sabato 30 maggio 2009

Sull'impossibilità di "essere pronti" e sulla filosofia del dubbio


Siamo a poche ore dalla partenza della 37^ edizione della 100 km del Passatore, decana delle ultramaratone italiane.
Io non correrò quest'anno, ma seguirò la testa dell'affascinante carovana che si snoda da Firenze a Faenza in una delle auto dell'organizzazione.
Ho accompagnato a Firenze ii miei amici Enzo Cordovana e Eduardo Vaghetto, l'ultrasettantenne che - alla sua prima partecipazione quattro anni fa - riuscì a chiudere la distanza in meno di 13 ore.

Enzo, nel suo approccio alla distanza di 100 km - come pure alla 24 ore - pratica la filosofia del "non essere mai pronti".
Cosa significa ciò in soldoni?
Lui afferma che per correre (o coprire) una simile distanza non si può mai essere pronti e che quindi, assodato ciò e avendone contezza, ogni momento è buono per andare...
La cosa può assumere dei risvolti comici, perchè Enzo sta bene attento a non cadere mai in contraddizione rispetto al suo enunciato di base, che poi possiede infinite modulazioni e ramificazioni che si insinuano anche nel vivere quotidiano.
Nel mio dialogo con lui, cerco in molteplici di fargli dire che "è pronto"., di farlo cadere in contraddizione, predisponendo ad arte dei trabocchetti linguistici.
Ma lui, niente!
Non si lascia mai fuorviare, mai abbindolare.
Si attiene pervicacemente alla sua via.

Non cede mai alle mie insinuanti sollecitazioni che lo dovrebbero spingere a dire che, in qualcosa almeno, è pronto.
Ieri, per esempio, gli ho detto che dovrebbe anche stare bene attento al modo in cui risponde al telefono. A questa implicazione Enzo non aveva mai pensato ed è subito caduto in crisi: si è reso conto, infatti, che tante, troppe volte, con sollecitudine ha risposto "Pronto!", mandando a rotoli la sua filosofia.
Già, dire "Pronto!" ad un ancora sconosciuto (o già conosciuto) interlocutore, infatti, sarebbe la pericolosa ammissione di una "prontezza" che - secondo la sua filosofia - non è mai realizzabile. Per aiutarlo a uscire dalla crisi e dallo stato di prostrazione in cui versava gli ho suggerito che dovrebbe rispondere più realisticamente, per mantenersi coerente con se stesso: "Io non sono pronto ad ascoltare. Ma dica pure...".

All'amico Enzo, del resto, non posso dare tutti i torti.
Predicare di non essere pronti è un modo di dare spazio alla filosofia del dubbio e dell'incertezza, insomma di praticare un pensiero epistemologicamente debole che, rispetto alle convinzioni forti e monolitiche, ha delle valenze più profondamente euristiche e di autentica conoscenza della realtà che ci circonda.

Al non essere pronto di Enzo fa da contraltare l'essere "troppo pronti" di alcuni podisti che si accingono ad affrontare la prova cruciale dei 100 km: lo si vede dall'atteggiamento, dall'abbigliamento (magari sono già vestiti con la tenuta di gara già molte ore prima della partenza), dai discorsi che fanno.
L'essere "troppo pronti", se apparentemente spazza ogni dubbio dalla mente, dall'altro - creando incrollabili convinzioni ed impedendo una sana dialettica tra le istanze interne - espone a grandi, improvvisi ed inspiegabi
li crolli e al fallimento.

giovedì 21 maggio 2009

Segni sui muri: lo sberleffo e la saggezza popolare


I graffiti assolvono a tante funzioni diverse.
Oggi enuncio quella dello sberleffo e dell'ingiuria tra amici e la formulazione a basso costo di pillole di vita.
Per esempio, mi sono imbattuto nella simpatica scritta riportata sopra.
Ironia e sberleffo di amici verso un amico.
Bella la vernice rossa con cui sono tracciati i caratteri sullo sfondo grigio-acciaio dal guardrail.
Altre volte i graffiti convogliano insolite schegge "sapienziali".
Come quella alquanto comica che ho trovato, a poca distanza dallo sberleffo in rosso.
Recita la scritta che, per decenza, non posso riportare per intero: "U ***** un voli pinsieri", ovverossia la perfetta enunciazione dialettale della formula - oggi sempre più praticata - del sesso senza sentimenti e senza complicazioni.
Una perfetta equazione idiomatica per rappresentare la posizione esistenziale del prof Kapesh (Ben Kingsley) in Lezioni d'amore, il bel film tratto da uno - a mio avviso - capolavori letterari di Philip Roth ("L'animale morente").

Foto non adatta ad un pubblico di minori (oppure clicca sulla foto sopra)

In un giorno di prima estate, una rosa rossa è venuta a me


Ieri, per strada, ho trovato un fiore: una rosa rossa di plastica - o materiale simile - bella da guardare, bella da tenere in mano.
Perfetta, non rovinata, non ancora calpestata.

Solo il bocciolo.
Il gambo si era staccato o non c'era mai stato.

L'ho raccolta mentre correvo e l'ho portata con me sino a casa.

L'ho poggiata sul ripiano della mia scrivania e l'ho guardata a lungo.

