martedì 16 giugno 2009

L'insegnamento di Philippe Petit, ultra-funambolo e pensatore spontaneamente mistico


Philippe Petit ha compiuto delle imprese davvero straordinarie. Tutta la sua vita (adesso si avvicina ai sessanta) è stata una continua ricerca della perfezione, sotto la spinta di un'inestinguibile passione. Quale? Quella di avvicinarsi sempre più al cielo, ma tenendo sempre i piedi poggiati "a terra" (si fa per dire...) o, meglio, su una fune o su un cavo d'acciaio. teso all'inverosimile. Prestigiatore, mimo, anche - per un breve periodo - borseggiatore, saltimbanco e, alla fine funambolo e tutto, sempre, da autodidatta. E che funambolo! Philippe Petit non s'è mai accontentato di fare il semplice funambolo da circo, quello che tutti abbiamo visto camminare su una fune tesa a sette-dieci metri da terra, ma con la rete di sicurezza distesa al disotto: ha voluto specializzarsi in avventure spettacolari (che lui definisce semplicemente "passeggiate") e, da questo punto di vista, si può equiparare a quei runner che tentano imprese estreme mai tentate prima, come - ad esempio - Michael Collins (indubbiamente un paradigma nel campo dell'ultramaratona estrema, ma anche scrittore di successo). Imprese come - giusto per elencarne alcune - la passeggiata tra le due torri di Notre Dame de Paris, la traversata sulle cascate del Niagara, oppure la camminata di 800 metri su di una corda tesa - in diagonale e in pendenza - sino al secondo piano della Tour Eiffel, o ancora la traversata dalla sommità di una delle Twin Towers all'altra. Nel corso della sua vita ha accumulato un numero sorprendente di arresti (alcuni dicono 500) dal momento che queste sue imprese - salvo i rari casi in cui è stato autorizzato preventivamente come nel caso di quella della Tour Eiffel - sono tutte illegali, arresti che sono giunti al compimento dell'impresa, oppure prima.


Ognuna delle sue imprese, come la traversata delle Twin Towers, quella in assoluto più famosa, richiede progettazione, attenta pianificazione, preparazione tecnica (compreso l'allestimento di tutti i materiali tecnici occorrenti, a partire dal cavo che, di volta in volta, in funzione delle caratteristiche della passeggiata (altitudine, forza dei venti, pendenza) deve essere appositamente costruito.
Qual'è la singolarità di Philippe Petit e la lezione che egli ci trasmette? E soprattutto qual'è il suo interesse per noi? - si chiederanno in molti.

Ci sono due aspetti da prendere in considerazione, essenzialmente.
Il primo è sicuramente l'esistenza di un punto di affinità tra Philippe Petit e tutti coloro che tentano imprese estreme, spinti ad andare sino in fondo da una passione forte ed intensa - e spesso inspiegabile nelle sue radici più profonde.
E questo è il motivo più generico.

Il secondo assume delle connotazioni ben più specifiche e ci fornisce degli spunti fecondi di riflessione nella pratica degli sport estremi e soprattutto di quelli condotti in solitudine, spostando il fulcro della speculazione sulle origini della capacità dell'individuo di fronteggiare difficoltà, fatiche, insidie ambientali non comuni in una pratica che è innanzitutto mentale, prima che del corpo.
Diciamo pure che questa breve riflessione, di cui vedremo più avanti la specifica enunciazione che ne fa Philippe Petit, potrebbe essere uno degli elementi su cui si fonda la resistenza mentale nelle gare di endurance e negli sport estremi più diversi.
Philippe Petit ha scritto ben tre libri.
Uno, quando ancora aveva 17 anni e quando - come lui stesso afferma - ancora non sapeva nulla degli aspetti pratici del funambolismo e delle intuizioni che vi sono contenute oggi lui stesso non finisce mai di stupirsi, quando gli capita di rileggerlo (Trattato di funambolismo, Ponte alle Grazie, 1999).

Nel secondo volume, Toccare le nuvole. Fra le Twin Towers, i miei ricordi di funambolo (Ponte alle Grazie, 2003), corredato da una serie di illustrazioni (per lo più foto in BN), iracconta con ricchezza di dettagli la progettazione, la pianificazione e, infine, la realizzazione della "passeggiata" tra le due Torri del WTC di New York.

