lunedì 28 luglio 2008

Ho guardato le stelle

Di notte, nelle montagne del Montefeltro, sono arrivato in cima ad un passo di cui non ricordo il nome (a 987 m. slm).
La strada veniva da Villagrande di Montecopiolo: lì ero arrivato in auto trasportato dagli organizzatori d'una gara podistica.
Poi avevo proseguito in bici (ottenuta in prestito) per percorrere così i restanti 50 km del percorso di gara.
Notte fonda: ero partito da Villagrande alle 2.00 di notte circa.
Il cielo strinato di lampi minacciosi, un profondo silenzio nelle strade.
Sino a poco prima del mio arrivo sul passo, qualche goccia di pioggia, ma giù prima del 40° km di gara aveva anche grandinato.
Giunto su al passo, ricordando di alcune panchine di legno e di un tavolo da picnic che, opportunamente disposti per la sosta dei viandanti, mi avevano invitato a ristare l'anno precedente (ma allora non c'era tempo per indugiare), ben volentieri mi son fermato a riposare.
La mia idea era quella di attendere le prime luci del giorno e, intanto, fotografare i podisti in transito.
Il buio era totale, spezzato solo dal bagliore giallastro molto lontano di alcuni lampioni.
Le condizioni di luce non erano certo le migliori per fare delle foto, anche perchè non si poteva mettere a fuoco bene.
Quindi, ho rinunciato alle foto - ma senza alcun rammarico - limitandomi ad attendere standomene seduto su una delle panchine di legno, confortevole come non mai.
Una piazzola di sosta, un prato rinsecchito, una panchina: elementi essenziali per scrutare nel mio panorama interiore.
Tanto tempo guadagnato, dunque, per stare con me stesso e con il mondo: in verità, solo un frammento piccolo di esso, eppure incommensurabile come un intero universo.
Unici rumori: lo scalpiccio dei runner in transito, guidati dal vago ondeggiare delle lucine che tenevano sistemate sul capo a mo' di lavoratori delle miniere; voci dialogonti sommesse; a volte il rombo di un motore; strani rumori e trepestii misteriosi dalla macchia d'alberi alle mie spalle; i canti degli uccelli già alacri, benché l'alba fosse ancora lontana.
A tratti, sentivo le palpebre farsi pesanti e scivolavo in brevi sonni accompagnati da un meraviglioso fiorire di sogni. Sogni di cui non ricordavo nulla al risveglio, se non quel senso di meraviglia e appagamento.
Ogni tanto, sveglio e lucido, contemplavo il buio che mi avvolgeva come una coltre; poi, volgendo lo sguardo al cielo, nei momenti in cui il velo di nubi si apriva, m'inebriavo alla vista della moltitudine di stelle che, distanti, mi invitavano al vagabondaggio e al desiderio struggente (di cosa, però, non ero in grado di dirlo).
E' bella la condizione del vagabondo delle stelle: una condizione in cui, pur da sveglio, puoi sentire che quasiasi delle cose che solo accadono nei sogni potrebbe verificarsi.
Non sentivo il desiderio di muovermi, avrei potuto continuare a stare in questo stato tra sonno felice e contemplazione delle stelle amiche per un tempo illimitato.
Guardando in basso, attraverso uno squarcio degli alberi, s'intravedeva la distesa apparentemente infinita di luci pulsanti giù nella pianura: tante luci isolate, a grappoli, in distese, mentre le case, i paesi e le città erano ancora immersi nel più profondo dei sonni.
Io lassù, osservavo e contemplavo.
In quel momento, avrei anche potuto essere l'unico sopravvissuto all'olocausto dell'intera umanità.
Non sentivo la solitudine, solo quella forma di melanconia che hai quando senti la potenzialità del desiderio di qualcosa che non hai ancora raggiunto e che però potresti conquistare.
Poi, ho deciso di mettere fine allo stato sognante e, inforcata la mia bici, ho preso a pedalare per ridiscendere nelle città degli uomini.
Per raggiungere quelle soglie e quei destini che ancora mi attendono.

domenica 20 luglio 2008

Sarà poi vero?