Una meditazione sull'abbandono, sul desiderio, sulla gioia, sulla nostalgia.



mercoledì 20 maggio 2009

Domani 21 aprile 2009 - Artisti uniti per l'Abruzzo


Artisti Uniti per l'Abruzzo: il video e il relativo brano musicale sono stati registrati in poche ore il 5 maggio 2009, grazie all'intraprendenza di Jovanotti che è riuscito a mettere insieme questo straordinario team di musiscisti e cantautori italiani.
Il ricavato della vendita del CD single (€5.00) verra devoluto per la ricostruzione del Conservatorio di Musica de L'Aquila.
Devo a mio figlio Francesco la scoperta di questo video che me lo ha segnalato poco dopo il suo inserimento in Youtube.
Ma non si deve solo guardare il video su youtube, bisogna anche comprare il CD.
Fatelo in molti!!!

Questo il testo, che come l'arrangiamento musicale nasce da un'elaborazione collettiva di tutti i cantautori che hanno partecipato.

Tra le nuvole e i sassi passano i sogni di tutti (Ligabue)
passa il sole ogni giorno senza mai tardare. (Tiziano Ferro)
Dove sarò domani? (Enrico Ruggeri)
Dove sarò? (Gianni Morandi)
Tra le nuvole e il mare c'è una stazione di posta (Franco Battiato)

uno straccio di stella messa lì a consolare (Massimo Ranieri)
sul sentiero infinito (Max Pezzali)

del maestrale (Eugenio Finardi)

Day by day (Zucchero)

Day by day (Cesare Cremonini)

hold me shine on me. (Zucchero)

shine on me (Cesare Cremonini)

Day by day save me shine on me (Zucchero, Carmen Consoli, Mauro Pagani, Cesare Cremonini, Eugenio Finardi)

Ma domani, domani, domani, lo so (Francesco Renga)

Lo so che si passa il confine, (Roberto Vecchioni)

E di nuovo la vita (Mauro Pagani)
sembra fatta per te (Giuliano Palma)
e comincia (Elio)
domani (Elio e Le Storie Tese, Vittorio Cosma )

domani è già qui (Jovanotti)

rap 1
Estraggo un foglio nella risma nascosto scrivo e non riesco forse perché il sisma m'ha scosso (Caparezza)


rap 2
Ogni vita che salvi, ogni pietra che poggi, fa pensare a domani ma puoi farlo solo oggi (Frankie Hi Energy)

e la vita la vita si fa grande così (Gianluca Grignani)

e comincia domani (Giuliano Sangiorgi)
Tra le nuvole e il mare si può fare e rifare (Claudio Baglioni)

con un pò di fortuna (Ron)
si può dimenticare. (Luca Carboni)

Dove sarò (Baustelle)

domani? Dove sarò? (Samuele Bersani e Baustelle)


oh oh oh (coro: Carmen Consoli, Antonella Ruggiero, Alioscia, Pacifico, Mango, Massimo Ranieri, Bluvertigo, Nek, Giuliano Palma, Antonello Venditti, Roberto Vecchioni, Albano)


rap 3
Dove sarò domani che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani
Dove sarò domani, tendimi le mani, tendimi le mani (Marracash)
Tra le nuvole e il mare si può andare e andare (Laura Pausini)

sulla scia delle navi di là del temporale (Carmen Consoli)

e qualche volta si vede (Nek)

domani (Antonello Venditti)
una luce di prua (Nek)
e qualcuno grida: Domani (Antonello Venditti)

rap 4
Come l'aquila che vola libera tra il cielo e i sassi siamo sempre diversi e siamo sempre gli stessi, hai fatto il massimo e il massimo non è bastato e non sapevi piangere e adesso che hai imparato non bastano le lacrime ad impastare il calcestruzzo eccoci qua cittadini dAbruzzo e aumentano dintensità le lampadine una frazione di secondo prima della finee la tua mamma, la tua patria da ricostruire, comu le scole, le case e specialmente lu core e puru nu postu cu facimu lamore (Jovanotti, J Ax, Fabri Fibra e, in chiusura, Sud Sound System)

non siamo così soli (Giuliano Sangiorgi)

a fare castelli in aria (J Ax e Fabri Fibra)

non siamo così soli (Giuliano Sangiorgi)
sulla stessa barca (J Ax , Fabri Fibra)

non siamo così soli (Giorgia)

a fare castelli in aria (J Ax e Fabri Fibra)

non siamo così soli (Giorgia)
a stare bene in Italia (J Ax e Fabri Fibra)

sulla stessa barca (J Ax)

a immaginare un nuovo giorno in Italia (Giorgia, Giusy Ferreri, Dolcenera, Mario Venuti, Jovanotti, J Ax, Fabri Fibra)


Tra le nuvole e il mare si può andare, andare

Sulla scia delle navi di là dal temporale (Piero Pelù)


Qualche volta si vede una luce di prua e qualcuno grida, domani (Morgan)


Non siamo così soli (Giorgia, Mario Venuti, Giusy Ferreri, Dolcenera, Giuliano Sangiorgi)
(tromba solo di Roy Paci)

Domani è già qui
Domani è già qui (Jovanotti, Marracash, FabriFibra, J Ax)
(Assolo violino Mauro Pagani)