Infine, il terzo (che è quello che ci interessa), Credere nel vuoto (Bollati Boringhieri, 2008), realizzato con il materiale raccolto in occasione di uno degli incontri organizzati da Torino Spiritualità (www.torinospiritualità.org) che si propone "di porre domande che non cercano mai una sola risposta", su temi che intersecano la filosofia, la teologia, la storia delle religioni, la politologia, le scienze sociali e quelle umane.
Infatti, per la singolarità delle sue scelte e dell suo modo di vivere, ma anche per ila sintesi originale di pensiero che egli fa sulla sua vita, Philippe Petit è anche considerato uno che ha qualcosa da dire a chi si occupa di spiritualità e che non si accontenta di risposte univoche a domande semplici.
Ed è più che legittimo attendersi questo da un uomo temprato a camminare vicino al cielo, senza poterlo mai toccare e con il suolo sotto di sé ad un'infinita distanza senza nessuna protezione: un uomo solo tra terra e cielo con la sua immensa fragilità e armato della sua passione e di una forte volontà.

In quest'ultimo libro (che è la trascrizione esatta della conferenza-incontro con il gruppo torinese, con la moderazione di Michele Serra), Philippe Petit ci spiega che le sue "passeggiate" (come ama definirle) sono innanzitutto una faccenda di testa, prima ancora che una performance fisica. Bisogna innanzitutto volere e credere, è una faccenda di fede, dunque - spiega Petit. Camminare sul filo, per lui, è una specie di "religio" nel senso dei Latini (dal verbo "religare", cioè unire legando assieme. Nella sua esperienza, Philippe Petit parte da un punto noto e sa che dovrà compiere una traversata sino ad un punto ignoto e che, da quel momento, quei due punti saranno per sempre uniti, anche quando le luci si saranno spente e quel cavo d'acciaio teso sul vuoto, su cui lui ha camminato con semplicità sarà stato smontato.
Nelle semplici parole con cui si esprime, Philippe Petit dimostra di essere davvero un uomo straordinario che ha compiuto imprese storiche e mirabolanti che rimangono per sempre nei nostri cuori, come quella memorabile ed emozionante del 1974 (le Twin Towers). Ora le torri del WTC non ci sono più, il ricordo della sua impresa rimane e segna con un marchio profondo di fede e speranza un mondo che questi due valori sembra non possederli più.

Philippe Petit è un uomo interessante e volitivo, anche perchè afferma - con il carisma che gli compete - che se uno vuole può sviluppare il talento per compiere qualsiasi cosa gli piaccia fare: in altri termini, come affermava con forza anche Lawrence d'Arabia - altro personaggio straordinario - "Nulla è scritto", mentre ciò che importa veramente nel raggiumento dell'obiettivo che ci si è posto sono la determinazione e l'applicazione, la volontà e la costanza: armati di queste qualità, e avendo anche fede in se stessi, nelle proprie capacità e nelle proprie forze, si può arrivare dovunque. In questo senso, Philippe Petit enuncia una formulazione che entra in contraddittorio con il luogo comune secondo cui "...per compiere imprese straordinarie, occorrano uomini straordinari". Al contrario egli sembra sosteneere che un qualsiasi uomo comune può realizzare cose fuori dal comune, purchè animato dalla passione e da incrollabile determinazione e coraggio, ma senza essere temerario Nell'essere temerario è contenuto il germe della hubris e della supervalutazione di sé che, alla lunga, genera il fallimento.

Come insegna Philippe Petit, non tutto si può raggiungere: alcune imprese, lungamente studiate, dopo anni di preparativi si fermano prima della loro realizzazione. Ma è già importante che tutte le energie interiori siano state profuse nella fase della progettazione, anche se poi viene a mancare il segmento finale della performance, in senso stretto. Quell'impresa non compiuta rimarrà come "sogno nel cassetto" e fornirà "carburante" per la progettazione e la realizzazione di altre avventure.
Con le sue parole Philippe Petit ci trasmette così un messaggio di grande spiritualità, pur dichiarando di non essere credente nel senso ordinario della parola.

