lunedì 31 agosto 2009

La solitudine del moriente


La profondità di una strada deserta all'alba e la malinconia triste di un povero micio stecchito.
Ma, poverino, il suo trapasso sembra essere avvenuto compostamente.
Non é stato arrotato selvaggiamente, non c'è niente di raccapricciante in quel corpicino disteso per terra su di un fianco: forse, è stato solo urtato da un auto di passaggio e tanto è bastato.
E se non fosse per la posizione incongrua (un micio assennato non si metterebbe mai a dormire al centro diella carreggiata) potrebbe sembrare quietamente addormentato e in uno stato sognante...
Ed è proprio questo dettaglio a rendere più accorata la scena che ispira una composta riflessione sulla solitudine di chi muore e sull'impossibilità di formulare nel modo più appropriato gli addii.
Mio padre tanti anni fa, in occasione della morte di un suo collega giornalista, trovato morto all'alba seduto alla sua scrivania, quasi fosse stato sopraffatto dalla stanchezza (era stato colto da un infarto, mentre lavorava), mi disse ( ed io avevo ancora appena 10 anni - andavo ancora alle Elementari): "E' così che vorrei morire."
Ma il suo desiderio non venne esaudito...
O meglio, venne esaudito, ma non in quel modo.

domenica 30 agosto 2009

Le panchine scritte e disegnate: "No Gualty No party"


"No Gualty No party", dice la scritta, facendo l'occhiolino al famoso logo "No Martini, no party", interpretato da George Clooney.Le due foto sono state fatte in un assolato mezzogiorno di fuoco agostano.
Dove? In una villa di Palermo, nel bel mezzo di una città che trasudava caldo da ogni poro del terreno, cosparsa di resti del sabato sera...
Moto e auto, rade, di passaggio.
Qualche concittadino, altrettanto rado, seduto all'ombra o "appanchinato" alla meno peggio...
Girovagando per la villa, dopo un po' di conversazione con qualche sparuto rappresentante del popolo dei padroni di cani, ho scattato per il gruppo di Facebook "QUELLI, KE LE PANCHINE" un paio di foto panchinare di questo "soggetto" panchina che quasi per caso è venuto a me.
Se non avessi fatto all'interno della villa una inusuale deviazione mi sarebbe sicuramente sfuggita questa nuova scritta.
Confesso un piccolo segreto: le due bottigliette vuote di birra erano a terrra ed io, per dare un tocco in più, le ho collocate strategicamente sulla panchina al margine della scritta...
Mentre camminavo lungo le strade deserte e attraverso il parco, mi è venuto spontaneo e naturale ricordarmi delle note della famosa canzone dell'Equipe 84: "Tutta mia la città...".
E con quelle note in testa me ne sono tornato a casa...
La foto di quata assolata panchina palermitana entra a pieno titolo a far parte della serie delle "panchine scritte e dipinte".
Giá! Tra le tante funzioni che assolve una panchina avevamo dimenticato quella di essere supporto di messaggi, di vignette, di writing, di forme cromatiche di visual art.
E' naturale che, una volta comodi su di una panchina, venga voglia di scriveci su dei messaggi da condividere con il proprio compagno di seduta oppure con i visitatori successivi.
In questo modo la panchina diventa testo vivente e mutevole palinsesto.

giovedì 27 agosto 2009

U tuircu a Palermo: un giocatore di calcio che ha influenzato l'immaginario linguistico