Ma domani domani, domani lo so, lo so, che si passa il confine (Gianna Nannini)


E di nuovo la vita sembra fatta per te e comincia (Elisa)

domani (Sud Sound System)


Tra le nuvole e il mare, si può fare e rifare


Con un pò di fortuna si può dimenticare (Manuel Agnelli Afterhours)


E di nuovo la vita, sembra fatta per te (Mango)


E comincia (Niccolò Fabi)


(coro finale)

domani
E domani domani, domani lo so
Lo so che si passa il confine
E di nuovo la vita sembra fatta per te

E comincia domani
(Manuel Agnelli, Dolcenera, Zucchero, Niccolò Fabi, Pacifico, Giusy Ferreri, Alioscia, Pacifico, Max Pezzali, Caparezza, Niccolò Agliardi, Luca Carboni, Roy Paci, Tricarico, Ron, Giuliano Sangiorgi, negramaro, Negrita, Giorgia, Francesco Renga, Malika Ayane, Laura Pausini, Morgan, Jovanotti, Massimo Ranieri, Nek, Enrico Ruggeri, Piero Pelù, Antonello Venditti, Roberto Vecchioni, Carmen Consoli, Mango, Cesare Cremonini, Saturnino)

Domani è già qui, domani è già qui (Jovanotti) (Mauro Pagani)

© Macù Ed. Mus. S.a.s.
(P) 2009 Sugarmusic S.p.a. Domani 21-04-09 - SALVIAMO L'ARTE IN ABRUZZO
Conto Corrente n° 95882221 intestato al Ministero dei Beni Culturali IBAN:IT-85-X-07601-03200-000095882221 , BIC / SWIFT: BPPIITRRXXX Causale "Domani 21-04-09".

Il video (puoi anche cliccare sulla foto di Jovanotti)

Votazioni europee 2009: la solita squallida parata


Tempo di elezioni e, con il dovuto anticipo, siamo stati bombardati dal tormentone della solita squallida parata di personaggi - sempre gli stessi, perchè anche gli emergenti si sono fatti con lo stampo di quelli che li hanno preceduti nella via maestra della politica - smaglianti e tirati a lucido.
Sono un'autentica ossessione questi volti che ti guardano dall'alto di mega-poster, strategicamente collocati ed accaparrati, dalla pubblicità ambulante sulle fiancate degli autobus, dai "santini" sparsi a pioggia sulle pavimentazioni stradali e dalle affiche incollate strato su strato sui muri, alcune in regola con le tasse comunali, la più parte abusive.
Insomma, la realizzazione dell'onnipresenza, la ridondanza di volti tutti eguali, tutti egualmente detestabili, la ripetizione ossessiva ed iterativa della stessa vacuità.
Volti truccati (con tutti gli artifici che la tecnica del ritocco fotografico digitale oggi consente), denti di un candido abbacinante, bocche dischiuse in sorrisi da squalo, occhi che, il più delle volte, non sorridono, che rimangono freddi, lasciando un sorriso falso sulla bocca stirata ad arte.
Oppure alcuni giocano sporco, tirando fuori dal proprio archivio vecchie foto "the way they were" che, sottoposte ad analoghi trattamenti digitali, offrono delle immagini smaglianti, patinate, da rivista di gran moda: disgustoso!
Non parliamo poi degli slogan che fanno da contorno all'immagine: il messaggio deve essere semplice, incisivo, diretto.
Non è più necessario che faccia riferimento a idee e contenuti: l'importante è che "acchiappi" l'utente con la suggestione, facendo leva sui suoi desideri latenti, sui suoi bisogni, sulle sue esigenze di identificazione con cavalli vincenti, sulla sua brama (perennemente frustrata) di successo e soldi. Sono uomini e donne che, come puttane, vendono spudoratamente se stessi, cercando di catturare il maggior numero di acquirenti ciascuno con l'offerta del proprio prodotto scintillante e dei megaposter, con cui vie e piazze sono colonizzati, che - più di ogni cosa - sono l'equivalente della vetrina delle puttane come si trovano nel quartiere a luci rosse di Amsterdam.
Poi, se li vedi nella realtà, questi stessi personaggi ti fanno stringere il cuore per quanto appaiono meschini ed insulsi. Ti chiedi, quando ne incontri uno in carne ed ossa, "Ma è proprio quello della propaganda elettorale? Ma è davvero irriconoscibile!", quando ti rendi conto che la pelle del volto non è levigata come era sembrato, il volto irregolare, denti poi non così smaglianti che lasciano supporre un alito pesante, pancetta flaccida e postura cadente, un corpo appesantito e volgare.
I politici - e parlo in generale - sono un esempio di pubblicità per se stessi mendace ed ingannevole, sia quelli già "arrivati", sia quelli in ascesa.
Vederli così esposti, senza alcun ritegno, mi fa rivoltare lo stomaco.
E ogni volta è peggio, perchè aumentano tracotanza, ignoranza e insulsaggine.
Vorrei che questo periodo di campagna elettorale, che avvelena l'ambiente con questo massiccio inquinamento di immagini e slogan, finisca al più presto.
Purtroppo ha fatto scuola il nostro leader maximo, con il suo corteo di veline e di "velini".
Lui è la prova vivente che, se si sa vendere bene la propria immagine, di strada nella vita se ne fa davvero tanta.
Lui ha fatto valere la lezione che si è vincenti non per le proprie idee e per la propria capacità di realizzarle, ma se si hanno molti soldi e se si ha la capacità di farne ancora tanti in più.
Lui, purtroppo, per tanta gente che stenta ad arrivare alla fine del mese è un mito.
Il mito dell'uomo che riesce nei suoi intenti e che ottiene ciò che vuole.
Per questo, di questi soggetti e di questo modo di far politica (ma è politica?) non potremo liberarcerne tanto facilmente.
Per capire bene questi aspetti occorre leggere e rileggere l'attenta analisi di Marco Belpoliti (Il corpo del capo, Guanda, 2009).

