martedì 23 febbraio 2010

"Cuba va". Un percorso fotografico di vitalità e joie de vivre tra il presente e il futuro della gente di Cuba

Grazie alla collaborazione tra la Cooperativa palermitana “L’Isola” e “L’Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba”, ma anche con il patrocinio della Provincia regionale di Palermo, abbiamo avuto il piacere di vedere realizzata qui a Palermo - quasi in anteprima rispetto al resto del territorio nazionale, - la mostra fotografica di Roberto Fumagalli “Cuba va”: una mostra che ha fatto il suo debutto internazionale il 25 aprile 2009, proprio a L’Avana, nel Memorial Josè Martì, in Plaza de la Revolucion, con grande compiacimento ed apprezzamento da parte dell'intellingentsia governativa cubana.
Le foto – quasi tutte quelle esposte, più alcune altre – sono state raccolte in un volume fotografico - molto curato e di grande qualità – che, dopo l’anteprima cubana, è stato oggetto di specifiche presentazioni in altre città italiane.
Sfogliando il volume, fa piacere - ed è particolarmente qualificante - che la presentazione sia stata vergata da Roberto Chile che - se non ricordo male - è il fotografo ufficiale di Fidel Castro con cui Roberto Fumagalli, nel corso degli anni, ha costruito un rapporto di conoscenza, di stima e confidenza amicale.
Tuttavia, la mostra fotografica palermitana (visitabile dal 12 al 27 febbraio 2010) – così com'era stata presentata a L’Avana – in Italia
ancora non aveva avuto precedenti.
Nella cornice della bella sala espositiva di palazzo Jung, in via Lincoln, è possibile ammirare - nell'allestimento curato dai soci della Cooperativa, Daniela Giangrasso, Corrado Carpentieri, Giulio Urso e Antonio Tumminia che ne è il presidente - le splendide fotografie di Roberto Fumagalli che restituiscono con grande vividezza colori, odori, sapori e dinamismi degli eventi quotidiani, dei giorni dello svago e della festa, delle manifestazioni celebrative e di quelle lavorative a Cuba, la vitalità del suo popolo e la sua joie de vivre che si alimenta quotidianamente con vigore rigoglioso, quasi con furore.

"Corona"
Al trucco per la rappresentazione di "Cenerentola"
(
Balletto di Alicia Halonso, Gran Teatro del la Habana), Parque Central, la Habana, 5.2005
Foto di Roberto Fumagalli

