparate sfuggendole nel contempo, sembra aver trovato nella passione per la scrittura un filo conduttore e una sorta di “porto” in cui soffermarsi. Il 18° vampiro (Gargoyle, 2009), suo poderoso esordio, offre una capacità di scrittura che va indubbiamente al di là della letteratura di genere e – come si intuisce – che potrà produrre opere di più ampio respiro. Il romanzo ci mostra, forse, anche qualcosa dell’autore attraverso il protagonista (che possiede un po’ alcune qualità intermedie tra il soldato di ventura e l’ebreo errante) e altri suoi comprimari (come “l’amica”, Vergy o Gabriele), costantemente in “fuga” o comunque condannati a una vita “nomade” nel perseguimento d’una missione comune che è quella di sopprimere quanti più vampiri possibile.

In questo senso, siamo di fronte a una vicenda di veri “ammazzavampiri” che si muovono tra Modena, Venezia e l’Appenino tosco-emiliano. E, per far ciò, sono costretti a condurre un’esistenza randagia, senza troppi legami, senza un lavoro stabile, senza amori: la loro è una vita declinata in una condizione di costante precarietà e di continua esposizione al pericolo. Ciò che è apparentemente routine, può in effetti trasformarsi di colpo in una situazione di pericolo, dal momento che anche quanto gli ammazzavampiri credono di sapere è molto fragile e parcellare: in realtà, come uno di loro ammetterà in seguito «...dei vampiri non sappiamo nulla».

Dei vampiri viene data per scontata l’esistenza: semplicemente, ci sono. Vergnani non si preoccupa di spiegarci da dove siano venuti e quando. I suoi vampiri sono del tutto originali: innanzitutto, sono ferocissimi – il “classico” morso sul collo, con l’ausilio di canini appuntiti e aguzzi, è al confronto una pratica gentile e quasi erotica –, vampiri che lacerano e straziano corpi, abbeverandosi del sangue delle loro vittime come da un idrante reciso. In secondo luogo, sono assai simili agli zombie sia nel loro aspetto “verminoso” e disfatto, sia nel loro modus operandi.

Gli amazzavampiri modenesi sembrano essere i perfetti praticanti delle indicazioni enciclopediche di autodifesa contenute in Manuale per sopravvivere agli zombi (Max Brooks, Einaudi, 2006): i vampiri-zombie, peraltro, rappresentano un avamposto della genìa dei vampiri e ne costituiscono soltanto la fanteria d’assalto. Dietro s’intravede un secondo livello di “eletti”: esseri potenti e dalle molte vite, come Grimjank, mutuato da una famoso racconto horror di W.T. Webb (che, di vite, ne ha avute ben 18) e che vive in una rocca antica, oppure come i “Maestri” – maggiormente rispondenti ai canoni del vampiro “classico” – crudeli e vendicativi e implacabili al punto di scatenare una cupa apocalisse finale. La storia è, poi, in realtà la narrazione delle vicissitudini on the road di questi tormentati ammazzavampiri che non trovano mai quiete e la cui esistenza va incontro a livelli di crescente complicazione, via via che i vampiri realizzano che essi rappresentano delle “moleste minacce” al loro status quo, dunque di cui sbarazzarsi con scherzi macabri e sinistri.

Vergnani si sofferma minuziosamente a descrivere i movimenti, il modo di organizzarsi, le perplessità ed incertezze di questo gruppo di trasandati avventurieri, in un flusso lento e ipnotizzante dove le apparizioni dei vampiri finiscono con l’assumere un ruolo marginale, mai dominante. Personaggi dal passato militare (e ciò riflette alcune delle fugaci esperienze di vita dell’autore), con la stoffa degli anti-eroi, sostanzialmente sfigati e marginalizzati dalla vita: se non ci fosse l’obiettivo di distruggere i succiasangue (che non ha alcuna risonanza pubblica, e dunque non porta ad alcun riconoscimento) non avrebbero nulla in mano e sarebbero delle nullità.