Questo è quello che ci dice l'anonimo writer metropolitano con sicumera.
Sarà poi vero?
E voi, siete d'accordo?
Quelle sbavature di vernice, in contrasto con la netta definizione dei caratteri, fanno tanto pensare a lacrime che gocciolano come quella lacrima che scivola via dall'occhio di un Pierrot triste.
D'altra parte, il blu è il colore della tristezza...
I feel the blues...
Perchè mai il writer avrà scelto proprio questo colore per la sua affermazione perentoria?
E quelle sbavature di vernice nn saranno un artefatto?
Se così fosse, potrebbe trattarsi di un'affermazione che contiene implicita una negazione...
Come è, ad esempio, nel terzo film di Tornatore (Stanno tutti bene, 1990, poco amato dalla critica) in cui Matteo Scuro (Marcello Mastroianni), vedovo e anziano padre di tre figli che, tutti, se ne sono andati lontano, nel suo ininterrotto dialogo con la moglie defunta - dandole notizie sui figli lontani - afferma instancabile (e con un finto ottimismo) "Stanno tutti bene...".
Quando poi non è affatto così, come scoprirà nel corso di un suo viaggio attraverso l'Italia intera a partire dalla periferica Castelvetrano, nel tentativo di recuperare e far rivivere gli affetti familiari e riannodare con i figli i fili di un dialogo interrotto.

giovedì 3 luglio 2008

Il carro magico e i rimedi miracolosi... quelli li propinano anche a noi, a iosa!

Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XIX comparvero per le strade dell'America i cosiddetti "carri magici". Cos'erano? Niente di più che dei baracconi ambulanti, trainati da cavalli o muli, con le fiancate vivacemente dipinte, delle quali una era mobile e ribaltabile in modo tale che potesse fungere da palcoscenico per l'allestimento di spettacoli improvvisati.
Questi "carri" si muovevano da un posto all'altro, preferibilmente nei posti più sperduti della "frontiera", quelli che, ancora confinanti con le "terre selvagge" e mai raggiunti dal vento della modernità, mai ricevevano i quotidiani del giorno (ma solo qualche sparuta notizia attraverso il telegrafo, se c'era), quelli i cui abitanti erano sempre avidi di sapere qualcosa di quell'altro mondo per loro precluso, in fondo curiosi delle innovazioni e bisognosi di cure, ma anche facili ad essere ingannati vista la loro scarsa dimestic
hezza con il mondo delle città dell'Est.
Gli spettacoli improvvisati, quando il carrozzone si fermava erano gestiti dal "patron" che aveva alle sue dipendenze una piccola truppa di inservienti e magari anche uno o due animali esotici da esibire. C'erano, quindi, intrattenimenti, lotte, esercizi e giochi di abilità, tutti condotti però sul filo dell'imbroglio e, in genere, finalizzati a suscitare sorpresa e meraviglia.
In forma embrionaria e minuscola, il Carro magico rappresentava il Circo moderno, come si sviluppò - sempre nell'America del Nord - grazie alle grandi intuizioni del grande Barnum che ebbe l'idea di realizzare una sorta di mostra itinerante delle "meraviglie". Per esempio, sua fu l'idea di esibire i "freak", cioè gli esseri portatori di "mostruosità" (di cui molti veri, pochisimi quelli fasulli) oppure di portare in Europa il Wild West Show con Buffalo Bill ed autentici Pellerosse.

La differenza tra il circo ed il carro magico, oltre che nelle diverse proporzioni, stava nel fatto che nel secondo caso, al termine dell'esibizione delle piccole e modeste meraviglie di cui il patron disponeva (molto spesso truffaldine), il gestore del Carro magico, improvvisandosi "medicine man" iniziava a fare l'imbonitore di rimedi miracolosi contro tutti i mali.
E, se prima aveva meravigliato a sufficienza il suo pubblico con lo spettacolino, magari riusciva a vendere un bel po' di rimedi, tirando su un bel gruzzolo: l'unico problema era che, realizzate le vendite, doveva prendere baracca e burattini e andarsene a gambe levate, perchè i rimedi spacciati per miracolosi, non possedevano alcuna delle qualità tanto decantate.
Si può ricordare qui che il primo "Drug act" promulgato negli Stati Uniti non nacque con intenti proibizionisti, ma proprio per cercare di difendere i consumatori da questi spacciatori di rimedi miracolosi e fasulli, come racconta Noam Chomsky in un suo saggio critico sulle strategie proibizioniste.
Esce proprio in questi giorni in libreria un romanzo davvero insolito dell'eclettico scrittore americano Joe R. Lansdale, Il carro magico (Fanucci Editore, 2008) che, con toni comici e picareschi, arricchiti da ammiccamenti ed ironie, racconta appunto la storia di un carro magico che si muove per le strade sperdute d'America nel 1909 e guidato da un ciarlatano il cui vanto maggiore è quello di essere il discendente diretto del pisolero Wild Bill HickoK

Questa in breve la trama.