Lo dimostrano le tante immagini, piene di animazione, di concitazione e movimento prorompente che l’occhio fotografico ha per un attimo isolati, senza mai bloccarli.
Roberto Fumagalli, oltre che un valente fotografo, è un viaggiatore autenticamente appassionato di Cuba e del suo popolo.
Vi ha fatto ben nove viaggi, trattenendosi ogni volta a lungo, e, girandola in lungo e in largo (ma soffermandosi soprattutto a L’Avana), ha scattato miglialia e migliaia di foto.
Le circa 40 foto esposte rappresentano un distillato tormentato di questa profusione di immagini, il risultato di scelte che lo stesso Fumagalli dichiara di aver faticato a compiere tra le centinaia di foto egualmente rappresentative e "papabili".
Come dicevo prima, nelle foto, titolate rigorosamente in Spagnolo e corredate di un sottotitolo trilingue (Spagnolo/Italiano/Inglese), ci sono tutti i momenti della vita a Cuba, dall’animazione nelle strade, alle scene di lavoro, ai momenti di svago, a quelli pubblici e di esaltazione popolare del regime, alla rappresentazione dell’arte e delle manifestazioni di eccellenza della società cubana, quali la danza classica oppure alcune attività mediche specialistiche per cui Cuba è rinomata nel mondo, ma anche tanti volti di Cubani (di uomini , di donne, di bambini), a volte segnati da rughe, altre volte lisci e giovanili, ma sempre sorridenti, con lo sguardo, soprattutto.
Guardando e riguardando le sue immagini, anche non essendoci mai stati, ci si fa l’idea che Cuba sia un bel posto dove vivere, un bel posto da conoscere e da apprezzare, perché ti trasmette buone ed intense vibrazioni. Chi ci è stato, a Cuba, e ha la ventura di soffermarsi su queste immagini, invece, ritrova integralmente - in ognuna di esse - le sensazioni sperimentate mentre si trovava là, tra la gente e lungo quelle vie.
Fumagalli, grazie anche alla sua assiduità e alla sua perseverazione, ma sostenuto anche dalla sua personale passione, ha avuto accesso a molti luoghi dai quali il turista viene normalmente escluso e, per questo motivo, ha potuto fotografare anche personaggi pubblici di rilievo a distanza ravvicinata, compreso Fidel in un momento celebrativo mentre parla al popolo assiepato in piazza, nel giorno della celebrazione della liberazione cubana.
Fidel è ripreso di spalle, ma Fumagalli per scattare questa foto ha avuto la facoltà di avvicinarsi al lider maximo ad una distanza inusitata.
La grande vitalità del popolo cubano è il filo rosso tematico della mostra, al di là del facile convenzionalismo e dei luoghi comuni delle brochure turistiche che danno di Cuba solo una visione olografica e da cartolina.
...le sue immagini hanno ali, irradiano amore per la vita. Così sono questi i suoi istanti de L'Avana, città piena di fulgori e misteri, gioviale e ospitale, reale e insieme meravigliosa.
Sono pezzi di esistenza che l'artista ha eternizzato con l'audacia e con la sensibilità proprie di quelli che non si lasciano trasportare dal superficiale e neppure dal ricorrente, di quelli che non guardano con gli occhi ma con il cuore (Roberto Chile, Le visioni di Roberto Fumagalli, nota di presentazione al volume)
Il titolo scelto “Cuba va” per la mostra e per il volume vuole appunto sottolineare l’idea d'un popolo che, malgrado tutto, malgrado l’embargo mai risolto del tutto, è in cammino lungo una sua strada che è, comunque, dominata – sempre – dall’ottimismo e dalla vitalità, ma serve anche ad indicare che, nelle immagini proposte, vi è un presente non statico, ma rappresentato dinamicamente in movimento verso un suo futuro, la dignità del presente, la speranza in un futuro radioso come si osserva nello sguardo del neo-laureato che esibisce il diploma di laurea in Medicina ("En los ojos, la victoria"), oppure nello sguardo carico di serena dignità dell'operaio metalmeccanico, saldatore della Compagnia Cubana dell'Acciaio ("Rafael Estrada").

“La fotografia di Fumagalli ha il pregio … di avvicinarci alle
tradizioni, allo spirito, alla essenza di Cuba nel modo migliore – rifuggendo le convenzioni, gli stereotipi, il folklore, la banalità – per offrirci invece tutta la spontaneità e l’amore per la vità, catturando quei momenti particolari della quotidianità capaci di condurci in una realtà lontana, seppur vicinissima” (dalla presentazione di Giovanni Avanti, Presidente della Provincia regionale di Palermo).
Breve nota biografica su Roberto Fumagalli
Roberto Fumagalli è nato a Monza nel 1970. Dopo essersi laureato in Scienze naturali presso l’Università di Milano, ha intrapreso un’intensa attività fotografica in Italia e all’estero, con viaggi nei cinque continenti.
Dal 1999 al 2003 ha lavorato come fotografo a Los Angeles, prima di far ritorno in Italia.
Attualmente collabora con riviste, giornali e agenzie fotografiche, in Italia, Spagna, Svizzera, Svezia e Stati Uniti.

domenica 21 febbraio 2010

Eleonora Abbagnato, prima ballerina dell'Opéra Garnier di Parigi e cittadina del mondo

Eleonora Abbagnato con una delle sue piccole fan
(foto di Maurizio Crispi)

Ieri (il 20 febbraio) sono andato alla libreria Flaccovio di Palermo dove aveva luogo la presentazione del libro autobiografico di Eleonora Abbagnato, Un angelo sulle punte (edito da Rizzoli nel 2009).