Claudio Vergnani in quest’opera mostra indubbiamente una grande creatività nel modo in cui manipola gli elementi propri del genere: non soggiace a quasi nessuna delle convenzioni letterarie che a esso sono proprie (a parte il topos dei vampiri=creature della notte, ma anche questo utilizzato in modo non rigido) e ricorre ampiamente alla contaminazione per dar vita a figure sui generis che suggeriscono una pagina nuova e assolutamente originale nella letteratura horror.

Interessante la modalità di una scrittura molto nello stile hard-boiled che presenta, soprattutto all’inizio e alla fine, due diversi piani temporali che si intersecano tra loro con un continuo rimando dall’uno all’altro (e rimarcati dall’uso di un differente carattere di stampa): un artificio che consente all’autore di coprire un arco di tempo molto maggiore.

Il volume, con delle notazioni redazionale precise ed esaurienti – secondo lo stile consolidato della casa editrice – è arricchita di una stimolante introduzione dello sceneggiatore e saggista Dario Maria Gulli.

Esce adesso, sempre per i tipi di Gargoyle Books, Il 36° giusto che si pone come un seguito delle vicende narrate nel primo romanzo: nella conclusione de Il 18° vampiro c’erano già le premesse di una ripresa della storia degli ammazzavampiri modenesi, piombati nell’occhio del ciclone e ora al centro dell’attenzione dell’antica genìa dei “Maestri”.

Dal risguardo di copertina de Il 18° vampiro
«...sbarco il lunario uccidendo vampiri. Non è un compito difficile, ed è sempre meglio che lavorare. lo e i miei compagni li distruggiamo durante il giorno, mentre dormono il loro sonno di morte, nascosti nei loro miserabili covi. Non possono reagire. Un paio di colpi di mazzuolo ed è fatta. Forse non è il mestiere più bello del mondo, ma è facile e socialmente utile. Non occorrono coraggio o particolare determinazione. Non serve essere animati dal sacro fuoco della giustizia. Serve solo un po’ di pratica e tanta disperazione. Per certi versi è come la disinfestazione di topi o insetti: fai quello che devi fare, sopportando il disgusto, e poi te ne torni a casa. Sempre che non si finisca per esagerare, per passare la misura. Il problema è che non sapevo che esistesse un confine. L’ho saputo solo dopo averlo oltrepassato. E, a quel punto, tornare indietro non era più possibile...»

L’Autore. Nato a Modena, svogliato studente di Liceo Classico, ancor più svogliato studente di Giurisprudenza, preferisce passare il tempo leggendo, giocando a scacchi e tirando di boxe. Allontanato dai Vigili del Fuoco, dopo una breve e burrascosa parentesi militare ai tempi del primo conflitto in Libano, sbarca il lunario passando da un mestiere all'altro, portandosi dietro una radicata avversione per il lavoro. Dalle palestre di bodybuilding alle ditte di trasporti, alle agenzie di pubblicità, alle cooperative sociali, perso nei ruoli più disparati ma sempre in fuga da obblighi e seccature. Il 18° Vampiro è il suo primo romanzo.

lunedì 20 settembre 2010

A Genova, un gruppo di Argentini sta realizzando un grande Murale sull'emigrazione

Un gruppo di Argentini sta lavorando per la realizzazione di un grande Murale icon la tecnica di mosaico in ceramica sul tema dell'emigrazione, significativamente a Genova che fu la più importante città portuale d'Italia dalla quale partivano i grandi bastimenti carichi di nostri emigranti, pieni di speranze di potersi costruire una vita diversa nel Nuovo mondo: di quegli emigranti che, assieme a cittadini di altre nazioni europee, hanno contribuito attivamente al farsi di alcune delle nazioni moderne del Sud America, tra le quali appunto l'Argentina.Questo lavoro possiede indubbiamente un profondo significato simbolico: come se qualcuno fosse tornato indietro nel luogo di origini delle proprie radici, rappresentadone lo stato nascente su di una "soglia" che, da un lato, guarda verso l'ignoto (ma anche la speranza) del Nuovo mondo che verrà e che, dall'altro, lancia un ultimo sguardo nostalgico su ciò che si sta lasciando alle proprie spalle, forse per sempre.
Un'occasione cogente per riflettere sul dramma e la fatica dei tanti che, nel XXI secolo, continuano ad abbandonare le proprie patrie e arrivano da noi - un tempo emigranti - erranti in cerca di accoglienza e ospitalità.