Il XX secolo è appena iniziato: nel Texas fanno la loro comparsa i primi venditori ambulanti di rimedi miracolosi, mentre i vecchi cowboy sorvegliano le linee di frontiera e gli sceriffi mantengono l’ordine nelle piccole città, dove l’odio razziale fatica a spegnersi, nonostante la liberazione degli schiavi appartenga al passato. La famiglia del giovanissimo Buster Fogg, voce narrante di questo romanzo, viene spazzata via da un tornado insieme alla sua casa, e il ragazzo si unisce – per caso o per volontà del destino – alla compagnia itinerante di Billy Bob Daniels, inventore di medicine prodigiose e tiratore eccezionale, che si proclama figlio illegittimo del leggendario e pistolero Wild Bill Hickok. Insieme all’ex schiavo Albert e ad Alluce Marcio, una scimmia lottatrice, il gruppo di memorabili personaggi viaggia in lungo e in largo per il Texas, inseguito da una tempesta che incombe su di loro come una maledizione indiana, e trascinando il lettore in una spirale di emozioni continue, esilaranti e a tratti tragicomiche. Il carro magico, un romanzo ancora inedito scritto da Joe R. Lansdale nel 1986 - molto prima di conoscere l'enorme successo che lo attendeva - è un'ironica e nostalgica elegia dedicata al selvaggio West, oggi riscoperta dalla meritevole casa editrice italiana e pubblicata in Italia per la prima volta.