Il libro, comparso la prima volta nel novembre 2009, giunge alla sua 3^ edizione: ha avuto evidentemente un grandissimo successo di pubblico.
Eleonora Abbagnato, prima ballerina all'Opera Garnier di Parigi ha un grande popolarità.
Ciò è evidente sia dal numero di "amici" in Facebook, perchè si avvia ai superare i 3500 iscritti, ma ha anche un suo fan group, estremamente prospero, oltre ad un suo specifico sito web, gestito con criteri più professionali e con tecniche di immagine.
Questa sua popolarità, assieme alla accessibilità del personaggio al contatto con i suoi fan, è stata evidente anche alla presentazione del librà: tantissime le bambine e le ragazzette presenti, tutte alle prime armi nella danza - molte delle quali accompagnate da mamme o da genitori - o già alle prese con un percorso un tantino più avanzato in questa severa disciplina, tutti lì ad ascoltare le parole di una prima ballerina dell'Opéra Garnier di Parigi e poi a farsi scrivere l'autografo sul libro già comprato, oppure su di una propria fotografia in abiti da danza oppure ancora sulle proprie ballerine.
Eppure, Eleonora Abbagnato, immersa in questo piccolo bagno di folla, è apparsa una persona fondamentalmente umile e sommessa, assolutamente schiva dalla retorica nel raccontare di sè e da atteggiamenti di superiorità divistici.
Lo ammette: il suo percorso è il risultato di un concorso di circostanze favorevoli che le hanno indicato una strada da seguire.
Non parla nè di vocazione, né di altro. Semplicemente, s'è trovata a fare questa cosa che le è piaciuta e per la quale ha dimostrato di metterci talento, mettendoci poi tutta la sua passione, la sua determinazione e tutta la sua fede (quello che oggi si direbbe un elemento di "vision").
E poi, naturalmente, ha parlato di disciplina e di impegno, entrambi quasi sovrumani, di attitudini fisiche e mentali, della necessità di possedere e di far uso di una forte volontà.
E, nel far questo, nel perseguire i suoi obiettivi, ha saputo volare, cosa che per chi nasce a Palermo (e che, per nascita, si troverebbe esposto ad essere intriso di elementi si sicilianità deteriore ed immobilista) significa saper uscire, andare lontano, per seguire ciò che di meglio si possa avere per il proprio percorso...
Eleonora Abbagnato merita davvero dei complimenti non solo per la sua bravura di ballerina, ma anche perchè - da Siciliana e da Palermitana - è stata capace di seguire la sua strada con tanta determinazione (e, ne sono certo, con tanta fatica).
E per chi ha la ventura di nascere a Palermo non è cosa facile...
Il mondo della maggior parte dei palermitani è angusto, purtroppo, retto com'é dalle leggi delle conventicole "esclusive" e dall'atteggiamento di sufficienza (spesso malevola) nei confronti di chi riesce a perseguire un proprio sogno, allentando i legami con la sua terra di origine, spezzandone l'immobilismo.
Le cosiddette "conventicole" in cui è spezzettato il nostro corpo sociale, a tutti i livelli, riservano a chi non sia dentro il "gruppo" atteggiamenti di denigrazione e, come dicevo, di sufficienza.