Lunedì 6 settembre, alle ore 11.30, il sindaco di Genova Marta Vincenzi, insieme all'artista argentina Munù Actis Goretta, hanno posto la prima piastrella del murale che in occasione del Bicentenario Argentino verrà realizzato in Largo Taviani, accanto al Galata Museo del Mare, in omaggio all'emigrazione italiana che partì dal porto di Genova verso l'Argentina. La consegna dell'opera e la successiva inaugurazione sono previste per novembre.
Le dimensioni del muro da decorare sono di 28 metri per 4,50 metri nell'estremo sinistro e 3,50 metri nell'estremo destro.
L'opera è sponsorizzata dal
calciatore della Sampdoria Fernando Tissone che ha voluto aderire come sponsor privato pnel progetto e realizzazione di questa grande opera , come modo per esprimere il suo sentito attaccamento all'Argentina (sua patria di nascita, dove ha vissuto fino all'età di 16 anni) e a Genova (provincia di origine dei nonni paterni).

Di seguito il racconto della stessa Munu Arctis Goretta, inviato ai suoi amici e corrispondenti argentini.

(Munu Actis Goretta) Hoy es domingo 19 de septiembre y estoy en Genova trabajando en un mural de 3,80m x 28m sobre el tema de la migracion que sera realizado con la tecnica del mosaico. Llegue el 26 de agosto y el lunes 30 comenzo el trabajo. La tarea de encarrilar la situacion y ponerla en movimiento es tan bella como dificultosa.

En el equipo de trabajo basico seremos cuatro y ya estamos todos. Rafael, un amigo argentino que vive en San Francisco, Elisabetta, genovesa, egresada de Bellas Artes y Cristina, tambien genovesa, arquitecta en decoracion. Nos reunimos por primera vez el 6 de septiembre, verdadera fecha de comienzo del trabajo. Antes, con Elisabetta habiamos dibujado. Hace dos semanas que estamos juntos y nos llevamos bien, nadie es demasiado nada, todos somos mas o menos comprensivos, amables, divertidos, malhumorados, respetuosos del trabajo y de los tiempos de cada uno… gente casi “normal”. Hablamos itañolo y nos entendemos. Mas adelante se incorporaran alumnos de Bellas Artes.

En la pared estamos 9 horas con una de pausa para almorzar. Ha hecho bastante calor, varios dias de 30 grados. Trabajamos al sol y es agotador. Ademas parece que los años no pasan en vano, como dice Asia: la cronologia es inexorable. No me quejo, solo que lo siento. Dentro de poco voy a cumplir 65 y estoy subida a un andamio!!!


Como siempre la busqueda del material es interminable. El mural tiene 60 colores (juro que intente los menos posible) y hay que encontrar ceramicas de todos ellos. Tenemos 3 fabricas que son sponsor pero no bastan y entonces hay que hacer cambios en el boceto… y volver a calcular los metros cuadrados de cada color… todo lleva mucho tiempo. Espero terminar con esto en el transcurso de la semana. Luego viene el otro tema que es que se toman 20 dias para el envio… y nosotros vamos de a pedacitos con lo que tenemos, pero en fin, vamos.

Recien ahora, y estando aca, voy tomando conciencia de lo visible que sera la obra cuando este terminada. El lugar es optimo porque pasa todo el mundo, autos, colectivos, subte… El Puerto no es cualquier lugar en Genova. Y de aquí partieron tantos… y llegan otros tantos. Creo que ha sido una muy buena eleccion. Siempre hay una pared esperandome en el lugar indicado. Hace tiempo ya que estoy buscando una en Buenos Aires.


Como en cualquier ciudad las cosas no son faciles y los mismos que participan en el proyecto no entienden como se pudieron poner en marcha tantas instituciones y empresas, con sus respectivas burocracias, para que en menos de un año lo concreto comience a andar (aunque yo venia trabajando desde hacia tres años). Consulado Argentino, Municipalidad de Genova con sus miles de permisos para usar el espacio publico y modificar la vision desde lo estetico y lo historico, Bellas Artes, Escuela de la Construccion, Museo del Mare, andamios, seguros, sponsor de los mas variados, desde las ceramicas al ticket para comer. El tema fue convocante y ademas hay una cordobesa que vive aquí, Karina, que se puso el proyecto al hombro y le dio y le da como una topadora. Entre ella, la intendente y yo tenemos a todos los hombres a los piques, para decirlo medianamente elegante.