Un buon esempio del venditore di rimedi è rappresentano nel film recente di Tim Burton, "Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street", con l'ottima interpretazione di Sacha Baron Cohen (da non perdere, tanto per farsi un'idea dei personaggi eccentrici e teatrali che governavano i carri magici) che, nell'occasione, si impegna con Sweeney Todd in una pubblica disfida a colpi di rasoio: chi sarà il migliore barbiere?
Ma ciò che ci interessa qui è parlare della vendita di rimedi miracolosi che il ciarlatano del carro magico riusciva a mettere a segno, facendo leva sulla "meraviglia" indotta negli spettatori che, attraverso questo tipo di sollecitazione, dientavano proclivi a prendere per vera qualsiasi panzana e, magari, anche ad esborsare dei soldi pur di avere una panacea contro tutti gli acciacchi.
Poi, naturalmente, i nodi venivano al pettine.
Ecco cosa racconta Lansdale, nell'incipit del suo romanzo, della compagnia di itinerante di Billy Bob
La sera prima ce l'eravamo sostanzialmente filata di soppiatto dalla Louisiana e avevamo raggiunto il confine con il Texas per via di una medicina che Billy Bob avva venduto ad un tizio con la promessa di fargli passare le emorroidi. Non gli erano passate. Non che qualcuno di noi pensasse che funzionasse davvero. Non era altro che acqua, con dentro un po' di colorante e un po' diwhiky. Be', soprattutto di whisky.
Il venditore di rimedi miracolosi dopo aver ampiamente elogiato la sua "buona" medicina ed averne venduto ai gonzi, che hanno abboccato all'amo della mistificazione, deve sostanzialmente filarsela e mai più fare ritorno in quello steso luogo.
Questa storia mi fa pensare a quella di un venditore ambulante, una sorta di "magliaro" di un paese della Sicilia che assieme ad un gruppetto di compaseani suoi se ne andava in giro da un luogo all'altro della Sicilia vendendo porta a porta lenzuola e set per corredi nuziali.
Mi disse, a mo' di confidenza, che loro praticavano l'usanza del "pacco di fiocco".
"Cos'è' sto' 'pacco di fiocco'? - feci io, alquanto meravigliato.
"Dottore, deve sapere, che quando faceamo vedere la merce, noi sciorinavamo la merce buona, lenzuola delle dimensioni giuste e così via, un esemplare unico per ogni tipo di mercanzia tessile che endevamo. Poi, quando i clienti si convincevano all'acquisto, noi gli rifilavamo il pacco confezionato che tenevamoo già pronto, tutto sigillato, e questo lo chiamavamo appunto 'pacco di fiocco'. Concluso l'affare e consegnato il pacco di fiocco all'cquirente dovevamo andarcene subito. Trattandosi di roba per corredi da sposa, il più delle volte non venivano aperti e rimanevano sigillati per anni. Ma se fossero stati visionati subito..."
"Perchè - ho replicato io, alquanto incuriosito - come era fatto?"
"Era delle dimensioni e della conitenza giusta, ma quando si apriva si vedeva che le lenzuola erano minuscole e che non avevano nemmeno la dimensione giuste per preparare il lettino di un bambino... per dare sostanza al tutto utilizzavamo bambagia o cascami di tessuti vari."
"Ah! Ho capito! Ma poi perchè avete smesso [da anni aveva smesso questa attività?"
"Una volta è accaduto che mentre noi ci eravamo attardati un'altra vendita, i primi acquirenti hanno voluto disfare il 'pacco' e hanno capito come stavano le cose. Sono arrivati infuriati.Volevano legnarci, non gli bastava che gli restituissimo i soldi! E questo fatto ci ha rovinato la piazza.
Troppo rischioso riprendere una simile attività!"
Vi ricordate l'espressione che si usa tuttora (forse, oggi, un po' desueta) "Mi hanno fatto un pacco!" oppure "Mi hanno impaccato", per dire "Mi hanno fregato!". Bene, magari il "pacco di fiocco" ne è proprio all'origine.
Che venda rimedi miracolosi per tutti gli acciacchi o che proponga indumenti o lenzuola per corredi, un venditore itinerante - subito dopo aver messo a segno un affare - è costretto a fuggire il più lontano possibile e a non tornare più in quello stesso posto.
Tutta la sua esistenza finisce con l'essere fondata sull'inganno e sull'arte della fuga.
In entrambi i casi, vige il principio che, prima, l'acquirente potenziale, deve essere stupito e affascinato, in modo tale che il piacere della meraviglia sperimentata gli faccia sentire che si trova davanti ad un fine intrattenitore (e soprattutto che l'imbonitore che ha di fronte parla con la verità). Quando s'è realizzato questo d'animo, egli avrà irremediabilmente abbassato la guardia e sarà pronto ad accettare - come medicina - qualsiasi cosa gli sia stata spacciata come tale, qualsiasi rimedio dichiarato efficace nella cura di malanni di cui è stato indotto a credere di essere portatore: l'arte sopraffina del venditore di rimedi miracolosi può arrivare sino a questo punto!!!
C'è da chiedersi se anche i politici politicanti dell'universo mondo non siano come i medicine man dei carri magici d'una volta e come gli imbonitori del "pacco di fiocco", di livello ovviamente ben più sofisticato.
Ma la risposta ad un simile interrogativo non può che essere lasciata aperta.
In ogni caso, il problema maggiore è che loro, dopo averci venduto i loro "rimedi", prima imbonendoli con suadenti parole, non sono costretti a fuggire lontano ed anzi, hanno il privilegio di poter continuare a somministrarcene
caparbiamente ancora, e di farcene provare di nuovi, quelli che decidono loro, "per il nostro bene", a ritmo continuo.
Certo è che - come nel romanzo di Lansdale in cui una metaforica tempesta si addensa sul cielo di ogni luogo in cui il carro magico si ferma - una sorta di nemesi è sempre sul punto di abbattersi sui venditori di rimedi magici: E, prima o poi, si arriverà ad un redde rationem.
Intanto,
se non si può piangere per questa continua indigestione di rimedi miracolosi e di panacee, cosa ci resta da fare se non ridere come il contadino della canzone di Jannacci di tanto tempo fa (la mitica "Ho visto un re"), dove Il contadino che è stato derubato del cavallo, della mucca e del cavallo per le esigenze del re, del cardinale e degli alti dignitari del regno, motteggia con una finta allegria?
E sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam,
e sempre allegri bisogna stare
che il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!
Ve la ricordate?


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