Il decano Morton della chiesa newyorkese di Saint John the Divine dove Philippe vive da quasi 25 anni in una parte dell'edificio che il decano gli ha concesso per il suo uso abitativo privato ha detto significativamente di lui: "Philippe non crede in Dio. Dio però crede in Philippe", nel senso che Dio vede il dio che è in lui.

Per finire, ecco un passaggio molto intenso della conversazione di Philippe Petit e che contiene sinteticamente tutta la sua filosofia e che lancio così com'è, senza ulteriori commenti.
"...quello che faccio non ha nulla a che vedere con il corpo. Passione, intuizione, ricerca della perfezione, tenacia, amore per qualcosa: tutto questo è frutto della mente. Per camminare su una corda tesa si ha certamente bisogno del corpo, ma prima di tutto è necessario generare una sorpredente energia di solidità e di fede: bisogna credere. Quando sono sulla fune, quando, dopo aver afferrato la mia asta da equilibrista, sono pronto a partire, devo sapere in anticipo, prima di fare il primo passo, che arriverò dall'altra parte. Se non lo sapessi, fuggirei via perchè sarebbe terrificante. Questa è fede. Forse è una fede religiosa: di certo ha a che fare con la mente. La mia filosofia è di avere un'idea, un progetto, impegnare la mia mente in qualcosa e poi coinvolgere il corpo, tirandolo per una manica. Il corpo seguirà la mente. Certo, per fare le sue famose dodici piroette Baryshnikov* ha bisogno di dodici anni di lavoro, ma è solo un dettaglio. La cosa importante è la mente.". (ib., pp 44-45)

* Nota - Michail Nikolaevich Baryšnikov è un ballerino, coreografo e attore russo naturalizzato statunitense. Nato in Lettonia da genitori russi, viene avviato giovanissimo alla danza classica: a dodici anni entra nell'Accademia di Ballo Vaganova, a diciotto diventa solista del Balletto Kirov e nel 1974, durante una tournée in Canada con il Bolshoi Ballet, chiede asilo politico a Toronto. Successivamente, da Toronto si trasferisce negli Stati Uniti d'America. Dal 1974 al 1979 è primo ballerino dell'American Ballet Theatre, continuando tuttavia a fare sporadiche esibizioni con altre compagnie di balletto classico e danza moderna. Nel 1980 entra nel New York City Ballet per un anno e mezzo, dove lavora con il coreografo George Balanchine. Dopo questa esperienza ritorna all'American Ballet Theatre come ballerino e direttore artistico (posizione che manterrà per dieci anni). Il 3 luglio1986 viene naturalizzato cittadino statunitense.

domenica 14 giugno 2009

Spinning-mania


Spinning-mania!
Un'iniziativa in piazza sviluppata dal CONI provinciale di Palermo e da altri Enti di promozione sportiva.
La manifestazione ha avuto
il suo esordio al mattino presto di domenica 14 giugno con saggi di danza e, per l'appunto, con una seduta di spinning, quest'ultima curata da un'organizzazione che promuove lo spinning itinerante in numerose località della Sicilia con una valenza di promozione sia dello sport sia del turismo.
Lo spinning è davvero strano: i suoi cultori sarebbero capaci di andare a fare la loro ora con musiche e relative visualizzazioni anche sulla cima di una montagna.
Ma perchè allora non andarci su di una bici che cammina?
Una domanda da un milione di punti!
Che porta con sè anche quest'altra: "Perchè lo fanno?".
Certo è che lo spinning ha il pregio di consentire la pratica di uno sport a chi, per molteplici motivi, non andrebbe mai in bici, o perchè non ha un gruppo con cui farlo, o perchè non se la sente, o perchè - che so? - è agorafobico e ha bisogno di avere dei confini ben delimitati attorno a sè per sentirsi protetto dal caos. Per non parlare della donne che, per altri motivi, trovano difficoltoso praticare la bici su strada (e, soprattutto, per motivi di sicurezza).
La pratica dello spinning - come la corsa su tapis roulant - è viceversa rassicurante.
Si è in gruppo, non c'è il timore di una dispersione in uno spazio non delimitato, ma c'è anche - cosa non indifferente - un preciso limite temporale che è la durata della singola seduta (in genere un'ora).
In più, c'è la musica e c'è il rapporto con il "conduttore" che - come nelle antiche galee a remi, quando il battitore del ritmo dava il tempo della voga o a voce o con un tamburo - regola il ritmo, la postura, l'intensità della resistenza contro cui pedalare, ma nello stesso tempo suggerisce una successione di visualizzazioni di una strada che scorre e di paesaggi che si dipanano davanti allo sguardo, in modo tale che tutto l'insieme si trasformi in un vero "viaggio": si attraversano boschi, si superano colli, ci si lancia giù per ripide discese, si affrontano noiosi tratti di pianura.
Nello spinning si evidenzia il fatto che il motivo di interesse - e, per alcuni, anche di fascino - risiede nell'attivazione mentale che il suo apparato è in grado di generare.
Non si tratta solo di andare, banalmente, su di una cyclette, ma è l'esposizione intensa ad una serie di stimoli diversi che provoca un effetto attrattivo potente (fatica individuale, situazione gruppale, condivisione, leader-conduttore, musica, visualizzazioni).
Secondo alcuni, lo spinning - per tutti questi elementi - provocadelle reazioni neurofisiologiche piuttosto vistose e agisce in modi diretti sul reward system (il sistema dopaminergico preposto all'apprendimento).