Tempo fa, avevamo in casa come collaboratore domestico un Ghanese, di nome William: un vero factotum...
Faceva le pulizie, portava a spasso i cani (allora avevo due Pastori tedeschi), sapeva stirare (incredibile...) e, all'occorenza, prestava la sua opera come baby-sitter e accuditore della prole. Una volta, tornando a casa, anzitempo, chiesi al portinaio: "C'è William in casa?". Quello dopo una lunga e complessa mimica tipica di chi non vuole comprendere, mi rispose con una domanda accompagnata da un sorrisetto di stolida intesa: "Cu? U tuircu?" (vale a dire, tradotto in lingua italiana: "Chi? Il turco?"). Lì per lì pensai che la parola fosse dettata da quell'ignoranza di folklorico marchio nostrano: una maniera di omologare ogni straniero con "il turco", una scelta linguistica di origini antiche e radicata nelle nostre vicissitudini storiche di secoli e secoli di invasioni e incursioni saracene sulle nostre coste. Del resto, si dice tuttora - per rievocare il timore panico che induceva l'arrivo dei Saraceni - "Mamma li turchi!". Un complesso sistema di avvistamento (con le torri di guardia che cingono le coste della Sicilia, in un perfetto sistema di corrispondenze visive) era stato predisposto per dare agio alle popolazioni costiere di riparare in rifugi sicuri all'arrivo dei Saraceni. Eppure, ancora nel corso del XIX, si hanno notizie di complesse trattative per riscattare dalla schiavitù dei Siciliani portati via come bottino. Quindi, "u tuirco" per dire straniero - genericamente africano - feroce e primitivo, insieme. In realtà come ho appreso da Sergio Ignizio, mio amico in Facebook e grande supporter della squadra di calcio di Palermo (e anche conoscitore della sua storia, quindi), l'uso linguistico ha un'altra origine, ben più recente. Negli anni '50 il Palermo ebbe tra i suoi giocatori, esprimendo in ciò una tendenza appena all'esordio, un forte giocatore proprio turco, Şükrü.
Ed è da allora che ogni straniero specie se scuro di pelle e primitivo di modi è nell'immaginario del Palermitano "u tuircu".

Di seguito la breve scheda biografica di Şükrü Gülesin, tratta da Wikipedia

Şükrü Gülesin (Istanbul, 14 settembre 1922 – 10 luglio 1977) è stato un calciatore turco, di ruolo attaccante, morto in un incidente stradale.
Carriera - Segnalato da Giuseppe Meazza, venne ingaggiato dalla Lazio nella stagione 1950/51. Giocatore dalla stazza imponenente (era alto quasi due metri e corpulento), al suo arrivo destò non poche perplessità. Entrò subito in contrasto con l'allenatore Mario Sperone, il quale lo voleva far giocare centromediano, vista la sua imponente mole, invece che centavanti, ruolo che aveva sempre ricoperto in patria nel Besiktas. Venne così subito venduto in prestito al Palermo, dove esordiva nell'ottobre 1950 contro il Milan. Divenne presto il beniamino del pubblico rosanero. Nella sua prima stagione in terra siciliana, giocando centavanti, segnò la bellezza di 13 reti in 28 incontri disputati. Ritornò presto alla Lazio e nonostante i 16 goal in 29 partite, nella stagione 1952-1953 fece ritorno al Palermo, per porre poi fine alla sua avventura italiana.
Il suo carattere e la dolce vita romana - A Roma, più che per le sue prodezze sul campo, era noto per la dolce vita che conduceva e che spesso lo vedeva persino ospite del re Faruk. Non disdegnava le macchine lussuose, le sigarette e l'alcool, e se ne faceva pubblicamente vanto. Famose erano le sue risse, sia in campo che fuori. Non sopportava i rimproveri. A tal proposito si racconta addirittura che un giorno inseguì con un coltello il suo allenatore Giuseppe Bigogno, reo di averlo escluso dalla formazione titolare, poiché sulla bilancia denunciava oltre cento chil.