Per salvarci da questo abisso, ci vorrebbero più humour, più capacità di vedere le cose con ironia, ma soprattutto una profondità di idee e di pensiero e di intenti che vada bene al di là del semplice opportunismo carrieristico.
Persino Totò nei panni di Antonio La Trippa è più accattivante dei nostri candidati contemporanei...

Clicca sulla foto di Totò-Antonio La Trippa per vedere il filmato...


lunedì 18 maggio 2009

Lutto e trauma: solo riappropriandosi del proprio passato si può imprimere un punto di svolta al presente



Ho appena finito di leggere il secondo romanzo di Carla Vangelista, "Un altro mondo", molto più maturo di "Parlami d'amore" che - come si ricorderà - è stato scritto in tandem con Silvio Muccino.
C'è un un pizzico di buonismo che non guasta, in primis perchè i personaggi principali Andrea e Livia immersi come sono in uno stile di vita insulso e sprecato sono sufficientemente antipatici; in secondo luogo, perchè l'intreccio è, in definitiva, tutto centrato su di un percorso di formazione e di crescita, con l'elaborazione del lutto e della morte e delle separazioni subite da parte di ciascuno dei tre personaggi-chiave (Andrea, Livia e il piccolo Charlie), ciascuno seguendo proprie vie.
Alla fine, non c'è nessun finale del tipo "E vissero tutti felici e contenti", ma semplicemente l'attraversamento di una soglia (ianua = Giano, ovvero il dio degli inizi) ... che comporta l'abbandono alle spalle di ciò che è stato elaborato (nei suoi aspetti di incoerenza caotica ed ingestibile) e l'avvio di un percorso di cui comunque rimane ignoto l'esito na che si può percorrere con un bagaglio emozionale più leggero. Ma c'è anche l'ottimismo della scoperta che, attraverso il rinsaldarsi dei legami d'amore, si può essere più forti nell'affrontare l'ignoto, più forti perchè si è più solidali.
Insomma, questa lettura mi ha dato buone sensazioni e ho trovato che i personaggi e le situazioni siano psicologicamente credibili e consistenti, con un'ottima trasposizione in fiction dei modi e dei mezzi che possono essere scelti per eludere sistematicamente qualsiasi contatto (sentito come pericoloso e devastante con il dolore e con i sentimenti): e allora, ci sono la droga, l'amore come sesso e mai come relazione fondata sul sentimento, la pratica dell'anoressia, un modo di vivere accelerato e "liquido", secondo lo stile tipico della nostra "modernità" delineato da Zigmunt Baumannn. Anche se, poi, i sentimenti (non le emozioni violente, anch'esse droga che stordiscono) e il dolore che grida per essere elaborato, cacciati fuori dalla porta, rientrano prepotentemente dalla finestra.
"Non sei tu a cambiare la realtà, è la realtà a cambiare te": ma tra l'enunciazione teorica di questo semplice e profondo assunto e la sua piena accettazione (una vera e profonda resa emozionale) Andrea e Livia dovranno percorrere un lungo cammino.
Nella realtà, però, non è così facile che individui calati così radicalmente in un sistema di vita distorto e di perenne elusione dalla ricerca della verità interiore possano realizzare da soli esperienze catartiche e di trasformazione, ma può anche succedere e, quando succede, non se ne parla.
Spesso, i professionisti dell'aiuto e della cura rimangono più nettamente ancorati ai meccanismi distorcenti della psicopatologia e sono meno propensi a studiare i mezzi naturali e autogestiti di guarigione.
Un sincero complimento a Carla Vangelista da parte mia non solo come lettore tout court ma anche come persona "competente" nei meccanismi della psicologia umana.