martedì 9 giugno 2009

Follie condominiali ed escrementi da lancio


Si sa che i rapporti tra condomini non sono sempre facili.
Non parliamo poi delle riunioni condominiali: spesso un'autentico incubo, a causa dell'interazione di alcuni tipi umani (o iper-tipi) che - sempre ricorrenti in quel piccolo microcosmo che è ogni condominio - si manifestano con grande vigore con tutti i loro nefasti effetti.
Come, ad esempio, il querulomane garrulo e litigioso che, ad ogni voce dell'ordine del giorno, introduce cavilli e argomentazioni, spesso attingendo da corposi volumi che ha portato con sé a supporto delle sue tesi.
Il querulomane ha una missione da compiere: paralizzare la vita del condominio e ostacolare qualsiasi decisione si debba prendere, per non parlare del suo leit-motiv (la cosa che gli è più cara): contestare con assiduità le quote millesimali e rifiutarsi di pagare il dovuto, del tutto o autopraticandosi significativi sconti.
Ma ci sono anche gli assenteisti e i silenti: peggio ancora quelli che durante le riunioni non prendono mai la parola, come se non avessero mai nulla da dire, e che poi, quando il loro dire è assolutamente inefficace e non porta più a nulla di costruttivo, diventano lamentosi ed iper-critici.
Ancora, strettamente correlati a questi ultimi, ci sono quelli che fanno la fronda e stringono con altri gruppetti alleanze sotterranee.
Ma per andare dove, poi, se non provocare una guerra tra poveri?
E non taciamo di quelli che parlano con voce stentorea e gridano, quasi che la loro parola gridata possa avere un maggiore peso e sovrastare gli altri.
Del resto, sono in linea costoro con il comune degrado della vita relazionale tra soggetti politici, sia in contesti istituzionali (si vedano certe vergognose sedute parlamentari), sia in situazioni pubbliche di tipo mediatico (e alcune puntate di "Porta a porta", di "Anno zero", di "Ballarò" sono indubbiamente esemplari).
Eppure, non sempre le cose vanno così.
Ci sono alcune "realtà" condominiali gentili e affabili, in cui vigono tra tutti i condomini buoni rapporti, sia nella quotidianità, sia in occasione delle famigerate riunioni formali, arrivando addirittura in alcuni casi ad avere (una o due volte all'anno) dei momenti conviviali (tipo: a Natale, a Pasqua), sereni e agapici.
Autentiche isole felici!
Proprio in sala d'attesa dal mio dentista mi è capitato di leggere un piccolo articolo su queste lodevoli "eccezioni" su un numero di "Grazia", ormai ridotto ad un formato mini-tabloid, rispetto a quando l'acquistava regolarmente mia madre.
Ma non mancano altre anomalie, cioè alcuni comportamenti che scaturiscono francamente dalla psicopatologia, a meno che non siano dettati da un supremo disprezzo nei confronti dell'umanità intera.
Nel mio condominio da anni agisce indisturbato un "lanciatore" folle che utilizza per i suoi "lanci" lo spazio interno dello stabile, adibito a parcheggio.
Anni fa (personalmente, sarei portato a pensare ad una comune matrice) prediligeva lanciare uova sul tetto delle auto parcheggiate.
L'uovo scoppiava e, soprattutto, quando il lancio era fatto d'estate, la poltiglia di tuorlo e chiara letteralmente cuoceva sulla carrozzeria, lasciandola per sempre deturpata.
Poi, questo fenomeno s'è estinto: forse, il lanciatore anonimo s'è fermato, appagato dei danni compiuti.
O forse (come capita con i serial killer che improvvisamente si inabissano) ha temuto di essere scoperto...
Ora, da alcuni mesi, i lanci hanno ripreso vigore, ma ne è cambiato l'oggetto.
Si tratta questa volta di sacchetti pieni di... (beh, mi dispiace doverlo dire, ma lo dirò egualmente, anche a costo di provocare turbamenti...) cacca: a volte, ben stagionata con l'aspetto di concime, (che si può utilizzare per le piante in vaso...), ma altre volte - invece - ... (no, questa volta, non mi dilungherò su vomitevoli dettagli, che lascio alla vostra immaginazione).
I maleodoranti proiettili colpiscono ora un'auto parcheggiata, ora il balconcino di un condomino...
E si susseguono con una certa fastidiosa frequenza.
Ma, ad oggi, il "lanciatore" folle non è stato ancora identificato.
Anche se presto - visto che i lanci avvengono nelle ore notturne - qualcuno, più bellicoloso e desideroso di vendetta, passerà notti insonni, armato di occhiali agli infrarossi...
Proprio di follia "seriale" si tratta, secondo me.
Tuttavia, l'ipotesi della follia è benigna, perchè in certo qual modo attenua la responsabilità individuale del gesto e la sua intrinseca cafonaggine e violenza.
E se invece si trattasse di un'azione che denota disprezzo e arroganza, magari segretamente messa in atto da qualche litigioso che crede di vere sempre e comunque ragione?
Sia come sia si tratta d'un fenomeno che esprime il degrado inarrestabile della vita civile, ai nostri tempi.
E per fortuna che il nostro lanciatore non ha letto la notizia, casualmente rinvenuta nella rete e riportata di seguito: penso che si esalterebbe subito a dismisura e che incrementerebbe il volume dei suoi mefitici lanci, magari per la bisogna assoldando un elefante.