El dia 6 se hizo el acto formal de inauguracion donde estuvieron todas las autoridades y los sponsor y se colocaron los primeros mosaicos en el muro. El primero lo pego la intendente y luego los demas. Yo ponia el pegamento y ellos colocaban los pedacitos. Uno de los sponsor, que aporto bastante, es un jugador de futbol argentino, Fernando Tissone, que tiene abuelos italianos y desde hace algunos años juega aquí. El acto fue simpatico, muy italiano. Banderas, discursos, el mio incluido y noticia en los diarios


Vivimos en un departamento, Rafael y yo, muy lindo y grande en una calle bella y complicada (se huelen algunos negociados no muy santos). Estamos a 200 metros del mural, lo cual es muy bueno, en el centro historico. Todo tiene miles de años. Nuestra calle, Via di Pre, tiene mucho movimiento y pocos cristianos, la mayoria deben ser musulmanes. La gente tiene rasgos muy diversos y colores otro tanto. Estan los marroquies, los ecuatorianos, los chinos, gran cantidad de africanos largos y flacos con tunicas multicolores y nosotros. Muchos locutorios con internet donde la gente habla a traves de la compu y se convierten en una especie de Torre de Babel. Los pocos italianos son del sur. El mejor lugar para comprender el fenomeno de la migracion. La calle del frente es angosta, tendra 5 metros, empedrada, sin vereda y la del costado apenas 0,80m. Te podes dar la mano con el vecino.


La ciudad es muy bella, es el casco historico mas grande de Italia aunque no tiene edificios monumentales como Roma. Se pueden ver las puntas del golfo y el puerto tiene mucho movimiento: pescadores junto con cruceros monumentales y barcos de carga, todo el tiempo todo se mueve. El terreno es siempre colina por lo que las calles y pasajes suben y bajan serpenteando, no hay una sola cuadricula y cuando crees que ibas paralelo volves a aparecer otra vez en el mar o te fuiste a otro lado. Tiene algunos lugares restaurados pero gran parte no, es fundamentalmente gris con olor a ciudad habitada, con olor de humanos, perfumes de los unos y de los otros.

Gente querida, estoy bien, haciendo lo que amo, tengo presente permanentemente a Argentina y a mis intereses de alli. Pero hoy estoy en Genova, a las 20hs de un dia domingo y desde aquí los abrazo.