Devo confessare che io, sino ad un certo punto, di Eleonora Abbagnato, sapevo soltanto che avesse partecipato al film di Ficarra e Picone ("Il 7 e l'8"). Non avevo nemmeno idea che, in anni recenti (nel 2009, con Paolo Bonolis), avesse condotto un Festival di Sanremo (che solitamente aborro).
Soltanto in seguito, molto dopo aver visto il film, ho scoperto che fosse una ballerina di valore, ascoltando alcuni che ne parlavano tra loro, anche se costoro - da "buoni" malevoli palermitani - ne discutevano come di "una che se la tira", con la famiglia appresso.
E' stato questo il motivo per cui sono andato a sentire la presentazione del libro.
Una bella occasione per farmi delle idee personali non filtrate da quegli "occhiacci di legno" dei miei conterranei.
E sono contento di averlo fatto.
Perchè, ascoltandola, ma anche osservando il modo in cui si muoveva ed interagiva con il fitto pubblico di ascoltatori, ho scoperto una persona che parla di sé sommessamente (pur dimostrando di essere contenta di ciò che ha fatto, ma principalmente per se stessa e non certamente per la "vetrina").
Dopo la presentazione, ho, naturalmente letto quasi per intero il suo racconto autobiografico: per carità, si è trattato di una lettura rapida, guidata da alcuni punti essenziali della conversazione che avevo ascoltato, ma devo dire che ciò che letto mi è piaciuto ancora di più.
La sua scrittura è semplice ed essenziale.
E rispecchia quanto affermato da Eleonora: "Scrivere il libro è venuto da sé. Anzi, era già quasi tutto scritto, perchè sin da piccola stando a lungo fuori casa, prima in occasione degli stage, poi nel collegio di Nanterre, scrivevo sempre qualcosa giorno per giorno, una specie di diario. E, quindi, poi il libro me lo sono ritrovato tutto lì".
E ricordiamo che quando Eleonora è andata fuori casa, non esistevano ancora i telefoni cellulari e che le poche conversazioni con i parenti lontani erano quelle che si potevano fare dall'unico telefono autorizzato del collegio con la necessità - per via dell'affollamento - di dialoghi brevi e concisi.
E, quindi, l'attitudine diaristica che Eleonora mantiene tuttora è nata dalla necessità di strutturare un racconto, in attesa di poter raccontare quelle stesse cose che erano oggetto dei suoi appunti con la viva voce ai suoi familiari e alle persone che le erano care.
C'è tutto nel libro: le tappe essenziali di una vita di studio e di applicazioni, a partire dalla sua prima guida nella danza Marisa Benassai (alla quale va il suo forte ed intenso debito di gratitudine), le piccole abitudini e le preferenze alimentari, le letture, il gusto per una casa propria (ora a Parigi, Montmartre), il suo difficile ed appassionato percorso nella danza...
Colpisce la sua affermazione, veritiera, che chi danza professionalmente è come un atleta di alto livello, anche se qui agli aspetti di perfomance si aggiungono sensibilità artistica e musicale e anche interessi culturali variegati.
Il balletto, anche nelle sue forme contemporanee più aperte al'innovazione (ed Eleonora Abbagnato è stata anche allieva di Pina Bausch) è una forma eccelsa d'arte.
Mi è piaciuta la frase conclusiva della sua storia autobiografica, che è una perfetta sintesi del modo con cui Eleonora vede la sua carriera: "E' la mia storia. E' come l'ho voluta.