NAPOLI - Escrementi giganteschi appaiono sui marciapiedi delle città per pubblicizzare i documentari Jurassic Park.
Gigantesche cacche o, se si preferisce, resti di coproliti, cioè escrementi fossili di dinosauro, si troveranno da domani nelle strade di Napoli, Milano e Roma.
La curiosa iniziativa è stata organizzata in occasione del ciclo Jurassic Park, una serie di documentari che raccontano le più recenti scoperte e gli ultimi studi che riguardano la vita dei dinosauri.
Il ciclo Jurassic Park andrà in onda dal 16 dicembre, ogni domenica alle 21.00 su National Geographic Channel.
I resti che si troveranno per le strade ovviamente sono falsi: sono stati realizzati in poliuretano espanso e colorati con vernici lucide.
Ad accompagnare i coproliti dei cartelli con le informazioni scientifiche sui dinosauri e sui loro escrementi. Per la serie di documentari si parte il 16 con Autopsia Dinosauri, un documentario su una mummia di dinosauro parzialmente intatta, scoperta in North Dakota.

venerdì 5 giugno 2009

Panchine da viaggio, il mondo in una stanza e tappeti magici


Mi ha molto colpito il post di recente comparso nel blog di Enzo Cordovana, dal titolo accativante "Panchine da viaggio", oltre che nel gruppo di discussione FB "QUELLI, KE LE PANCHINE...".
La definizione cordovanesca di "panchine da viaggio" mi è piaciuta davvero molto perchè nel nome c'è insita la garanzia di poter viaggiare con la mente, sicuramente e di potere osservare il mondo dislocarsi attorno a te, realizzando quindi una delle caratteristiche principali del viaggiare con l'effetto di spaesamento e quant'altro.
E' un modo per capovolgere l'idea stessa del viaggio: non sei più tu che vai verso il mondo, ma è il mondo che scorre davanti ai tuoi occhi, come in un film.
Il microcosmo che costituisce una rappresentazione attendibile, se non addirittura isomorfica, dell'intero macrocosmo.
Questo assunto ha degli antecedenti letterari significativi, tra i quali mi vengono in mente le due piccole opere del francese Xavier de Maistre.
Xavier De Maistre (1763-1852), fratello del più famoso Joseph, è l'autore di un piccolo libro, il "Viaggio intorno alla mia camera", composto nel 1790 in occasione di una sua forzata immobilità conseguenza degli arresti domiciliari cui l'avevano condannato le autorità militari savoiarde. Il libro, con un andamento discorsivo e raffinato al tempo stesso, è costituito da 42 capitoletti tanti quanti sono stati i suoi giorni di prigionia. De Maistre, nelle sue pagine, ci racconta di tante sue piccole scoperte che sono, in realtà, alla portata di ogni attento osservatore, ma il suo "tocco" ed il principio ispiratore (spiritualista) della sua narrazione lo hanno fatto apprezzare, nel tempo, anche da illustri scrittori quali Alessandro Manzoni e tanti altri suoi contemporanei.