La trama
Andrea vive insieme a Livia una esistenza smemorata, molle, remissiva, in mezzo ad amici che, come lui, più di lui, ricamano finzioni intorno al buio del cuore, all’abisso di sentimenti inespressi. Tanti anni prima il padre di Andrea ha abbandonato la famiglia e si è trasferito in Kenya, lasciando dietro di sé solo silenzio. E ora arriva una sua lettera: vorrebbe rivedere il figlio prima di cedere alla morte.
Andrea è più rancorosamente curioso che animato da pietà filiale, ma ci va. Va in Africa. E là scopre di avere un fratello, più orfano di lui. Il padre ha lasciato a entrambi una eredità difficile. Comincia a quel punto un viaggio che è una vera e propria avventura dentro l’immensità e la maestà di un continente derelitto, e dentro la devastata interiorità di un giovane uomo che al fratello-figlio, al piccolo Charlie, deve aprire uno spazio o lasciarlo fuori da sé per sempre, nero e bastardo. In fondo, a una decina di ore di volo c’è il suo mondo che lo aspetta e dove tutto può ricominciare – come prima, come sempre. E se invece fosse possibile un altro mondo? Se sulla scacchiera dell’esistenza ci si potesse muovere senza l’ingombro di fantasmi, finalmente pieni di vento e di memoria?
Un altro mondo è un romanzo che racconta con grandezza e generosità di scenari, di temi, di personaggi memorabili la distanza che ci divide dalla semplice ed evidente sostanza dell’amore.

Il sito di Carla Vangelista.

giovedì 14 maggio 2009

"La ricerca della felicità" ovvero "Sono dei cattivi film quelli che fanno leva sulle emozioni dello spettatore?"

Ieri mi è capitato di rivedere, questa volta in televisione (nel palisesto serale di Canale 5) "La ricerca della felicità" di Muccino (realizzato con produzione americana), con un bravissimo Will Smith (nei panni di Chris Gardner, personaggio realmente esistito e autore dell'omonimo libro autobiografico).
Il film mi era piaciuto allora, alla sua prima uscita nelle sale cinematografiche, e mi è piaciuto in questa seconda visione casalinga, per quanto rovinata dalle pause pubblicitarie.
Chris Gardner è il personaggio tipicamente americano che rappresenta in modo paradigmatico il sogno della riuscita della "pursuit of happiness" sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti e, in particolare, dal suo padre fondatore, Thomas Jefferson.
Una storia che fonisce uno spaccato della società americana nella quale, a tutti, viene data una possibilità, ma dove – così come può essere facile avere successo, se si hanno le capacità e un'idea vincente – è altrettanto semplice perdere tutto in un istante.
Chris Gardner, all'inseguimento del suo sogno di poter diventare agente di borsa, visse anni di intensa povertà con un figlio a carico e senza una casa dove stare, riuscendo alla fine a diventare milionario.
Questa è la storia che il film racconta, anche se nell'interpretazione di Muccino sono messe in gioco intense emozioni: la commozione è sempre dietro l'angolo (come in questa scena) e acchiappa lo spettatore, a cui - specie se non è preparato all'impatto delle emozioni - potrebbe scappare una facile lacrimuccia.

L'autobiografia di Gardner, invece, è un po' noiosa (sa troppo di resoconto di una vita in cui un sogno è andato a compimento, quindi troppo didascalica e risente del lavoro di "rimasticamento" testuale del compilatore cui Gardner si è affidato).
Qualcuno, al mio commento positivo (inizialmente inserito in FB), ha detto con veemenza "Muccino io lo odio!! Fa film assurdi e tristi solo per far leva sull'emotività".
Io mi chiedo: "Allora sono forse meglio i film in cui non si capisce niente, quelli in cui si sfiora l'assurdo, quelli che hanno conclusioni tragiche che lasciano l'amaro in bocca?"
Certo ci sono film e film, ma molto sinceramente io che non sono un critico con la puzza sotto il naso, potendo scegliere opterei sempre in prima battuta per un film d'intrattenimento (e prediligo l'azione) oppure un film fondato sui sentimenti e, possibilmente, con un lieto fine.
I bei finali sono sempre consolatori.
E i film, come i sogni, possono rappresentare l'esaudimento dei nostri desideri, anche se in chiave per lo più infantile ed ingenua. Nelle nostre esistenze sempre più aride e dominate da un gretto consumismo e dall'abbattimento della maggior parte dei valori etici su cui si fondava la società.
Ed allora vanno bene i film che mettono in risonanza le nostre emozioni.
Vanno bene perchè ci fanno uscire dalla sala cinematografica di buon umore, rinfrescati, rinfrancati e con la sensazione d'aver speso bene soldi e tempo.
In più, la storia di Chris Gardner (e la rappresentazione meravigliosa del suo rapporto con il figlio) ha qualcosa di epico. Il Chris di questa storia è una sorta di eroe postmoderno: attraverso una serie di prove ardue e difficili, riesce a conquistare la sua metà ambita, sempre senza perdere la dignità - nemmeno per un istante - e senza mai scendere a compromessi. Anche la struttura del film suddivisa in "capitoli" sembrerebbe suggerire una moderna versione dell'"eroe dai mille volti", come è inteso da Campbell, grande studioso di mitologia comparata nord-americano (Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti, Guanda, 2008).
Per inciso, la cosa che più mi ha sorpreso di questa riproposizione televisiva del film è che il film fosse indicato ad un pubblico di soli adulti, mentre - a mio parere - per i giovani adolescenti può essere molto più educativo un film così che altri di pura violenza consentiti ai minori di 14 anni oppure ai minori accompagnati da adulti.
Veramente strano che un film che parli di emozioni e che abbia una storia paradigmatica da raccontare venga considerato un film per soli adulti: ancora una volta, serpeggiante dentro quest'orientamento, la strategia di voler educare i più giovani ad essere soprattutto dei cinici consumatori, non pensanti e non forgiati da esempi morali.