MUNU

venerdì 17 settembre 2010

La fine del Ramadàn a Palermo: un modo diverso è possibile


Il 10 settembre scorso, con l'avvio del nuovo ciclo lunare, si è concluso il Ramadàn, la più importante tradizione religiosa dei musulmani.
A Palermo, la consuetudine vuole che tutti i musulmani, abbigliati a festa con gli abiti tradizionali dei diversi luoghi da cui provengono e propri delle etnie di appartenenza, partecipino ad una preghiera collettiva che si svolge, con la guida dell'Imam, sulla terrazza della "Villa a mare" al Foro Italico Umberto I.
Si tratta d'un incontro tra molte etnie diverse tutte accomunate dalla stessa fede religiosa e, quindi, è possibile vedere Africani, Mahgrebini, Medio-orientali, Pakistani se ne stiano accanto gli uni agli altri, assiepati, quasi gomito a gomito, a formare una folla variopinta che palpita di uno stesso empito.
Gli uomini, con il capo coperto, sono tutti vestiti di bianco e si prostano a terra nel gesto della preghiera su spessi tappeti portati per l'occasione, mentre le donne - pure abbigliate con vesti tradizionali - stanno un po' in disparte, poichè nel momento della preghiera non è consentito loro di mescolarsi agli uomini (se ci fosse una Moschea rimarrebbero all'esterno).
Siccome i convenuti sono numerosi si celebrano due successivi momenti di preghiera, entrambi affollatissimi malgrado il tempo incerto e qualche accenno di pioggia.
Alla fine dei due cicli di preghiera, l'atmosfera è festosa: il Ramadàn s'è concluso e il digiuno rigoroso può essere spezzato. La sera ci saranno dei momenti di festa e di incontro: in particolare, è prevista una festa con musica e danze all'Oratorio Santa Chiara.
Alla conclusione della preghiera, i fedeli tornano a suddividersi in gruppetti etnici, in pacifica convivenza, chiacchierano, indugiano rilassati e si concedono momenti di ludicità, e si fotografano a vicenda in posa con lo scenario magnifico del Foro Italico come fondale (e poi le foto verranno poi inviate - adesso con i moderni sistemi di posta elettronica, a parenti e ad amici lontani).
Si respira un'aria di accoglienza e ospitalità nei confronti dei non musulmani che sono venuti ad assistere, con curiosità e, soprattutto, con rispetto.
Anzi, i "visitatori", se in possesso di una macchina fotografica, sono invitati a scattare delle foto e a unirsi ai gruppetti che si mettono in posa. Tantissimi i giovani musulmani, alcuni dei quali sono sicuramente nati qui e che, da un certo punto di vista, sono naturalizzati: se parlano in Italiano, si riconoscono nelle loro parole delle palermitanissime inflessioni dialettali
Ciò che si vede al Foro Italico è una grande lezione di tolleranza che rimanda direttamente al passato, quando ancora non era nato il "fondamentalismo" (di cui in larga parte sono stati responsabili le dissennate politiche medio-orientali di Israele e degli Stati Uniti. In tutto il Medio-oriente e nei territori dell'attuale Israele, come ci racconta anche Yehoshua in Il signor Mani, così come appare anche dalle testimonianze di numerosi viaggiatori (ampiamente esaminate da William Darlymple in Dalla Montagna sacra. Un viaggio all'ombra di Bisanzio, Rizzoli, 1998), le tre grandi religioni monoteiste derivate da una comune matrice in questi luoghi convivevano pacificamente ed era consuetudinario che i seguaci di una fede si recassero alle feste religiose di altri culti, come anche accadeva che i musulmani andassero a pregare e a chiedere miracoli in luoghi di culto ortodossi, per i quali avevano una speciale devozione. E tutto ciò era all'insegna della convivialità e della reciproca accoglienza.
Insieme, si può andare avanti e sono possibili forme di integrazione e di convivialità. La festa conclusiva del Ramadàn qui a Palermo lo dimostra.

domenica 12 settembre 2010

Il merchandising appiana tutte le differenze: di tale assunto l'amaro Il Padrino ci fornisce un'esemplificazione


Una legge di mercato dice che ogni cosa diventa "buona" se se ne può ottenere un "prodotto" da vendere a dei "consumatori", in linea con la concezione che il sociologo Zigmunt Baumann tratteggia dell'uomo postmoderno in quanto "homo consumens" e con la trasformazione di gran parte del mondo in un grande ipermercato globalizzato in cui tutto può diventare oggetto di una transazione commerciale. In quest'ottica anche le imprese del serial killer più efferato, trasformate in libro o in film possono essere vendute diventando oggetto di consumo.

Corleone è stata per decenni un cupo feudo mafioso e ha prodotto alcuni dei più temibili personaggi della "cupola", del malaffare e del malgoverno siciliano (basti pensare ad alcuni potenti in odore di mafia anch'essi di origini corleonesi). Dietro a questi personaggi, aleggia no la fiction e la matrice "originaria" della rappresentazione dell'uomo di mafia, cioè il don Vito, protagonista ed emblema de "Il Padrino" di Francis Ford Coppola, che per caso o per necessità di cognome faceva appunto "Corleone", quando ancora non si parlava esplicitamente della mafia corleonese.

Dopo i duri colpi inferti dalla Giustizia alla mafia e dopo l'eclissi di alcuni corleonesi di spicco, Riina e Provenzano in testa a tutti, Corleone ha cominciato a cambiare e a trasformarsi, tentando di mettere da parte un passato ancora recente di cui i cittadini benpensanti adesso si vergogano.