mercoledì 19 agosto 2009

Internet ovvero il pozzo magico dei desideri, dei ricordi e dei sogni


Strani percorsi mentali, coincidenze, associazioni d'idee ci portano in modi imprevisti e senza una periodicità precisa, a rivisitare cose antiche, oggetti che fanno parte di una nostra archeologia della mente.
E internet, da questo punto di vista, ci facilita a dismisura, perchè qualsiasi cosa vogliamo trovare (quasi) è lì a nostra disposizione. Borges avrebbe detto per certo che internet è la sua "Biblioteca di Babele", al di là di ogni sua fantastica anticipazione.
I corridoi che puoi percorrere in internet sono davvero infiniti e provvisti di infinite ramificazioni. Oggi, è stata la volta di Mary Poppins. In certi frangenti della vita a tutti farebbe comodo avere accanto la meravigliosa tata che educa attraverso magia e fantasia. E che può intervenire con il suo prezioso aiuto quando si tratta di preparare il bagaglio prima di una partenza....
Quella sua piccola borsa, poi, capace di contenere tutto ciò che le serve e che tanto fa pensare al mitico gonnellino di Eta Beta...

Superacalifragilistichespiralidoso


domenica 16 agosto 2009

Il telefonino e le cattive abitudini: finta socialità, profondo solipsismo


Chissà perchè Ferragosto, divenuto un giorno di vacanza essenzialmente laico e, apparentemente, non legato a nessuna ricorrenza in particolare (anche se chi è cattolico praticante celebra l'Assunzione di Maria Vergine, ma solo dal 1950 - per intervento curiale) sta diventando una festività in cui ci si scambiano auguri e convenevoli.
Di anno in anno, una pioggia sempre più fitta di
"Buon ferragosto" e salamelecchi vari.
Poco male: ogni occasione è gradita per ricevere auguri.
C'è il sospetto, tuttavia, che si tratti il più volte di un'attività di routine grazie all'anonima funzione dell'"invia a tutti" disponibile sui cellulari.
Dell'augurio standard e stereotipato, mandato eguale a tutti quelli che sono scritti in una lista, io personalmente non me ne faccio nulla e penso che molti altri la pensino come me, francamente.
Diciamo che il "Buon Ferragosto!" è soltanto una molesta esternazione di maniaci del telefonino.
Meglio sarebbe piuttosto una breve telefonata a pochi amici selezionati - pochi, ma buoni - per dir loro - o sentirci dire -
"Cosa fai? Come stai? Vediamoci, se sei in cittò... Facciamo qualcosa assieme...".
Allora, sì: lo strumento tecnologico diventerebbe il vero tramite per rafforzare, con calore e disponibilità, le relazioni e i legami con chi ci è più caro.
Mentre sempre di più, il cellulare - al di là di una superficiale potenzialità nel costruire legami sembra alimentare piuttosto nuove e più profonde solitudini.

Quel raggio di sole vagabondo


Ogni giorno, e soltanto per un mese all'anno (ad agosto), un raggio di sole, forse deviato da una superficie di vetro, penetra nella mia stanza, accendendola di riflessi d'acquario. La fantasmagoria di giochi prismatici dura per 10 minuti al massimo: poi l'allineamento del sole si modifica e tutto ritorna nella penombra che mi è più abituale.
Quel raggio di sole, che all'alba - paradossalmente - arriva da ovest, è un vero dono, una piccola festa e porta - benaugurante, proprio all'inizio della giornata - calore, allegria e buonumore.
Poi, procedendo nella stagione, la traiettoria del sole si modifica e quel raggio vagabondo non arriva più sino all'anno successivo.
Il fatto strano è che, pur vivendo in questa casa da moltissimi anni, non mi ero mai accorto prima di questo fenomeno.
A volte la meraviglia più autentica sta nelle piccole cose.

lunedì 10 agosto 2009

Compleanni: per me, quest'anno ricorreva il "trenta bis"...