mercoledì 13 maggio 2009

La strage dimenticata dei ciclisti, un'importante categoria dei cosiddetti "utenti deboli" della strada


Ieri ho letto sul giornale questa notizia che mi ha angustiato parecchio, visto che - per quanto è possibile io cerco di usare la bici, non solo come strumento per praticare uno sport, ma anche come mezzo di locomozione, efficace, economico e - come si dice oggi - "sostenibile".
Ogni giorno sulle strade italiane perde la vita un ciclista: come se ogni anno «sparissero» due gruppi del Giro d'Italia. A lanciare l'allarme è un'inchiesta pubblicata su «Il Centauro» di maggio, periodico dell'associazione amici sostenitori polizia stradale (Asaps). Secondo la ricerca nel 2007 (anno al quale si riferiscono gli ultimi dati ufficiali dell'Istat) nel nostro paese si sono verificati 15.713 incidenti che hanno visto coinvolte delle bici, per un drammatico bilancio di 352 ciclisti morti e di 14.535 feriti, in media 40 al giorno: l'82% delle vittime (289) sono uomini e il 18% (63) donne.
Rispetto a due anni prima, la mortalità è cresciuta dell'11 per cento. Non solo: la percentuale dei ciclisti fra le vittime della strada è salita dal 5,3% del 2004 al 6,9% nel 2007, quella dei feriti dal 3,7 al 4,5 per cento. Sempre nel 2007, sono stati 12 (11 maschi e 1 femmina) i morti under 14, mentre le vittime fra gli over 65 sono invece 170 (141 maschi e 29 femmine).
Le regioni che contano più vittime restano Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, quelle di tradizione ciclistica e con più pianura. Sugli incidenti ai ciclisti, segnala l'Asaps, «incide un traffico più intenso e meno attento verso questa categoria di utenti della strada, con una parte di responsabilità anche degli stessi ciclisti, spesso inosservanti delle più elementari regole della circolazione che vigono anche per loro ma vengono interpretate in modo approssimativo e disinvolto». Per l'Asaps, inoltre, resta «insufficiente l'estensione, in molte regioni, di piste ciclabili».
Oggi, dovendo uscire per andare a fare la mia donazione di sangue (e lo dico perchè questa cosa comporta l'attraversamento d'una strada di grande traffico e l'immissione per un tratto - per fortuna, breve - nella corsia laterale di un'autostrada altrettanto caotica, utilizzata quasi come se fosse la pista di Le Mans), dopo un attimo di esitazione, ho indossato il caschetto da bici, cosa che non faccio mai, di solito. A rendermi più marcatamente volitivo in questa decisione, la sera prima avevo visto sulla circonvallazione del trambusto, una macchina ferma in corsia di emergenza e subito davanti ad essa una bici abbattuta e contorta.
Perchè ho voluto indossare il casco da bici?
Forse perchè, avendo sempre pedalato sulle strade della mia città sin da quando avevo 12 anni (l'età in cui ebbi in regalo la mia prima bicicletta, al cui uso in strada fui subito ammaestrato da mio padre) mi sento piuttosto sicuro e quasi "invulnerabile" (mentre ho avuto almeno un brutto incidente con la moto e qualcun altro di piccola entità).
Invece no! la mia frase è il frutto spudorato di un fenomeno di amnesia o quanto meno di uno scotoma cognitivo!
In realtà, anche con la bici ho avuto un brutto incidente, ma - siccome questo evento non fa parte dei miei ricordi coscienti - tendo a non pensarci mai, come se non fosse mai avvenuto.
Fu così che andò quel giorno di tanti anni fa: ad un incrocio fui speronato da un auto che mi negò la precedenza. Feci un volo in aria con tutta la bici (che rimase miracolosamente illesa) e, ricadendo, andai a sbattere la testa sul bordo del marciapiedi. Quella volta mi salvai proprio perchè indossavo il caschetto da bici (ero in allenamento, quella volta) che rimase segnato con una profonda tacca dall'urto contro il bordo di pietra, una tacca che mi sarebbe rimasta impressa nelle ossa del cranio se non l'avessi indossato.
La botta fu bella forte, tanto che - di quell'incidente (degli attimi immediatamente precedenti e di quelli successsivi) - non ho più recuperato la memoria (tecnicamente, fu un'amnesia retro-anterograda, tipica dei traumatismi cranici con o senza perdita di coscienza).
Conosco la dinamica di quell'incidente, perchè un mio cugino era proprio nei pressi di quell'incrocio ed in seguito mi raccontò come si erano svolte le cose. Lo so: ma è come se questo ricordo posticcio non mi appartenesse. Non persi la coscienza, ma andai in automatismo psico-motorio: caddi, mi rialzai, raccattai la bici da terra e la inforcai, me ne andai in un baleno sostenendo energicamente che non avevo bisogno di nulla.
Ma tutto ciò, come dicevo prima, è un racconto che non mi appartiene, perchè di tutto ciò non conservai memoria. Ricordo che mi ripresi drammaticamente un tempo X dopo (che non so quantificare). Ero a casa mia, avevo le mani insaguinate (mi ero escoriato al volto) e non sapevo cosa stavo facendo lì e cosa mi era accaduto. Poi ricordai cosa stavo facendo sino a qualche attimo prima (per la precisione sino al momento in cui ero circa 400 metri prima dell'incidente), ma rimase quel piccolo buco nero di assenza di memoria...
Quindi, il casco da bici va sempre indossato: e, in considerazione di questa mia drammatica esperienza, lo dico per ricordarlo a me stesso, visto che sono il primo a trascurare questo semplice e salutare accorgimento, pur essendone stato salvato anni fa.