La presentazione del libro nel risguardo di copertina
Eleonora Abbagnato sembra un angelo e nasconde su di sé un angelo: il tatuaggio che si è fatta a suggello di una grande storia d'amore.
Un angelo la saluta tutte le mattine dalla cupola del Sacré-Coeur, a Parigi; una collezione di angioletti affolla il suo salotto: angeli d'oro la osservano dal soffitto mentre si allena prima di andare in scena all'Opera, dove è prima ballerina: l'ultima tappa di un percorso in punta di piedi cominciato quando ancora piccolissima, a Palermo, frequenta la scuola di ballo sopra il negozio di sua madre. Ostinata, ribelle, decisa, Eleonora brucia le tappe e vince concorsi. A 12 anni arriva alla grande scuola di Montecarlo; e poi Parigi. All'inizio all'Opera è durissima: le ragazzine francesi sono tutte bellissime e bravissime. Ma ancora una volta la sua determinazione vince. Eleonora cresce, affronta esami, lavora con grandi coreografi, diventa prima ballerina. L'angelo è arrivato in vetta, la danseuse nota in tutto il mondo conosce altri artisti come Claudio Baglioni ed Eros Ramazzotti, entra nel mondo della moda e dello spettacolo, si innamora.

Nota biografica
Eleonora Abbagnato nasce a Palermo nel 1978, dove inizia a studiare danza all’età di quattro anni.
Continua
i suoi studi a Montecarlo, a Cannes, e a quattordici anni è ammessa alla scuola dell’Opéra di Parigi sotto la direzione di Claude Bessy.
Entra nel corpo di ballo nel 1996. Nel 2001 diventa prima ballerina. Ha lavorato con coreografi classici e contemporanei di fama mondiale, fra cui Roland Petit, Pina Bausch e William Forsythe.
Curiosa ed eclettica, fa la sua prima apparizione televisiva a dodici anni con Pippo Baudo, è protagonista del film Il 7 e l’8 di Ficarra e Picone e nel 2009 presenta con Paolo Bonolis il Festival di Sanremo.
Ha un legame intenso con alcuni stilisti come Dolce&Gabbana, ma la sua vera passione resta una sola: la danza classica.

martedì 9 febbraio 2010

La ragazza dei miei sogni: un romanzo tra il perturbante freudiano e le fantasie cosmogoniche alla maniera di H.P. Lovecraft


La ragazza dei miei sogni di Francesco Dimitri (Gargoyle Books, 2006) si legge con grande piacere, perchè la narrazione si muove con efficacia nella dimensione del perturbante in modi accattivanti, non scontati e con la giusta dose di suspense.
La letteratura sul Vampiro in senso lato e sui demoni (e prima ancora su tutto il corpus di credenze popolari che vi è sotteso) si fonda, infatti, proprio sulla dimensione dell'Unheimlich freudiano, cioè su quella dimensione psichica che ha che vedere con il rimosso e con tutto ciò che, con tale meccanismo, è stato allontanato dal campo della coscienza.
Il Vampiro, come tutta una serie di altri esseri "spaventosi" inclusi i demoni che stanno a monte delle credenze popolari su figure specifiche, rappresenta - il più delle volte - secondo un'interpretazione psicodinamica (essenzialmente psicoanalitica) il "ritorno" del rimosso, in modi che sono assolutamente distaccati dal movente originario e proprio per questo sono tanto più inquietanti (e profondamente attraenti, al tempo stesso).
Ernest Jones, uno dei primi allievi allievi di Freud, nonché suo biografo ufficiale, fu molto attratto da questi fenomeni e scrisse un'importante saggio "On the nightmare" (1910, oggi introvabile nella sua traduzione italiana, stampata per i tipi di Astrolabio), nel quale - seguendo le orme di Freud - cercò di tracciare una matrice comune alla base d'una serie di credenze popolari, profondamente radicate nella storia e, tra l'altro, universali (quindi profondamente connesse, secondo Jones, con alcuni meccanismi di funzionamento della psiche).
I primi anni della psicoanalisi furono estremamente produttivi: i suoi pionieri, infatti, al di là delle applicazioni cliniche della nuova "scienza" della mente, cercarono di applicarne i principi ai più svariati campi del sapere e, ovviamente, le tradizioni popolari, i miti e le leggende non sfuggirono a ciò.
Vennero posti, in alcuni campi, degli interessanti canoni esplicativi e vennero gettate le basi di una nuova espistemologia implicante la necessità di ricondurre alla parte oscura della mente (l'Inconscio) fenomeni prima considerati del tutto inesplicabili.
L'occulto e il paranormale, sotto l'impulso conoscitivo della psicoanalisi vennero rivoltati ed esaminati, anche se rimasero sempre delle frange oscure che vennero tralasciate con una saggia "sospensione" del giudizio (in accordo con la presa di posizione dello stesso Freud).

Nella griglia di lettura sul "perturbante", elaborata da Freud, i vampiri, - così come i licantropi o i morti viventi o gli zombie - sono tutti accomunati dall'essere dei "revenant" (riconducibili peraltro alla stessa matrice degli Incubi e dei Succubi), cioè fantasmi che, dal nostro passato emozionale lontano (ma anche dal nostro passato storico infantile dimenticato) riemergono, senza che sia possibile tracciare la connessione originaria e, dunque, apparendo ancor più spaventosi, perchè dotati di vita propria ed "esternalizzati" (ovvero plasmati dal meccanismo della proeizione o della identificazione proiettiva).
Dimitri, mostrando di possedere una profonda conoscenza di tutto questo, riesce a coniugare perfettamente le leggi psicologiche che regolano il versante soggettivo di simili fenomeni con le "ipotesi" letterarie, mitologiche e anche cosmogoniche su di essi.
E, con grande abilità, fa nascere l'evento straordinario e perturbante dalle pieghe della "normalità" e da un'individualità frustrata e solo armata del potere d'una forte elaborazione fantastica, come strumento di fuga (caratteristiche che vengono attribuite al protagonista sin dall'incipit della storia).