Il piccolo libro venne seguito da un secondo volumetto, "Spedizioni notturne intorno alla mia camera", costruito in modo del tutto simile.
Un aneddotto: un uomo ubriaco se ne stava fermo, in piena notte, appoggiato ad un lampione. Si avvicina uno, incuriosito, e gli chiede: "Cosa fai qui? perchè non te ne vai a casa?" L'ubriaco gli risponde, guardandolo con sufficienza: "Me ne sto qui ad aspettare. E, prima o poi, la mia casa passerà di qui. Ne sono certo".
Certo: parole di ubriaco, ma in fondo anche di profonda saggezza. Inutile affannarsi per cercare di trovare qualcosa che, prima o poi, troverà te.
Seduti nella panchina ci si mette un po' fuori dal mondo e lo si osserva: ma non sempre questo volontario mettersi fuori dal flusso delle cose è ben accolto. In alcuni casi, per potere seguire indisturbato questa tua esigenza, devi un po' nasconderti.
Una volta, alla 100 km Trapani-Palermo, sentii impellente il bisogno di dormire: dovetti scegliere per la bisogna un posto relativamente appartato e fuori dalla vista. Se infatti fossi stato visto da qualcuno dell'organizzazione beatamente addormentato, nella peggiore della ipotesi, avrei suscitato allarme ("Sta male. Ha bisogno di soccorsi.") e di peso sarei stato portato via e, nella migliore, sarei stato guardato con compatimento ("Chistu è unu curiusu").
La panchina offre la possibilità di un viaggio "stazionario", un modo di viaggiare in controtendenza rispetto a questa nostra moderntà ipervelocizzata, in cui le cose che viengono maggiormente apprezzate e valorizzate sono il movimento continuo e la velocità.
Robert Anson Heinlein, uno dei maestri della narrativa di anticipazione, scrisse negli anni Sessanta un racconto che è una rappresentazione metaforica di ciò che accade al nostro mondo, oggi: in "Le strade devono correre" veniva preconizzato una società futura, in cui il nostro pianeta è ridotto ad una rete infinita di strade, su cui l'intera umanità vive la sua vita su mezzi di trasporto (la più parte autoveicoli personali), dunque ciascuno anche in modo solipsistico) in continuo movimento. Unica legge: non ci si può mai fermare.
A quel mondo (ma, senza arrivare all'estremo visionario di Heinlein, anche al nostro mondo attuale) preferisco una modesta panchina "da viaggio" che, in alcuni casi, può anche diventare come un tappeto magico che, subito in volo al tuo comando, ti trasporta ovunque tu voglia andare.