Quella dei ciclisti è una delle tante stragi dimenticate o trascurate.
Fa comodo non parlare mai di questa morìa. Anzi, è già molto che sia venuta fuori questa breve notizia dell'altro giorno.
C'è da chiedersi: trecento morti per droga ogni anno pesano forse di più di 352 persone, morte solo perchè hanno deciso di usare la bici come mezzo di trasporto o come passatempo?
Io penso che chi va in bici, chi ha fatto questo importante tirocinio di approccio alla strada e al traffico su un mezzo in cui è vulnerabile pienamente, aquisisce una sensibilità particolare nei confronti dei ciclisti quando si mette poi alla guida della sua auto. Me ne rendo conto io stesso dalla cautela che metto in atto quando. alla guida della mia auto, mi accingo a superare dei ciclisti.
Secondo me, nel tirocinio dell'aspirante automobilista, dovrebbe essere inclusa non soltanto la conoscenza teorica e pratica della guida e delle fondamentali norme del Codice della Strada, ma anche un periodo obbligatorio (dimostrabile, documentabile) di utilizzo della bici, proprio per acquisire questa speciale sensibilità e metterla in atto quando si sarà dall'altro lato della barricata, cioè alla guida di un qualsiasi automezzo. E aggiungerei anche che chi causa la morte o il ferimento di un ciclista, se è dimostrato che la responsabilità deriva da una sua disattenzione, oltre agli eventuali risvolti penali, dovrebbe essere condannato a far tirocinio di locomozione sulla bicicletta, per imparare bene come ci sente ad essere per strada, su di un mezzo che rende deboli e vulnerabile e che, soprattutto, porta ad essere in balia di guidatori prepotenti e disattenti.

sabato 9 maggio 2009

Incontri: la stravagante Ninetta e i suoi improbabili cappellini riciclati


Palermo.
In via F. P. Di Blasi, passando di primo mattino, potrebbe capitare di osservare Ninetta.
E' un personaggio di questa via, dove - a tutti gli effetti - è domiciliata, per strada s'intende. Ha eletto a suo dormitorio stabile alcuni gradini di un ingresso a piano terra da tempo inutilizzato, proprio a margini dell'elegante Via Libertà, in un punto in cui - fianco a fianco - sono ubicate una moderna drinkeria (all'angolo) e il Centro di reinserimento lavorativo d'una Comunità terapeutica per tossicodipendenti ed etilisti: e questa contiguità dei due "esercizi" è proprio un bel paradosso, ironia della sorte...).
Ninetta - è così che tutti la chiamano - ha un'età indefinibilie. E' bassa di statura, appesantita nel corpo, anche perchè è infagottata in strati e strati di abiti dismessi, palandrane sformate che la ingobbiscono e la sformano, capelli stopposi ed infeltriti, volto rugoso e rincagnato, provato da anni di vita di barbonaggio.
Sì, tecnicamente la Ninetta è una "barbona", con il suo immancabile corredo di sacchetti nei quali ripone i suoi magri averi ed una coperta che tiene malamente ripiegata
durante le ore diurne su quei gradini dove passa la notte.
Ninetta è di umore variabile: a volte è gentile, altre volte, anche se ci si limita a salutarla al passaggio, come è naturale fare visto che in quella via è di casa, ti assale con un fiume di improperi e ingiurie,
particolarmente coloriti sino a sfiorare il turpiloquio. E ciò accade soprattutto quando ha bevuto sin dalle prime ore del mattino.
Tuttavia, ha un che di comico ed umoristico: come se avesse serbato un residuo di vanità vezzosa.
Te ne accorgi quando indossa improbabili cappellini che raccatta dai cassonetti della spazzatura e da calzature "audaci" (anche con tacchi a spillo) di cui va matta, pure loro recuperati con una paziente e certosina ricerca. E la vedi che cammina con questi accessori indosso, pavoneggiandosi.
Qualcuno della zona le dà da mangiare: è questa è una buona cosa.
Altri le danno soldi: e questa cosa invece non è buona perchè, con quei pochi soldi che raciloma, corre subito a comprarsi una bottiglia di birra di cui è ghiotta.

Ninetta fa parte dello stuolo di ex-internati manicomiali che, come effetto della riforma psichiatrica, essendo stati richiusi per motivi il più delle volte futili - o soltanto di ordine pubblico - sono stati ritenuti immediatamen
te dimissibili e lanciati come missili al di là di quelle mura al cui interno avevano passato parti sostanziose della propria esistenza, senza che ci fossero più parenti o case ad accoglierli.
Che fare oggi?
Probabilmente nulla: spesso quelli come Ninetta non sono disposti a ricevere nessuna forma di assistenza, se non sulla strada che è divenuta la loro casa.
Bisogna accettarli come sono e dare loro una mano, quando manifestano un bisogno.
Anche loro, in questo modo stravagante e bizzarro fanno parte della nostra comunità, di cui - ma essenzialmente per colpa dei cosiddetti "normali" - sono divenuti un prodotto di scarto.

giovedì 7 maggio 2009

Cani perduti senza (o con) collare...