La vicenda si legge con grande fluidità ed interesse, perchè il disvelamento della verità avviene per indizi e per sovrapposizioni successive, attraverso una vera e propria indagine paranormale, in cui il protagonista incredulo viene condotto sino alla consapevolezza per passaggi subentranti dall'amico/mago Dagon che funge anche da guida e da mentore.
Dagon è colui che "sa", perchè conosce i misteri dell'Universo, conosce ciò che è invisibile agli occhi e sa anche che non bisogna guardare sino in fondo alcune cose, perchè il prezzo da pagare - per aver visto la realtà nascosta com'è - è la pazzia.
I demoni si possono soltanto contrastare e temporaneamente mandare via, ma nel far ciò - mentre riprendono le lor sembianze originarie non devono essere guardati, così come Perseo poté uccidere la Medusa soltanto avendo escogitato il modo di farlo senza fissarla negli occhi: come lo sguardo di Medusa aveva il potere di pietrificare, così la visione della forma dei demoni rende folli per sempre.

Dagon rappresenta, in verità, anche l'omaggio a Lovecraft e alla sua convinzione che esistano degli esseri "antichi" che precedono di gran lunga l'uomo (i Grandi antichi) e il cui aspetto è assolutamente inconcepibile per la sua limitata mente. L'omaggio a Lovecraft (che, peraltro, ricalca uno degli stilemi della letteratura gotica) è anche nell'affermazione che la conoscenza della verità implica la follia e che a chi ha visto demoni ed entità sovrannaturali, sopravvivendo, rimane solo la possibilità di un balbettìo folle e disarticolato con il definitivo disancoramento da una condizione di sanità mentale.
Chi ha "visto" è condannato a rimanere "folle", perchè la sua mente non può contenere ciò che ha visto e che ha scardinato le ordinarie categorie di spazio e tempo.

Dunque, vi è nel romanzo di Dimitri, un abile contraltare tra alcune delle "classiche" spiegazioni psicologiche sul perturbante che, in definitiva, nasce dalla mente e che viene rivestito di immagini e fantasmi che noi vogliamo immettervi e le teorie cosmogoniche sull'esistenza di entità sovraumane che vivono una loro vita che casualmente viene a contatto con le traiettorie di vita degli umani (quelle sivluppate al massimo grado da H. P. Lovecraft, il folle di Providence, e dai suoi epigoni).
Il suo indubitabile pregio - come osserva anche Valerio Evangelisti nella sua prefazione - è che queste tematiche sono state trasposte con abilità (e vivacità) ad una quotidianità "nostrana" e a quella che, apparentemente, si sviluppa come una storia d'amore.
In questo, Dimitri spezza il pregiudizio che il romanzo horror per essere tale debba avere necessariamente una location ed un'ambientazione consona al Gotico, fatta di brume, brughiere e vecchie rovine.

Nota biografica sull'autore

Francesco Dimitri è un noto esperto di letteratura fantastica, magia e paranormale.
Nato a Manduria (TA) nel 1981, vive e lavora a Roma.
Ha pubblicato quattro saggi, Comunismo magico (2004), Guida alle case più stregate del mondo (2004) Neopaganesimo (2005) e Manuale del cattivo (2006), oltre ad essere co-autore di Dies Iraq (2003), tutti con Castelvecchi, e un romanzo, già opzionato per il cinema, La ragazza dei miei sogni (Gargoyle Books, 2007).
La Guida alle case più stregate del mondo è considerato un piccolo cult, e ne sta uscendo un'edizione spagnola.
Collabora con XL, scrive sceneggiature e terrorizza gli amici coinvolgendoli nei giochi di ruolo.
Leggi la recensione di Costanza Ciminelli

lunedì 1 febbraio 2010

Ne "L'uomo che fissa le capre", l'irrazionalismo nella politica e nell'intelligence, in un filo rosso che percorre tutta la storia