Ieri ricorreva il mio compleanno. Ho ricevuto i soliti auguri, quelli "speciali" e tanti, almeno una ventina, da alcuni miei amici in Facebook, con molti dei quali non ci siamo mai incontrati direttamente.
Quest'anno cifra tonda: 60!
Questo mi ha fatto ricordare il compleano dei 30 anni. Quell'estate stavo facendo un viaggio in moto tra Jugoslavia e Grecia, con un mio cugino e un suo amico.
Quell'estate, in particolare, fu per me un periodo di rinascita, dopo un lungo periodo buio...
Pochi soldi, viaggio in totale economia tra campeggi e pernottamenti all'addiaccio, dove capitava. Ma non importava, a fronte dell'esperienza di un viaggio in totale libertà e dominato dall'avventura...
I miei compagni di viaggio erano dei gran dormiglioni e battevano la fiacca, sicchè - ogni giorno al loro risveglio, mai prima di mezzogiorno - io avevo già fatto diecimila cose tra corsa, esplorazioni, varie, foto, colazioni e merende, nonchè la pianificazione della nostra nuova tappa.
La mattina di quel 9 agosto (avevamo pernottato in campeggio), me ne stavo nei bagni a radermi, quando dalla porta si affacciano i due compari, svegli insolitamente presto, che mi fanno: "Buon compleanno, vecchio!".
E non so perchè, quella semplice formula ebbe il potere di commuovermi.
Unico lusso che ci concedemmo quel giorno, fu quello di andare a mangiare un pasto completo in una trattoria greca lungo la strada dove ci appanzammo con molte e varie portate, abbondantemente innaffiate di retsina.
E quello fu il mio compleanno dei 30 anni.

E allora 30 potevano già sembrarmi tanti...
Negli anni successivi, altri compleanni sono passati del tutto inosservati ed anonimi.
Qualche volta senza il minimo straccio di auguri, perchè rifuggivo le occasioni di riceverne e, in ogni caso, proprio nel giorno del mio compleanno, ero spesso in viaggio.
Quello di ieri è stato un compleanno davvero speciale, di quelli che capitano ogni tanto o, forse, soltanto una volta nella vita...
Per tanti motivi diversi, che non starò qui a divulgare.
Ma, tra le tante cose, mi piace ricordare che ho avuto ben due torte - tutte per me - una con tanto di candeline e da mio figlio il dono - oltremodo gradito - di un bellissimo libro illustrato con le foto delle immersioni di Umberto Pelizzari.
In ogni caso era il mio compleanno dei 60, il che mi ha riportato indietro con la mente proprio a quel compleanno "da viaggio" di 30 anni prima.
Proprio per questo mi piace pensare non al compleanno di 60 anni, ma ad un 30+30 oppure ad un "trenta bis" come ha suggerito qualcuno dei benauguranti di FB.
Mi piace metterla così, perchè anzichè far pensare ad un gradiente lineare lungo cui si muove una vita, la formuletta sembra proporrre una sorta di ciclicità che fa sì che tante cose, se soltanto si ha lo spirito di accettarle si riprongano in un processo sostenuto da una periodica rivitalizzazione, come è nel mito della Fenice che sempre risorge dalle sue ceneri.
In fondo non una vita soltanto ci si ritrova a vivere, ma tante diverse, nelle quali alcune cose si eclissano, altre ritornano, altre infine si rinnovano, coscchè ci sono sempre delle chance che ci vengono offerte - se non in un ciclo in uno degli altri... anche se poi, in definitiva, siamo sempre noi gli artefici di ciò che ci accade. Il grande demiurgo, se esiste da qualche parte, si limita soltanto a creare delle possibilità: ma il loro sviluppo o il loro flop dipendono solo ed esclusivamente da noi.
Ed intanto mentre scrivo ascolto la rimasterizzazione di un concerto dei Doors e, in particolare, le note del grandissimo "Light my fire".
Caro Enzo, amico mio, ieri nel farmi gli auguri ti sei lamentato che da oltre un mese non aggiornavo il mio blog. Eccoti servito con queste mie mie riflessioni:
Devo davvero ringraziarti per la sollecitazione che considero a tutti gli effetti un tuo regalo: mai abbandonare tutto ciò che rappresenta un ponte tra noi e gli altri...

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