Allenamento di oggi: breve. Ho fatto cinque volte i 200 metri, dopo 20' di riscaldamento. Per tutto il tempo, un cane "foresto" s'è allenato con noi, non perdendo occasione di insidiare Frida che è femminella e che sta per concludere il suo periodo fertile. In definitiva, s'è trattato d'un allenamento un po' movimentato. Il nuovo amico, un bel cagnone pezzato in bianco e nero, e dotato di collare, si faceva sotto impetuoso, ma la Frida di questa corte spietata non ne voleva sapere e gli abbaiava contro con pervicacia, a tratti proprio stizzita, come a dire: "Ma che vuole questo qui?".
E ciò nonostante il cagnone non demordeva e si riproponeva di continuo.
All'inizio, avevo pensato che avesse un padrone (distratto, ma sempre un padrone). Mi sono guardato in giro e ho anche chiesto ai giardinieri se lo avessero visto da qualche parte.
Ma loro semplicente hanno commentato che era un cane venuto da fuori e che rimbalzava da uno all'altro, alla ricerca di compagnia.
"Un nuovo giunto..." - ho fatto io.
"Sì, e qualcuno gli ha messo un collare e gli ha applicato la fialetta contro le pulci!" - ha replicato uno dei giardineri, seduti a fumare indolenti.
Alla fine, non ha fatto altro che correre tutto il tempo assieme a noi con il naso infilato nel seducente
(olfattivamente parlando...) sedere di Frida, sobbarcandosi con impegno e dedizione tutto l'allenamento.
Il nuovo amico, alla fine, ci ha seguito sin sotto casa.
Avrebbe voluto entrare con noi: ma non si poteva dargli corda e lui è rimasto lì a guardarci, languido e triste.
Questa sì che è autentica passione!!! Potenza degli ormoni!!!

mercoledì 6 maggio 2009

Quei mattacchioni e la toponomastica


Via Bainsizza: una piccola via della parte nuova di Palermo, lunga appena qualche decina di metri e che, con una dolce curva, contorna il muro perimetrale della Chiesa di San Michele.
La via, negli ultimi anni, non ha ricevuto molta attenzione dall'Amministrazione comunale: mancano infatti le indicazioni del nome della via nella moderna segnalatica stradale verticale, mentre persiste - ma sbiadita dal tempo - la scritta murale a caratteri rossi, come si usava farle un tempo - nellla economia povera del dopoguerra tra gli anni Cinquanta e i Sessanta.
Un mio conoscente - un autentico mattacchione e uso a sbeffeggiare - una volta armato di vernice e pennello andò a ritoccare ad arte il nome della via che divento - bontà sua - "Via Sasizza" (cioè "salsiccia").
Per lui, un'occasione davvero ghiotta e da non perdere, per dispiegare la sua attitudine dissacrante...
Qualche attento censore (in passato forse vi era un'attenzione maggiore a questi piccoli dettagli e l'attenzione è sempre meglio dell'abbandono...) si accorse del misfatto e provvide immediatamente a far correggere la manomissione.
Quel mattacchione, non soddisfatto, ritornò nuovamente sul luogo del delitto, ancora una volta armato di scala, pennello e vernice, e corresse pervicamente il nome della via in "via Sasizza n°2" (la beffa della beffa...).
All'azione, seguì la simmetrica reazione (con una nuova correzione ed un ritorno allo statu quo ante) e la cosa finì là.
Questo ricordo mi è venuto in mente, passando proprio da quella via e osservando la maliconica scritta sbiadita che, dimenticata dalla modernità, occhieggiava attraverso alcuni tralci rampicanti troppo cresciuti.
La correzione dei nomi delle vie, sempre all'insegna di una pasquiniana verve sbeffeggiante, era - ed è - una consuetudine radicata, tuttavia: solo che le moderne insegne si prestano poco a queste manipolazioni. E la si può considerare come una delle tante modalità del grafitismo murale.
Per alcuni, un modo per dire la propria e lasciare i propri segni sui muri, una propria traccia oppure anche per sfidare in modo bonario le istituzioni e i benpensanti.

Alcuni esempi.
Sempre a Palermo: via Col della Berretta si trasforma in "Via Col della Berretta di Lana", oppure - in quei di Mondello - una "Via Colonia Marina" si trasforma - previa cancellazione della parola "colonia" in "Via Marina Ripa di Meana".
Per concludere, la breve carrellata di esempi, a Bergamo, facendo una passeggiata dalla città alta a quella bassa, ho percorso una Via della Noca, che - per mano ignota - era divenuta una beffarda "Via della Gnocca".

Via Bainsizza: dalla piazza IV novembre alla piazza Franco Restivo (Bainsizza: altopiano della Venezia-Giulia dove vennero combattute aspre battaglie durante la Prima Guerra Mondiale).
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