Nato nel 1979, il gruppo statunitense dei Soldati Psichici si ispira al Manuale del Primo Battaglione Terra (“manuale del perfetto guerriero”), scritto dal colonnello Jim Channon. Si trattava di una specie di manuale militare new age che invita ad abbandonare gli strumenti di morte a favore di altri più "etici": musiche ambient per placare gli animi del nemico, timidi agnellini per sciogliere il cuore dell'avversario, sostanze non-letali del tipo schiuma collante (usato veramente, per la prima e ultima volta, in Somalia nel '94) e manipolazione mentale.Channon pensava veramente di poter usare l'energia mentale per porre fine a tutte le guerre.I suoi superiori, però, hanno pensato di fare proprie le sue lezioni sui Soldati Psichici per vincere le guerre, tralasciando le istanze pacifiste.

Per quanto assurdo possa sembrare questi fatti sono accaduti veramente e Jon Ronson ce li racconta, in un libro che era stato già presentato al pubblico italiana nel 2005 (Capre di guerra, Arcana) e che ora, nel solco dell’uscita nelle sale cinematografiche del film, L’uomo che fissa le capre, viene riprosto per i tipi di Einaudi con titolo identico al film (che, peraltro, riprende il titolo originale dell’opera).

Per quanto fantastico possa sembrare, l’inchiesta di Jon Ronson si poggia su fatti reali.

Facendo una ricerca bibliografica sulle tematiche affrontate da Ronson, veniamo a scoprire, infatti, che qualche anno prima (nel 2003) era già stato pubblicato dalla Editoriale Olimpia un interessante saggio di Alfredo Lissoni (Psicospie. Viaggio negli archivi segreti del paranormale in America, Russia e Medio Oriente) che esplorava aspetti molto poco noti sulle attività di intelligence americane, ma anche russe e medio-orientali, centrate sull'acquisizione di agenti dotati di capacità paranormali (a partire dalla telecinesi: è un dato di fatto che Uri Geller, sulla base di fonti documentali, venne contattato per "insegnare" ad alcuni soggetti dotati come mettere a frutto in modo "orientato" le proprie capacità).

Questo interesse di Lissoni peraltro nasce da lontano, dal momento che ha scritto anche dei saggi sul "nazismo magico" e sull'interesse di Mussolini per gli UFO e il paranormale in genere.

Emerge, dunque dallo studio di Lissoni, che l'attenzione dei vertici militari e dei governanti ha proceduto di pari con il crescere degli antagonismi tra stati, l'evolversi della guerra fredda e, successivamente alla caduta del muro e delle ideologie contrapposte, con l'apertura di nuovi fronti di scontro, più marcatamente legati - in forma occulta - ad interessi economici.

Tenendo conto di questo sfondo, il saggio di Ron Jonson che, ad un lettore poco accorto, potrebbe apparire scritto più che altro nello stile docufiction assume la profondità d'un documento di scavo nelle pieghe più segrete dell'intelligence americana e getta una luce diversa su alcuni fatti di cronaca, come ad esempio l'episodio emergente con clamore della prigione di Abu Ghraib.

Il percorso che segue Ron Jonson rimbalza da un fatto all'altro, da un personaggio all'altro, attraverso occultamenti ed omissioni, e - in effetti - si può leggere come un romanzo, anche se poi si comprende sempre più chiaramente che tutti i suoi incontri sono stati con personaggi autentici, per quanto trattati con piglio giornalistico.

Il percorso di Ron Jonson comincia appunto - da qui il titolo del libro - con un'esplorazione del tentativo di trovare soggetti capaci di far fermare il cuore ad un capra, semplicemente con la forza del pensiero.