Foto: La panchina nella foto, si trova sulla strada che da Firenze porta a Faenza, subito dopo l'uscita di Ronta, dunque al 45° km circa. La panchina è posizionata su di un tornante in modo tale che standovi seduti lo sguardo può avere uno scorcio sulla valle del Mugello e, a più breve distanza, sul tratto di strada a partire dal tornante subito prima.
La panchina è ubicata proprio nel punto in cui la salita si fa veramente dura per poi mantenersi sino al Passo della Colla (di Casaglia) ubicato al 48° km.
Quando sono arrivato, la panchina era occupata da un papà e da un bambino (o ragazzetto): entrambi ciclisti, si concedevano qualche istante di riposo. Erano seduti e si riposavano. Avrei voluto fotografarli.
Non ho fatto in tempo perchè hanno inforcato le bici e sono andati via, continuando la dura pedalata in salita.
Non mi è rimasto altro da fare che fotografare la panchina vuota.
E poi mi ci sono seduto, in attesa del passaggio della testa della gara.

L'ultima puntata di Annozero e il Far-west Italia


Ieri ho visto l'ultima puntata di "Annozero" di Santoro, ultima prima della pausa estiva.
Una puntata anomala in un clima di silenzio pre-elettorale, ma decisamente shockante per i contenuti.
Un lungo servizio sul Far-West Italia.
L'esempio dei TIR i cui guidatori sono sottoposti a turni massacranti (in barba alla legge) per tutelare gli interessi del datore di lavoro e del committenti è soltanto un esempio tra i tanti possibili, ma dà esattamente la misura di quanto in Italia siano inefficaci le leggi, quando si tratta di intaccare interessi economici e mettere in discussione un sistema gestito sempre di più dalle grandi holding economiche.
Io penso che siamo sempre di più un paese alla deriva, un paese in cui i cittadini onesti (che sono tanti) sono lasciati sempre più soli e in balia di se stessi; un paese in cui uno stato vessa chi non ha commesso errori (o errori solo veniali), mentre i responsabili veri di grandi misfatti possono regolarmente farla franca; un paese in cui si lascia carta bianca a chi devia dal rispetto delle legge, avendo la quasi certezza dell'impunità.
Ho una sensazione di grande stanchezza: perchè qui in Italia nessun governante è capace di proporre il ritorno ad un sistema di economia sostenibile, in cui si torni a dare spazio alle produzioni e ai mercati locali, alla stagionalità degli ortaggi, a ritmi meno freneticamente consumistici.
Il consumismo sfrenato, contrariamente a quanto predicano le ricette di Berlusconi, non dà più posti di lavoro, non crea ricchezza (se non portando più denaro nelle tasche dei padroni), ma genera soltanto povertà ulteriore, impoverimento morale, abbattimento dei valori, inquinamento e desertificazione dell'ambiente.
Per avere un mondo più equo e più giusto, bisognerebbe tornare a forme di economia sostenibile, ai piccoli mercati, al riutilizzo delle cose vecchie (abbandonando la pratica della sostituzione, scaturente dall'immissione sul mercato di merci, spesso volutamente bacate, proprio per potere essere "a termine", meglio se in tempi brevi), alle piccole attività produttivo-commerciali che non siano strangolate dalla logica del profitto.
Ma questa via non l'hanno mai voluto seguire quelli di sinistra, troppo pavidi sulla corda tesa dell'equilibrismo tra fazioni e parti avverse, né lo faranno mai quelli di destra (strettamente ancorati agli interessi economici dei vertici aziendali e, quindi, alla logica del profitto estremo).
Allo stato attuale non la vedo bene e sono sempre più preso da una forma di pessimismo cosmico.

Il riferimento è alla puntata di Annozero di giovedì 4 giugno.

Corri bisonte corri!

GUARDA LA PUNTATA


Corri bisonte corri! è lo speciale di Annozero realizzato da Roberto Pozzan con la collaborazione di Monica Giandotti che andrà il onda giovedì 4 giugno alle 21 su Raidue.Niente ospiti politici in studio anche se sono confermate le presenze fisse di Marco Travaglio, Vauro e Margherita Granbassi. Poi, spazio al racconto, fatto di immagini, musiche e testimonianze.

Il viaggio di Pozzan attraversa, dalla Sicilia al Frejus, le principali direttrici della penisola: quattro settimane di ripresa per mettere insieme un lungometraggio che mostra l'Italia dalla cabina di un tir. Le musiche originali sono di Andrea Guerra e Rocco Petruzzi, la fotografia di Vincenzo Campitello e Raoul Garzia, il montaggio di Andrea Mastronicola, la voce narrante di Roberto Pedicini.
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