E sono state tante le iniziative a favore del ritrovato piacere della legalità, come - nel 2008 - al ricorrere della strage di mafia in cui perì Giovanni Falcone con la sua scorta si celebrò una corsa podistica che, partendo alle prima luci dell'alba dal "covo" di Provenzano arrivò a Palermo sino all'Albero Falcone, trasportando un messaggio di legalità da leggere ai tanti che si erano raccolti nella dolente commerazione.

Nello stesso tempo, se un tempo la Mafia e Cosa Nostra rendevano Corleone un luogo ostile in cui tutti i cittadini camminavano a testa bassa e gli stranieri in visita o di passaggio non erano ben visti, oggi vi è un fiorente flusso di turisti che arrivano in una cittadina bella e, forse, più ridente di prima - meno cupa - e che indubbiamente presenta numerose bellezze architettoniche e punti di interesse storico di rilievo: non dimentichiamo che Corleone viene definita "la città dalle cento chiese".

Corleone, interessa come meta turistica, non solo per questo motivo, ma proprio perchè è stata città di mafia e può quindi essere inserita in una sorta di "mafia tour": molti stranieri possono arrivare qui con questa motivazione. Si assiste dunque ad un paradossale rovesciamento di valori: se prima la mafia era un motivo per non visitare Corleone, oggi invece è diventata sicuramente uno dei motivi per andarci per un certo tipo di "consumatori" turistici.

Se si entra nella pasticceria-bar ubicata nel corso proprio davanti alla Matrice (Central Bar dei fratelli Ruggiriello) e si chiede un caffè, si rimarrà sopresi nel vedere che alle spalle del bancone sono in esposizione svariate bottiglie targate "Il padrino". Numerose sono quelle di un amaro (Amaro Il Padrino), ma vi è anche un Limoncello e poi un vino rosso (un Nero d'Avola) e uno bianco, presentati in un'allettante confezione cartonata di due bottiglie e con etichetta personalizzata "Il Padrino"). Tra le bottiglie in evidenza si intravedono anche delle tazze stampate con l'effigie di Don Vito Corleone ("il Padrino" cinematografico), che emblematicamente, essendo nella rappresentazione letteraria (Mario Puzo) e filmica, il "padre" di tutti i padrini rimanda per ellissi ad altri "padrini" corleonesi, e questi realmente esistiti purtroppo.

La presentazione dei prodotti è accativante e segue tutte le regole del merchandising e del marketing: l'etichetta è un omaggio alla Corleone d'altri tempi, visto che porta il dettaglio di una foto d'epoca con il corso principale e la Matrice, ma assieme alla bottiglia acquistata viene consegnata all'acquirente una grande brochure con tutti i dettagli tecnici del prodotto e, eventualmente, anche una più piccola di cui una parte ritagliata diventà una cartolina che sul fronte reca una foto vedutistica di Corleone. Inoltre, i prodotti acquistati vengono consegnati in un sacchetto di carta decorato con la stessa immagine dell'etichetta e con la dicitura "Amaro Il Padrino": tutto molto elegante e perfettamente studiato, con criteri decisamente moderni e orientati dalla volontà di fideizzare i clienti e diffondere la conoscenza del proprio prodotto.

Questa la presentazione, rinvenibile anche nel web (e, tra l'altro, L'Amaro Il Padrino ha addirittura un suo sito web costruito in modo egualmente accativante: http://www.amaroilpadrino.com/).

L'amaro "Il Padrino" nasce grazie all'intraprendenza dei fratelli Ruggiriello, da un antica ricetta Corleonese che combina numerose erbe siciliane, unite in maniera armoniosa, tal eda conferire al liquore che si ricava dalla lavorazione un sapore unico ed inimitabile. Nel corso degli anni l'amaro il Padrino ha riscosso ottime critiche da vari degustatori ed è consigliato come digestivo.

I turisti entano vocianti, eccitati e allegri e comprano o l'Amaro o il Limocello o il vino, ben certi che con tali prodotti potranno fare ad amici e parenti lontani un dono gradito ed "esotico".

Lo confesso: non si può che rimanere turbati da questo stravolgimento "commerciale" di un fenomeno sociale e delinquenziale che tanto male ha fatto e che tante vite ha spezzato crudelmente.

Ma il commercio è commercio: tende ad omologare tutto in un unico pastone indifferenziato.

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