A partire da questo primo “fatto” Ron Jonson inizia una suo percorso, attraverso indizi sparsi che egli va seguendo fedelmente, sino a costruire un quadro organico e abbastanza sfaccettato in cui confluiscono una serie di aspetti che furono (e sono) oggetto di investigazione e di possibili applicazioni in ambito militare e di intelligence, tra i quali - solo per citarne alcuni - possiamo ricordare in primo luogo le cosiddette "armi non letali" (tra i quali i suoni silenziosi o i messaggi subliminali nascosti dietro motivetti musicali tradizionali o note canzoni della musica pop), gli apparecchi di psico-correzione ed in generale tutte le cosiddette Psy-ops - Psychic operations - ai fini dell’intelligence), l’operazione carciofo, l’MK-ultra che prevedeva l’impiego di allucinogeni allo scopo di piegare il nemico o ai fini dell’intelligence), sino alle cose più fantasiose invenzioni quali la cosiddetta “schiuma appicicosa” oppure i gruppi di preghiera - costituiti da migliaia di oranti, raccolti in diverse sedi degli States - del presidente Bush che, al tempo del primo intervento in Iraq, in simultanea, sotto la guida di alcuni pastori, pregavano per la buona riuscita delle operazioni militari.

Jon Ronson, al lettore stupefatto, evidenzia tutta una concatenazione di studi ed applicazioni, coperte dal più rigoroso segreto militare e sottoposti eventualmente a procedimenti comunicativi di “negazione plausibile”, laddove fossero sul punto di trapelare al grande pubblico.

Tutti questi aspetti inquietanti ci rivelano il lato oscuro dell’America e, in genere, del Potere, secondo percorsi che si riconnettono alle maggiori dittature del secolo scorso e forse dell’intera storia, quando le sorti di una guerra potevano essere affidate al responso di un astrologo o di un oracolo.

Vi è in tutto questo una profonda connessione con un altro filone, evidenziato bene dal giornalista Francis Wheen nel suo saggio, Come gli stregoni hanno conquistato il mondo. Breve storia delle delusioni moderne (ISBN Editore, 2004), nel quale si racconta come, a partire dal 1979, due eventi diversi e lontani segnano la morte dell’Illuminismo. Khomeini a Teheran viene acclamato dal popolo. La Thatcher trionfa nelle elezioni in Gran Bretagna. Entrambi sono convinti di aver ricevuto il potere da Dio. Francis Wheen, famoso giornalista inglese, ripercorre la storia degli ultimi vent'anni. Dalla Thatcher a Khomeini alla dottrina economica di Ronald Reagan; dal pensiero debole alla new age; dai catastrofisti di fine millennio ai fondamentalisti di oggi, Wheen vede un'unica linea di sviluppo: quella che divide la ragione dalla stregoneria, i politici dai venditori di fumo. Una lettura - tra filosofia, inchiesta e satira - che racconta le ragioni dell'avvento degli stregoni alla guida del mondo.

Wheen, apprezzato giornalista inglese, biografo di Marx e vincitore dell'Orwell Prize, traccia una mappa dell'irrazionalismo deteriore negli ultimi venticinque anni:, nella vita vita del cittadino comune e soprattutto dietro gli scenari della politica internazionale: il prevalere di santoni e icone, il seguito riscosso dal liberismo a dispetto della realtà dei fatti, la fiducia in mercati manipolati e drogati, il rifiuto della scienza a favore della superstizione, del creazionismo, della New Age , il culto di Diana Spencer, l'interesse per gli ufo.

Sono temi in apparenza disparati, ma in cui Wheen, rifacendosi alle radici illuministe e marxiste, denuncia una comune tendenza, in continua espansione, a evitare un approccio razionale e critico in favore della fiducia in una scorciatoia "mistica".

Nella sua trattazione si parte dall'ascesa, emblematicamente quasi simultanea, di Khomeini e Margaret Thatcher, con la loro rivendicazione di un'investitura superiore e la loro rivalutazione, rispettivamente, di un presunto Islam tradizionale e dei "valori vittoriani"; di lì a poco, la reaganomics e quel che è seguito.

Anche a vari rappresentanti del pensiero liberal non sono risparmiate critiche severe, che bersagliano il relativismo culturale, la pochezza dei social studies, l'antiamericanismo di chi arriva a giustificare al Qaeda.

Jon Ronson

Dall'inchiesta di Jon Ronson è stato realizzato il film omonimo "L'uomo che fissa le capre", uscito nelle sale cinematografiche nel 2009.
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